Sulle conseguenze per il rifiuto di indossare la mascherina protettiva
Venezia, 17 Ott – Ci soffermiamo oggi non su una pronuncia della Suprema Corte, ma su una sentenza che, in questo periodo di emergenza COVID-19, è comunque importante per comprendere quali possano essere le conseguenze delle violazioni delle indicazioni per il contenimento del virus Sars-CoV-2 nei luoghi di lavoro.
La sentenza che presentiamo – emessa dal Tribunale di Venezia il 4 giugno 2021 – riguarda il ricorso giudiziale presentato da un’azienda per veder accertata la legittimità di una sanzione disciplinare ad un dipendente che aveva rifiutato di indossare la mascherina protettiva.
In particolare il Tribunale di Venezia afferma che grava sul datore di lavoro “l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie ed opportune per prevenire eventi dannosi”. E tale obbligo datoriale, a fronte del diffondersi dell'epidemia da Coronavirus, “è ribadito dal D.L. 17.3.2020 n. 18, che considera infortuni sul lavoro i casi accertati di Coronavirus contratto sul luogo di luogo”. E la pronuncia fa riferimento al Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro siglato il 14 marzo 2020 e integrato successivamente dal Protocollo condiviso del 24 aprile 2020.
Con riferimento alla sentenza, l’articolo si sofferma su:
- La ricostruzione dei fatti e il non utilizzo della mascherina
- Gli obblighi del datore di lavoro e l’accoglimento del ricorso
La ricostruzione dei fatti e il non utilizzo della mascherina
Nella sentenza è indicato che l’azienda XXX agisce in giudizio “chiedendo accertarsi la legittimità della sanzione disciplinare della sospensione di n. 03 giornate dal lavoro e dalla retribuzione, inflitta al sig. Omissis con provvedimento datato 03.09.2020”.
Si indica poi che durante il periodo di emergenza epidemiologica, “in cui la società, pur continuando ad erogare il servizio, ha cercato di adottare tutte le misure più idonee a salvaguardare la salute e la sicurezza dei lavoratori”, con PEC trasmessa alla Direzione XXX avente ad oggetto ‘richiesta assunzione responsabilità civile e penale’, il sig. Omissis “argomentava in merito alla pretesa ‘illegittimità’ della disposizione aziendale relativa all'utilizzo obbligatorio della mascherina da parte dei dipendenti nei depositi, con specifico riferimento all'utilizzo obbligatorio della stessa ‘all'interno degli spogliatoi... corridoi... bagni’. E giungeva “ad intimare di ‘valutare molto bene il fatto di far sanzionare i lavoratori’, perché non indossavano la mascherina, ‘in quanto incostituzionale e illecito’. Concludeva sostenendo che ‘per tutti questi (e altri) eventi il ‘dubbio’ inizia a farsi forte anche tra i lavoratori che tutta questa vostra smania a tratti esagerata . ..quasi maniacale per la ‘mascherina’ ... ‘SEMBRA’ quasi sia dovuta più a livello amministrativo/politico che per la VERA salvaguardia dei lavoratori’”.
Inoltre in data 24 agosto 2020, “durante la riunione annuale ex art. 35 D.Lgs 81/2008 della Divisione Servizi Cimiteriali, il sig. Omissis si presentava nell'aula dove si teneva la riunione sprovvisto di mascherina”. Invitato dall'RSPP, sig. YYY “ad indossare la mascherina ‘chirurgica’ distribuita dall' Azienda, non accettava”. L’RSPP a fronte delle insistenze del convenuto, “acconsentiva a che il sig. .. partecipasse alla riunione, sebbene senza mascherina, invitandolo tuttavia ad occupare una posizione in fondo alla sala”.
L’azienda ha elevato contestazione disciplinare nei confronti del sig. Omissis per due infrazioni disciplinari: “il mancato utilizzo della mascherina chirurgica alla riunione aziendale del 24.08.2020, nonché l'affissione” della PEC 14.08.2020 dal medesimo trasmessa alla Direzione di XXX, “istigando in tal modo i lavoratori di tutto il reparto a non indossare la mascherina”.
Gli obblighi del datore di lavoro e l’accoglimento del ricorso
Nella sentenza si ricorda, come indicato in premessa, che il datore di lavoro, “quale garante dell'obbligo di tutela della salute dei lavoratori, è tenuto ad adottare tutte le misure necessarie e opportune per prevenire eventi dannosi. L'obbligo datoriale, a fronte del diffondersi dell'epidemia da Coronavirus, è ribadito dal D.L. 17.3.2020 n. 18, che considera infortuni sul lavoro i casi accertati di Coronavirus contratto sul luogo di luogo”.
E si inserisce in questo quadro il già citato Protocollo condiviso siglato il 14 marzo 2020 da Governo, sindacati ed imprese e integrato successivamente dal Protocollo condiviso24.4.2020, che “contiene le linee guida condivise tra le parti firmatarie per agevolare le imprese nell'adozione di protocolli anti-contagio e per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro”.
Si sottolinea che tra le misure espressamente previste “vi è proprio la fornitura di mascherine e di altri dispositivi individuali, che le aziende devono mettere a disposizione quando i lavoratori sono costretti a prestare la propria attività ad una distanza interpersonale minore di un metro, ma di cui può comunque essere imposto l'utilizzo in relazione alle specifiche realtà organizzative”.
Tra l’altro il Protocollo in realtà - come evidenziato da XXX – “impone le misure organizzative minime da adottare, con l'avvertimento specifico che tali misure sono da integrare con altre e più incisive secondo la peculiarità della singola organizzazione”.
Si segnala poi che in data 08.05.2020 XXX ha siglato “un proprio Protocollo di Sicurezza in applicazione del Protocollo Condiviso del 14.03.2020, approvato da tutte le sigle sindacali, dalla Direzione Risorse Umane, dagli RRLLSS, RSPP, SUPP, Datori di Lavoro (doc. 2 ricorso), che dedica un intero paragrafo all'utilizzo delle mascherine”.
In particolare al punto 12.3 "Utilizzo delle mascherine" si legge “L'utilizzo delle mascherine deve avvenire secondo quanto previsto dalla TABELLA ALLEGATO 3 e/o secondo quanto previsto da specifiche disposizioni dei Datori di Lavoro”. E nell'Allegato 3, nella tabella dell'Igiene Ambientale, “per i conducenti di motobarca e, comunque, per tutti i moli operativi contemplati, è previsto l'utilizzo della mascherina chirurgica. Anche il recentissimo aggiornamento del DVR della Divisione Ambiente, redatto il 14.09.2020, contempla sempre, tra i DPI in dotazione obbligatoria, le mascherine chirurgiche”.
Il Tribunale sottolinea che “nella situazione tragica in cui il Paese e il mondo intero si sono trovati a causa dell'epidemia da COVID 19, l'imposizione ai lavoratori dell'utilizzo della mascherina” da parte di XXX, affermata nel Protocollo citato condiviso con le OOSS, “non è certo misura irrazionale o eccessivamente gravosa, ma risponde pienamente al dovere datoriale di tutelare al meglio i propri dipendenti”. E risulta contraddittorio il comportamento di Omissis che con una precedente richiesta “segnalava l'assenza di un numero congruo di mascherine da assegnare settimanalmente ai lavoratori” e dopo quattro mesi “invoca non ben precisate libertà individuali tutelate dalla Costituzione per opporsi all'utilizzo del dispositivo messo a disposizione dall'azienda”.
Risulta dunque “ingiustificato il mancato utilizzo della mascherina da parte di Omissis nella riunione del 24.8.2020, essendo poco credibile e comunque irrilevante il richiamo al caldo eccessivo, e ancor più ingiustificata è l'invettiva nei confronti dell'azienda, che rasenta la diffamazione e la calunnia, contenuta nella PEC 14.8.2020 e resa pubblica con l'affissione in bacheca in data 26.8.2020, con cui il lavoratore dichiara l'obbligo imposto ‘incostituzionale e illegittimo’”.
Le condotte imputate al lavoratore si possono poi ricondurre – continua la sentenza – “alla disposizione di cui al punto C2) del Codice Disciplinare che, testualmente, prevede: ‘Nel caso in cui un lavoratore... non ottemperi alle disposizioni di legge e/o aziendali in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro, di cui sia stato debitamente portato a conoscenza, verrà irrogata la sanzione, secondo la gravità del caso, del rimprovero verbale, fino a dieci giorni di sospensione’”. E si segnala. infine, che il ruolo ricoperto da Omissis - di RLS – “rende particolarmente grave la condotta e legittima la sanzione irrogata della sospensione per tre giorni”.
Dunque il ricorso giudiziale dell’azienda – conclude il Tribunale – “merita accoglimento” e si accerta la legittimità della sanzione disciplinare della “sospensione di n. 3 giornate di lavoro e di retribuzione”.
Tiziano Menduto
Scarica la sentenza da cui è tratto l’articolo:
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Rispondi Autore: Andrea - likes: 0 | 25/10/2022 (17:48:14) |
Sentenza anacronistica non esistono più quei presupposti giudici… |