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Una laureanda si è vista bloccare la sua tesi di laurea dal Garante della privacy in quanto i dati di una ricerca in essa contenuta non erano stati raccolti lecitamente.
L’indagine, sulla rappresentazione sociale del maltrattamento infantile, era stata svolta in una scuola elementare, facendo compilare agli alunni di alcune classi un questionario composto da domande a risposta multipla e vignette.
Il caso è stato sottoposto al Garante dai genitori di un alunno , dopo essere venuti a conoscenza che il figlio di sette anni aveva partecipato, a loro insaputa, alla rilevazione, autorizzata dal dirigente dell’istituto scolastico.
Gli alunni, e di conseguenza i genitori, non erano stati informati né degli scopi dell’iniziativa, né del fatto che la loro partecipazione era facoltativa e non obbligatoria.
La ricerca ha comportato il trattamento di diverse informazioni (sesso, età, classe e scuola frequentata, mese ed anno di nascita) e pur non comprendendo il nome e il cognome degli alunni che vi hanno preso parte, permette, visto il ristretto ambito di indagine e grazie alla loro interazione, una agevole identificazione. Diversi minori, inoltre, hanno inserito la data di nascita completa (giorno, mese ed anno) rendendo ancora più semplice la loro identificabilità. Alcune delle informazioni richieste, infine, erano riconducibili alla nozione di dato sensibile in quanto idonee a rivelare aspetti della sfera psico-fisica dei genitori.
I genitori dell’alunno si sono dapprima rivolti all’Università, chiedendo tra l’altro di accedere ai dati personali contenuti nei questionari compilati dal figlio; poi, insoddisfatti delle risposte ottenute, hanno deciso di interpellare l’Autorità.
Il Garante ha ritenuto illecito il trattamento dei dati personali e, a tutela dei soggetti coinvolti, ne ha disposto il blocco. Per poter svolgere legittimamente la rilevazione, infatti, l’università, operando per finalità di ricerca, avrebbe dovuto informare correttamente i genitori degli scopi dell’iniziativa e del fatto che la partecipazione dei bambini era non obbligatoria, ma volontaria. L’università ha quindi posto in essere un trattamento illecito di dati personali e per questo motivo le informazioni raccolte non sono utilizzabili.
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Questionari: occhio ai dati!
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Una laureanda si è vista bloccare la sua tesi di laurea dal Garante della privacy in quanto i dati di una ricerca in essa contenuta non erano stati raccolti lecitamente.
L’indagine, sulla rappresentazione sociale del maltrattamento infantile, era stata svolta in una scuola elementare, facendo compilare agli alunni di alcune classi un questionario composto da domande a risposta multipla e vignette.
Il caso è stato sottoposto al Garante dai genitori di un alunno , dopo essere venuti a conoscenza che il figlio di sette anni aveva partecipato, a loro insaputa, alla rilevazione, autorizzata dal dirigente dell’istituto scolastico.
Gli alunni, e di conseguenza i genitori, non erano stati informati né degli scopi dell’iniziativa, né del fatto che la loro partecipazione era facoltativa e non obbligatoria.
La ricerca ha comportato il trattamento di diverse informazioni (sesso, età, classe e scuola frequentata, mese ed anno di nascita) e pur non comprendendo il nome e il cognome degli alunni che vi hanno preso parte, permette, visto il ristretto ambito di indagine e grazie alla loro interazione, una agevole identificazione. Diversi minori, inoltre, hanno inserito la data di nascita completa (giorno, mese ed anno) rendendo ancora più semplice la loro identificabilità. Alcune delle informazioni richieste, infine, erano riconducibili alla nozione di dato sensibile in quanto idonee a rivelare aspetti della sfera psico-fisica dei genitori.
I genitori dell’alunno si sono dapprima rivolti all’Università, chiedendo tra l’altro di accedere ai dati personali contenuti nei questionari compilati dal figlio; poi, insoddisfatti delle risposte ottenute, hanno deciso di interpellare l’Autorità.
Il Garante ha ritenuto illecito il trattamento dei dati personali e, a tutela dei soggetti coinvolti, ne ha disposto il blocco. Per poter svolgere legittimamente la rilevazione, infatti, l’università, operando per finalità di ricerca, avrebbe dovuto informare correttamente i genitori degli scopi dell’iniziativa e del fatto che la partecipazione dei bambini era non obbligatoria, ma volontaria. L’università ha quindi posto in essere un trattamento illecito di dati personali e per questo motivo le informazioni raccolte non sono utilizzabili.
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