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D.Lgs. 231/2001: colpa organizzativa e responsabilità amministrativa
Oramai sempre più spesso nei casi di infortuni nei luoghi di lavoro il processo penale vede a giudizio anche le aziende in quanto tali. È dunque necessario diffondere una conoscenza corretta e non solo formale e astratta del Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300”. Con questo obiettivo l’avvocato Dubini intraprende da oggi un lungo percorso di analisi della disciplina nella sua concreta applicazione.
Milano, 6 Giu – Il concetto di colpa organizzativa deriva da un concetto chiaro nella giurisprudenza, secondo il quale “in forza del rapporto d'immedesimazione organica con il suo dirigente apicale, l'ente risponde per fatto proprio, senza involgere minimamente il divieto di responsabilità penale per fatto altrui posto dall'art. 27 Cost.” [ Tribunale di Novara, 26 ottobre 2010].
In tal senso “l'autonoma responsabilità amministrativa dell'ente si basa su fatto proprio di quest'ultimo imputabile non a titolo oggettivo, sebbene per colpa di organizzazione, dovuta alla omessa predisposizione di un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione del reato presupposto: è il riscontro di tale deficit organizzativo che consente l'imputazione all'ente dell'illecito penale realizzato nel suo ambito operativo” [Tribunale di Novara, 26 ottobre 2010].
Come già osservato “la sussistenza dell'interesse (considerato dal punto di vista soggettivo) o del vantaggio (considerato dal punto di vista oggettivo) è sufficiente all' integrazione della responsabilità fino a quando sussiste l'immedesimazione organica tra dirigente apicale ed ente”.
Con riferimento al D.Lgs. n. 231/2001, l'ente “non risponde solo allorché il fatto è stato commesso dal singolo ‘nell’interesse esclusivo proprio o di terzi’ (cfr., art. 5 co. 2), non riconducibile neppure parzialmente all'interesse dell'ente, ossia nel caso in cui non sia più possibile configurare la citata immedesimazione”.
In effetti, “al di fuori di tale ipotesi, per non rispondere per quanto ha commesso il suo rappresentante l'ente deve provare di avere adottato le misure necessarie ad impedire la commissione di reati del tipo di quello realizzato”.
Da ciò “ne consegue l'inversione dell'onere della prova e la necessità che l'ente fornisca innanzitutto ‘la prova che l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e dì gestione idonei a tal fine’ (cfr., art. 6, lett. a D.Lgs. n. 231/2001)”.
Il concetto di colpa organizzativa è dunque legato alla “mancata adozione di tali modelli, [di tali procedure], in presenza dei mentovati presupposti oggettivi e soggettivi, è sufficiente a costituire quella "rimproverabilità" posta a fondamento della fattispecie sanzionatoria, costituita dall'omissione delle previste doverose cautele organizzative e gestionali idonee a prevenire talune tipologie criminose”: “in tale concetto di "rimproverabilità" è implicata una nuova forma normativa di colpevolezza per omissione organizzativa e gestionale, avendo il legislatore ragionevolmente tratto dalle concrete vicende occorse in questi decenni, in ambito economico e imprenditoriale, la legittima e fondata convinzione della necessità che qualsiasi complesso organizzativo costituente un ente adotti modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire la commissione di determinati reati, che l'esperienza ha dimostrato funzionali ad interessi strutturati e consistenti, giacché le ‘principali e più pericolose manifestazioni di reato sono poste in essere da soggetti a struttura organizzativa complessa’ (cfr., Relazione ministeriale) [Tribunale di Novara, 26 ottobre 2010].
Nella sentenza n. 36083/09, la Cassazione ha spiegato che la mancata adozione di tali modelli, in presenza dei presupposti oggettivi e soggettivi sopra indicati, è sufficiente a costituire quella "rimproverabilità" di cui alla Relazione ministeriale al decreto legislativo e non a caso ha tenuto a precisare che "in tale concetto di rimproverabilità è implicata una forma nuova, normativa, di colpevolezza per omissione organizzativa e gestionale".
Si tratta, in definitiva, di colpa organizzativa e gestionale presunta, stante l'inversione dell'onere della prova [Tribunale di Novara, 26 ottobre 2010].
I modelli di organizzazione, gestione e controllo 231 “rappresentano quindi un ulteriore cardine del nuovo sistema di responsabilità e tanto spiega la premura del legislatore nel dettare le linee guida ispiratrici del loro contenuto, lasciando alla concreta organizzazione dell'ente il compito di rendere possibile una propria deresponsabilizzazione [a livello di procedimento penale n.d.r.], adattando quelle regole generali alle proprie esigenze operative nella comune spinta verso una prevenzione del rischio di commissione di simili reati” [Sentenza Tribunale Trani 26 ottobre 2009].
La fondamentale importanza dello strumento discende dalla circostanza che, se preventivamente adottati ed attuati, i modelli possono determinare l'esenzione da responsabilità e, se adottati ed attuati posteriormente ma prima dell'apertura del dibattimento di primo grado, “gli stessi garantiscono sia una riduzione della sanzione pecuniaria, sia, a determinate condizioni, l'inoperatività delle sanzioni interdittive” [sentenza Tribunale Trani 26 ottobre 2009].
In tal modo “l'ente non rimane più insensibile al rispetto delle norme di prevenzione”: “il contrario avveniva in passato allorquando le ricadute erano unicamente sul singolo anche se l'attività illecita era stata realizzata per procurare giovamento all'ente”.
Ne consegue una costruzione della responsabilità da reato degli enti con funzione preventiva e strumentale (rectius: di sollecitazione degli enti) all'adozione di modelli organizzativi ed operativi idonei a prevenire reati. Dunque, l’elemento “colpa”, quale richiesto – secondo le note esplicative della relazione – ai fini dell’imputazione dell’illecito, “può risultare escluso a seguito di un adempimento positivamente operato dall’ente medesimo, secondo criteri di autoregolamentazione fissati in via preventiva dalle norme”.
Occorre rilevare che il legislatore, nonostante la rilevanza attribuita nel sistema del D. Lgs. n. 231/2001 ai modelli organizzativi, non ne ha imposto ex lege l‟adozione [Cassazione, con la sentenza n. 32626/2006, relativa ad una fattispecie nella quale il giudice di merito aveva imposto all’impresa di dotarsi del modello organizzativo, è stato statuito che siffatto provvedimento non è giustificato dal D. Lgs. n. 231/2001 il quale non “… prevede alcuna forma di imposizione coattiva dei modelli organizzativi, la cui adozione, invece, è sempre spontanea in quanto è proprio la scelta di dotarsi di uno strumento organizzativo in grado di eliminare o ridurre il rischio di commissione di illeciti da parte della società a determinare in alcuni casi la esclusione della responsabilità, in altri un sollievo sanzionatorio e che, nella fase cautelare, può portare alla sospensione o alla non applicazione delle misure interdittive …”].
Ma una prima deroga al principio della “facoltatività” nell’adozione del modello è stata introdotta con la delibera n. 15786/2007 con cui la CONSOB, modificando il Regolamento dei mercati di Borsa, ha statuito l'adozione obbligatoria del modello organizzativo per le società rientranti nel cd. segmento “STAR”.
Tuttavia, “non può non rilevarsi come l'adozione dei modelli in rassegna possa essere considerata come una misura ormai praticamente necessaria, e dunque, obbligatoria nei fatti, se non altro per beneficiare del c.d. ‘scudo protettivo’, dal momento che se l’ente nell'esercizio della sua libera discrezionalità decide di non dotarsi di un modello di organizzazione, esso non potrà avvalersi della c.d. ‘esimente’ dalla responsabilità derivante dall'adozione di un valido modello organizzativo” [Circolare della Guardia di Finanza n. 83607/2012].
La mera facoltà si trasforma in “sostanziale ed irrinunciabile” obbligo in tema di adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo, da parte dell’organo dirigente dell’ente, secondo la sentenza n. 1774/2008 del Tribunale di Milano con la quale è stata riconosciuta la responsabilità civile di un amministratore executive nei confronti della società ex art. 2392 c.c. per non aver assolto l‟onere (dovere) di attivare il Consiglio di Amministrazione a valutare l’adozione di un adeguato modello di prevenzione del rischio commissione dei reati, in presenza di reati che l’adozione del modello avrebbe potuto impedire.
Rolando Dubini, avvocato in Milano
Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
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Rispondi Autore: Giuliano Palotto - likes: 0 | 06/06/2013 (10:48:36) |
Carissimo Avvocato, concordo pienamente con il suo articolo, come sempre lineare e assolutamente coerente. Un questito, però: il Modello ex art. 6 si applica perfettamente ad una realtà organizzata e strutturata quali industrie e PMI. Essendo il tessuto produttivo italiano formato per i 4/5 da microimprese, la maggior parte delle volte assoggettate ai meccanismi del committente con modalità che sfiorano il rapporto subordinato, vedrebbe opportuno rivedere il D.Lgs. 231/2001 in un'ottica di "requisiti tecnico-professionali" per definire il ruolo dell'Imprenditore? (ad esempio sulla falsa riga dei principi della Legge 4/2013) |
Rispondi Autore: Rolando Dubini - likes: 0 | 06/06/2013 (17:02:06) |
Gentile Giuliano Palotto, credo si possa e si debba elaborare modelli adeguati alal complessità organizzativa delle aziende,e credo si possa individuare modalità semplificate ma non semplicistiche di adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo 231, che sta iniziando tra l'altro a diventare un requisito di idoneità tecnico-professionale, posto che un numero crescente di commitenti inizia a richiederlo esplicitamente, e fanno bene a farlo. |
Rispondi Autore: Daniele - likes: 0 | 30/09/2017 (13:36:04) |
Gentile Avvocato, mi chiamo Daniele e sono un operaio verniciatore di un'azienda in cui adottiamo anche noi nel modello organizzativo il D.Lgs 231... Le volevo chiedere se la non sostituzione dei filtri della cabina forno di verniciatura,che hanno sostituzione periodica ogni 300 ore di lavoro, comporti reato da parte del responsabile visto che ormai siamo fuori di ben 160 ore!!! Grazie ... |