Sulla responsabilità e obblighi delle ditte affidatarie e subappaltanti
Roma, 17 Ott – Più volte in questi anni si è sottolineato come molte delle violazioni della normativa in materia di salute e sicurezza avvengano in attività in regime di appalto o subappalto. E molte relazioni delle varie Commissioni parlamentari di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro hanno puntato il dito su questo aspetto. Come indicato, ad esempio, in una relazione del 2010 della Commissione monocamerale istituita dal Senato: “uno dei settori più critici per il rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro è certamente quello degli appalti dove, malgrado l’esistenza di disposizioni assai avanzate, si riscontrano talora ribassi eccessivi nelle offerte sia per la realizzazione che per la progettazione dei lavori, con il rischio di comprimere i costi della sicurezza e di abbassare la stessa qualità delle prestazioni”.
E sul tema degli appalti e subappalti in questi anni si sono soffermate anche diverse sentenze della Corte di Cassazione, anche in relazione all’ individuazione dei committenti e delle posizioni di garanzia nei lavori in appalto.
Riguardo a questi temi ci soffermiamo oggi su una recente sentenza della Corte di Cassazione, la sentenza n. 36066 del 21 luglio 2017, che si sofferma proprio sull’assenza di presidi di sicurezza e responsabilità di una ditta affidataria delle opere e subappaltante.
Nella sentenza della Corte di Cassazione si indica che “la Corte di Appello di Milano con sentenza in data 21.11.2016, sull'appello dell'imputato, confermava la sentenza del Tribunale di Milano che aveva riconosciuto M.L.M. colpevole del reato di lesioni colpose gravi conseguite a Z.F., dipendente della ditta Y. cui era stato subappaltato l'allestimento della realizzazione di tendostruttura”, mentre era “intento a operare sopra detta tendo struttura in assenza di presidi di sicurezza”. In particolare al M.L.M. quale titolare della ditta XXX affidataria delle opere e subappaltante, “veniva contestata la violazione della disciplina antinfortunistica di cui agli art.96 e 97 D.Lgs.vo 81/2008 per non avere verificato le condizioni di sicurezza del lavoro affidati, né di avere previsto con la dovuta precisione le singole lavorazioni nel POS. Si assumeva invero che la responsabilità del legale rappresentante della dita subappaltante si affiancasse a quella del datore di lavoro, ad essa direttamente collegato, in presenza di maestranze assolutamente prive di adeguata formazione e informazione e addirittura prive di qualsiasi istruzione tecnica su come procedere al montaggio e in assenza di adeguato controllo su come procedesse la lavorazione in relazione al rispetto degli strumenti di prevenzione”.
E, continua la sentenza, in relazione alla posizione del M.L.M. “il giudice di appello riconosceva la sua posizione di garanzia rispetto all'operaio precipitato, in primo luogo perché il personale della ditta dell'Y. operava di fatto” sotto il controllo della XXX, le cui maestranze erano appunto transitate dall'una all'altra delle imprese, e perché la stessa XXX, tramite il preposto G., “era presente in cantiere, controllando l'andamento della lavorazione e dando istruzione agli operai; in tale modo palesava piena ingerenza nella lavorazione”. E si negava che la eventuale responsabilità del datore di lavoro dello Z.F. “valesse a escludere la responsabilità del titolare della autonoma veste di garanzia assunta dal M.L.M. quale soggetto che vigilava sulla corretta esecuzione dei lavori, essendo l'affidatario delle opere, sul quale incombevano autonomi obblighi di valutazione dei rischi e di verifica delle condizioni di sicurezza sul luogo di lavoro”.
Si escludeva inoltre che “la condotta improvvida del lavoratore, che si era posto sulla sommità della costruzione senza presidi di sicurezza, costituisse fattore di interruzione del rapporto di causalità materiale rispetto alle inosservanze ascritte al M.L.M., atteso che sotto un primo profilo la condotta non poteva ritenersi esorbitante ed eccezionale in quanto inserita nel circuito lavorativo, e in secondo luogo perché frutto di prassi consolidata, che non risultava vietata o comunque avversata da chi era preposto a verificare l'andamento dei lavori e il rispetto delle regole di protezione, prassi peraltro accreditata dalla totale assenza sul luogo di lavoro degli strumenti di sicurezza necessari (fune, imbragatura, punti di ancoraggio, ponteggio di protezione, aree di passaggio in quota)”.
Avverso a tale sentenza proponeva poi ricorso per cassazione la difesa dell'imputato M.L.M. “deducendo un unico articolato motivo di ricorso”. Nella prospettazione del ricorrente, l'infortunio “era da ascriversi alla condotta abnorme e improvvida del lavoratore che per abbreviare i tempi della lavorazione e in violazione delle prescrizioni ricevute aveva adottato una procedura vietata, laddove il datore di lavoro aveva assolto a tutti gli obblighi precauzionali sullo stesso gravanti, ponendo il lavoratore nelle condizioni di operare in sicurezza e non vigendo un obbligo di vigilanza assoluta e continua sulla stessa”.
A questo proposito la Corte di Cassazione indica che i giudici di merito hanno adeguatamente mostrato le ragioni per le quali gli obblighi di garanzia e di coordinamento dei presidi di sicurezza all'interno del cantiere fossero riferibili anche alla impresa XXX di cui l'imputato ricorrente era titolare, “quale appaltatore affidatario delle opere relative al montaggio della tendo struttura, e quale impresa che dirigeva, coordinava e controllava le opere svolte nel cantiere dalla ditta Y., la quale operava con maestranze già utilizzate dalla azienda affidataria”.
E si indica che ai fini della operatività degli obblighi di coordinamento e di cooperazione connessi all'esistenza di un rischio interferenziale (art. 26 D.Lgs. 81/2008), “occorre avere riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, quali il contratto di appalto, di opera o di somministrazione, ma all'effetto che tale rapporto origina, ovvero alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano nel medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per la incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte (sez.IV, 7.6.2016, P.C. in proc. Carfì e altri, Rv. 267687; 17.6.2015, Mancini, Rv. 264957)”.
E non pare dubbio che nel caso in specie la impresa XXX “aveva di fatto mantenuto la gestione del rapporto di appalto ricevuto dalla società committente e aveva provveduto, mediante il proprio responsabile di cantiere G., come da questo ammesso, a controllare la corretta esecuzione delle opere e a fornire istruzioni sulle modalità di esecuzione delle stesse, anche in presenza di una diversa posizione di garanzia costituita dal titolare della Y. datore di lavoro dell'operaio infortunato”. E con riferimento alla posizione del subappaltatore in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro “il sub committente è sollevato dai relativi obblighi solo ove i lavori siano subappaltati per intero, cosicché non possa più esservi alcuna ingerenza da parte dello stesso nel confronti del subappaltatore (sez.IV, 5.6.2008, Riva e altro, Rv. 240314; sez.IV 20.11.2009, Fumagalli e altri, Rv.246302), in pieno accordo alle argomentazione svolte dai giudici in relazione alla posizione di garanzia assolta dal soggetto che le opere di installazione della tendo struttura aveva affidato alla Y., peraltro senza neppure comunicare al committente l'esistenza di un ulteriore passaggio di consegne”.
E dunque la Corte di Appello ha rappresentato con “adeguato apparato motivazionale” gli spunti in base ai quali ha ritenuto che la ditta XXX, e per essa il suo titolare, “non poteva ritenersi estranea alle lavorazioni della ditta sub appaltatrice, sia in ragione del campo di rischio cui si riferiva la lavorazione, sia in ragione della volontaria assunzione di una specifica e costante attività di controllo e di coordinamento degli interventi di montaggio della tendo struttura”. Ed è del tutto infondata l'articolazione che prospetta “ipotesi di esclusione del rapporto di causalità tra le condotte colpose ascritte al M.L.M. e l'evento dannoso a fronte del comportamento abnorme e pericoloso dell'operaio della ditta esecutrice delle opere”.
A questo proposito si ricorda che la Suprema Corte ha precisato “che è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, nel segmento di lavoro attribuitogli (vedi sez.IV, 28.4.2011, Millo e altri, Rv. 250710; 10.10.2013, Rovaldi, Rv.259313; 23292; 5.3.2015, Guida, Rv.263386), soprattutto quando, come nel caso in specie si trovava in cantiere un preposto della ditta affidataria che controllava l'andamento delle opere fornendo istruzioni sulla corretta esecuzione delle stesse”.
Emerge dunque, continua la Corte di Cassazione, l'assoluta infondatezza del motivo di ricorso, ulteriormente spiegato nel dettato della sentenza n. 36066, anche con riferimento ai compiti del “responsabile della sicurezza all'Interno del luogo di lavoro” (compiti che non si arrestano alla acquisizione dei presidi volti ad assicurare la protezione dei singoli dipendenti “ma impongono allo stesso di richiedere l'osservanza della utilizzazione dei suddetti dispositivi”).
In conclusione il ricorso viene rigettato e la parte ricorrente è condannata al pagamento delle spese processuali.
RTM
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