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Sulla corretta individuazione del perimetro di applicabilità

Sulla corretta individuazione del perimetro di applicabilità
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

24/10/2022

Il committente ex art. 26 d. Lgs. 81/2008 deve essere un vero e proprio datore di lavoro e non un soggetto privato. L’ambito di applicazione è quindi l'azienda sempre che lo stesso abbia la disponibilità giuridica dei luoghi ove si svolge l'appalto.

Il committente, in applicazione dell’art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., deve essere un vero e proprio datore di lavoro e non un soggetto privato in quanto la disciplina di cui al medesimo articolo ha come ambito di applicazione una azienda e il suo ciclo produttivo e sempre che il datore di lavoro abbia la disponibilità giuridica dei luoghi ove si svolge l'appalto. E’ questa l’interpretazione, ha sostenuto la Corte di Cassazione in questa sentenza, alla quale è giunta la giurisprudenza circa l’applicazione del citato art. 26 con il quale sono state fisare le disposizioni di sicurezza sul lavoro annesse ai contratti di appalto o d’opera o di somministrazione.

 

La ratio della norma nella versione originaria dell’articolo, ha evidenziato la suprema Corte, è stata quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative nel medesimo luogo di lavoro per cui il datore di lavoro "committente" è tenuto ad apprestare all'interno della propria azienda quanto necessario al fine di prevenire ed evitare i rischi aggiuntivi detti interferenziali, derivanti cioè dalla contemporanea presenza di più imprese che operano sul medesimo luogo di lavoro, attivando e promovendo percorsi condivisi di informazione e cooperazione, soluzioni comuni di problematiche complesse, rese tali dalla sostanziale estraneità dei dipendenti delle imprese appaltatrici all'ambiente di lavoro dove prestano la propria attività lavorativa. Successivamente, ha precisato la suprema Corte, con l’art. 16 del D. Lgs. n. 106/2009 al primo comma, con il quale erano stati fisati gli obblighi del committente datore di lavoro, è stato aggiunto l’inciso con il quale è stata inserita la condizione che il committente datore di lavoro abbia anche la disponibilità dei luoghi nei quali si svolge l’appalto o la prestazione di lavoratore autonomo.

 

Il fatto di cui alla sentenza in esame ha riguardato l’infortunio mortale accaduto a un dipendente di una ditta appaltatrice caduto dall’alto durante alcuni lavori di rifacimento della copertura di un capannone di proprietà del committente ma utilizzato da una una impresa affittuaria. Condannato nei due primi gradi di giudizio, il committente ha proposto ricorso per cassazione e la Corte suprema, nel prendere le sue decisioni, si è espressa sulla corretta interpretazione del perimetro di applicabilità dell’articolo suddetto e, ritenendo incongruo nel caso in esame il richiamo allo stesso, ha annullata la sentenza impugnata con rinvio degli atti alla Corte di Appello di provenienza per un nuovo esame.

 

Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.

Il Tribunale ha ritenuto i soci amministratori di una ditta esecutrice e il Presidente del Consiglio di Amministrazione di una società committente, colpevoli del reato di cui agli artt. 113 e 590, commi l, 2, 3 e 5 cod. pen., per avere cagionato con cooperazione di condotte colpose le lesioni patite da un lavoratore dipendente della ditta esecutrice nonché per una serie di violazioni del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 e li ha condannati alla pena di sei mesi di reclusione (i primi due) e due mesi di reclusione (il secondo) oltre al risarcimento del danno patito dalla parte civile costituita da liquidarsi in separato giudizio con concessione di una provvisionale immediatamente esecutiva.

 

La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, concesse le circostanze attenuanti generiche ai soci amministratori della ditta esecutrice equivalenti alle contestate aggravanti, ha rideterminato la pena nei loro confronti in tre mesi di reclusione ciascuno con pena sospesa nei confronti di tutti gli imputati. Ha altresì revocato le statuizioni civili nei confronti degli stessi soci e la provvisionale nei confronti del committente rimettendo con riferimento a quest'ultimo le parti dinanzi al competente giudice civile.

 

Dalla ricostruzione offerta dalle sentenze di merito il fatto può essere così riassunto. Nel corso dei lavori di esecuzione di un appalto stipulato tra la società committente e la ditta appaltatrice, avente ad oggetto la sostituzione del manto di copertura in eternit di un capannone di proprietà della committente, un dipendente della ditta appaltatrice, sfondando una lastra di cemento amianto era precipitato dalla quota del tetto del capannone per circa sette metri cadendo all'interno dello stesso e procurandosi lesioni consistite in frattura I costa destra e VIII, IX e X sinistra con contusione polmonare e conseguente incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a quaranta giorni.

 

Il lavoratore era salito in quota con la piattaforma sollevatrice privo, come gli altri operai, di un dispositivo individuale anticaduta e la copertura del tetto era priva di protezioni perimetrali atte ad evitare la caduta dall'alto e non pedonabile in sicurezza. Esistevano, inoltre, come comprovato dalle foto in atti, strettissimi corridoi costituiti da travi autoportanti in cemento alternate alle lastre non calpestabili in eternit.

 

Le sentenze di merito, sulla scorta delle prove testimoniali assunte, hanno ritenuto provata la responsabilità tanto dei datori di lavoro dell'infortunato quanto del Presidente della società committente. I primi erano stati ritenuti responsabili dei reati loro contestati in quanto avevano omesso di redigere il POS attinente allo specifico cantiere avendone redatto uno riguardante lavori di impermeabilizzazione al tetto e non invece quelli di rimozione della copertura in lastre di cemento amianto e non avevano predisposto altresì opere provvisionali atte ad impedire la caduta dall'alto, né linee vita, parapetti o tracciati pedonabili.

 

Con riguardo invece al Presidente della società committente, che aveva delegato al figlio l'incombenza di accompagnare la ditta appaltatrice al capannone per il sopralluogo, l'addebito è stato quello di aver omesso di verificare che il suo delegato avesse fornito all'appaltatore secondo la cooperazione imposta dall'art. 26 comma 2 lett. a) del D. Lgs. n. 81 /2008, ogni informazione circa la situazione della copertura, di non aver preso inoltre informazioni circa la serietà con cui l'appaltatore aveva da sé valutato le condizioni del luogo di lavoro, concludendo un contratto di appalto che ometteva la specifica delle opere provvisionali, e di non aver cooperato con il datore di lavoro nell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi incidenti sull'attività lavorativa oggetto del contratto di appalto. Non è stata invece ritenuta la responsabilità del medesimo in relazione all'art. 100 del D. Lgs. n. 81 /2008 giacché la redazione del PSC non era obbligatoria in assenza di interferenza tra ditte in operatività.

 

Avverso la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per cassazione il Presidente della società committente adducendo delle motivazioni a mezzo del proprio difensore. Lo stesso ha sostenuto innanzitutto la non sussistenza di un nesso di causalità tra il comportamento dell’imputato e l'evento atteso, che lo stesso inoltre non era stato avvisato dell'inizio dei lavori e che il rispetto delle regole di sicurezza altresì era di competenza del datore di lavoro della ditta appaltatrice.

 

Con un secondo motivo di ricorso il difensore ha dedotto l'erronea applicazione degli artt. 26 e l00 del D. Lgs. n. 81 del 2008. Non poteva ascriversi al committente nel caso in esame, ha infatti sostenuto, la responsabilità dell'evento in quanto nel luogo del sinistro non operavano contemporaneamente lavoratori dipendenti sia dal committente che dall'appaltatore e ha sottolineato inoltre che il capannone ove era avvenuto l'incidente non poteva qualificarsi azienda in quanto la società committente non aveva neanche la disponibilità giuridica del luogo in quanto era utilizzato da altra impresa. Unica responsabile di quanto accaduto era pertanto da considerarsi, secondo la difesa, la ditta esecutrice non essendo emersa peraltro alcuna ipotesi di rischio interferenziale in quanto sul cantiere erano presenti solo i prestatori d'opera subordinati della ditta stessa.


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Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione, con riferimento alla ritenuta sussistenza in capo al committente della violazione di cui all'art. 26 comma 2 lett. a) e comma 5 del D. Lgs. n. 81 del 2008, ha premesso che tale articolo disciplina e presidia il processo di sicurezza sul lavoro in tutte quelle situazioni in cui all'interno di un luogo di lavoro, per effetto della stipula di contratti frutto della scelta del datore di lavoro, facciano ingresso soggetti estranei all'attività di impresa, ma che comunque operano nell'interesse del processo produttivo, allorché vengono però a realizzarsi inevitabilmente, per effetto di tale interferenza, condizioni aggiuntive di rischio per la tutela dei lavoratori.

 

La ratio della norma, ha sottolineato la suprema Corte, è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative nel medesimo luogo di lavoro. E’ quella, in particolare, di far si che il datore di lavoro "committente" appresti all'interno della propria azienda quanto necessario al fine di prevenire ed evitare i rischi aggiuntivi detti interferenziali, derivanti cioè dalla contemporanea presenza di più imprese che operano sul medesimo luogo di lavoro, attivando e promovendo percorsi condivisi di informazione e cooperazione, soluzioni comuni di problematiche complesse, rese tali dalla sostanziale estraneità dei dipendenti delle imprese appaltatrici all'ambiente di lavoro dove prestano la propria attività lavorativa.

 

L'art. 26 del D. Lgs n. 81/2008 è stato però poi integrato, ha precisato la Sez. IV, rispetto alla versione originaria dall'art. 16 del D. Lgs. n. 106/2009 con l'aggiunta al primo comma dell'inciso "...sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo". Il profilo soggettivo quindi che viene qui in rilievo, ha così proseguito la Corte suprema, è stato nel tempo oggetto di diverse interpretazioni giurisprudenziali in relazione alla questione se gli obblighi contemplati dal citato articolo 26 fossero applicabili anche al committente che non sia imprenditore. “L'interpretazione cui è giunta la giurisprudenza è nel senso di ritenere che il committente ex art. 26 sia un vero e proprio datore di lavoro e non un soggetto privato. Ne deriva quindi che la disciplina di cui all'art. 26 cit. ha come ambito di applicazione l'azienda, il ciclo produttivo, sempre che il datore di lavoro abbia la disponibilità giuridica dei luoghi ove si svolge l'appalto”.

 

Ebbene posti tali principi, ha evidenziato la suprema Corte, dalla lettura delle sentenze di merito, è incontestato che nel caso dedotto in giudizio il contratto di appalto stipulato tra la società committente e quella appaltatrice aveva ad oggetto i lavori di sostituzione delle travi di copertura di un capannone industriale di proprietà della seconda e detenuto e utilizzato come deposito da altri per cui l'immobile non era neanche nella disponibilità giuridica della società committente. E' del pari incontroverso che nella realizzazione dei lavori in esame non erano coinvolte altre imprese essendo stati presenti in loco i soli prestatori di lavoro alle dipendenze della ditta appaltatrice cosicché non era neanche configurabile un rischio di tipo interferenziale. Pertanto, ha sostenuto la suprema Corte, il richiamo all'art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008, in quanto disciplinante una fattispecie diversa, si rivela incongruo.

 

Dalla lettura, inoltre, delle sentenze di merito non è emerso, ha così proseguito la Sez. IV, che l'imputato abbia attuato quella "ingerenza" espressiva di una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell'opera, tale da renderlo, per questa ragione, destinatario degli obblighi assunti dall'appaltatore, tra questi quello di controllare direttamente le condizioni di sicurezza del cantiere. Invero, l'"ingerenza", quale fattore idoneo a coinvolgere il committente nella responsabilità per eventi lesivi occorsi agli addetti, deve consistere in una attività di concreta interferenza sul lavoro altrui, tale da modificarne le modalità di svolgimento e da stabilire comunque con gli addetti ai lavori un rapporto idoneo ad influire sull'esecuzione degli stessi e ha citato in merito fra le altre la sentenza n. 14407 del 7/12/2011 pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ Sulla responsabilità del committente dell’opera nei cantieri”.

 

Pertanto, una volta che la società committente aveva provveduto ad individuare un soggetto dotato dei previsti requisiti tecnico-organizzativi per la realizzazione dei lavori (profilo che eventualmente avrebbe potuto radicare una culpa in eligendo, che non risulta essere mai stata contestata nel presente giudizio) e rilevato peraltro che con riguardo al luogo in cui l'opus andava realizzato non può parlarsi di cantiere, il rischio specifico relativo allo smaltimento delle lastre di amianto incombeva unicamente sulla ditta appaltatrice.

 

Alla luce di quanto fin qui esposto, in conclusione, gli specifici addebiti colposi mossi all'imputato non sono risultati, secondo la Corte di Cassazione, congruenti rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio che quindi dovrà essere nuovamente valutata per cui ha annullata la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di provenienza.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 30809 del 9 agosto 2022 (u.p. 5 maggio 2022) - Pres. Dovere – Est. Cirese – PM Della Cardia - Ric. P.A.. - Il committente ex art. 26 d. Lgs. 81/2008 deve essere un vero e proprio datore di lavoro e non un soggetto privato. L’ambito di applicazione e’ quindi l'azienda sempre che lo stesso abbia la disponibilità giuridica dei luoghi ove si svolge l'appalto.





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