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Sulla continuità normativa fra il D. Lgs. n. 626/94 e il D. Lgs. n. 81/08

Sulla continuità normativa fra il D. Lgs. n. 626/94 e il D. Lgs. n. 81/08
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

08/07/2013

In tema di sicurezza sul lavoro sussiste continuità normativa tra le disposizioni di cui al d.lgs. 626/94, anche se abrogato, e quelle di cui al d.lgs. 81/08 contenente il testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Di G.Porreca.

 
Commento a cura di G. Porreca.
 
Se ancora sussiste qualche dubbio in merito, la Corte di Cassazione in questa breve e recentissima sentenza ha ribadito quanto più volte già ripetuto in precedenza e cioè che in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro sussiste  continuità normativa tra le disposizioni di cui al D. Lgs. 19/9/1994 n. 626, anche se formalmente abrogato dal D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, contenente il Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e quindi la vigente normativa antinfortunistica, considerato che il contenuto delle disposizioni abrogate risulta recepito dagli artt. 28 e 29 del D. Lgs. n. 81/2008, in relazione ai rischi aziendali ed alle modalità di effettuazione della relativa valutazione, che tutelano penalmente le cautele antinfortunistiche. La continuità individuata nel caso in esame è risultata essere quella fra le disposizioni di cui all’ex D. Lgs. n. 626/1994 ed il vigente D. Lgs. n. 81/2008 riguardanti gli obblighi del datore di lavoro di organizzare il servizio di prevenzione e protezione e di nominare il responsabile del servizio medesimo (RSPP) nonché di designare i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di  gestione dell’emergenza.

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Le contravvenzioni contestate e il ricorso in Cassazione
Il Tribunale ha dichiarato un datore di lavoro colpevole del reato di cui all'art. 4 comma 4 lett. a) del D. Lgs. n. 626/1994, modificato dal D. Lgs. n. 242 del 1996, in quanto ha omesso  di nominare il responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, secondo il disposto dell’art. 8 dello stesso D. Lgs. n. 626/1994, edel reato di cui all’art. 12, comma 1 lett. b) del D. Lgs. n. 626/1994, modificato dal D. Lgs. n. 242/1996, per avere omesso di designare i lavoratori incaricati di attuare le misure relative alla prevenzione incendi e lotta antincendi e lo ha quindi condannato alla pena di euro 2.500 per ciascun reato.
 
Dopo avere rilevato che le norme contestate risultavano integralmente recepite dal D. Lgs. n. 81/2008 e che fra le stesse sussisteva una continuità normativa, il Tribunale ha ritenuto provata la responsabilità dell'imputato sulla base dell'accertamento ispettivo, eseguito presso il cantiere dell'impresa edile dallo stesso gestito, da un funzionario della Direzione Provinciale del Lavoro durante il quale erano state contestate le inosservanze sopraindicate che ha poi confermate allorquando è stato ascoltato come teste.

Il ricorso e le decisioni della Corte di Cassazione
L’imputato ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione adducendo come motivo essenziale che le violazioni contestate erano state accertate in vigenza del D. Lgs. n. 626/1994, modificato dal decreto 242/1996, e che le norme incriminatrici, formalmente abrogate dall'entrata in vigore del D. Lgs. n. 81/2008 ai sensi dell’art. 304, comma 1, lett. b) dello stesso decreto, non potevano ritenersi confluite nelle nuove disposizioni, come risulta dalla diversa struttura dell’art. 8 del D. Lgs. n. 626/1994 rispetto all'art. 31 del vigente D. Lgs. n. 81/2008 e dell’art. 12, comma 1 lett. b) del D. Lgs. n. 626/1994 rispetto all'art. 37 del D. Lgs. n. 81/2008 per cui, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale stesso, non sussisteva, a suo avviso, continuità normativa tra le predette disposizioni.
 
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso perché manifestamente infondato. Come più volte e ripetutamente già affermato, la Corte suprema ha precisato che “in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro, sussiste continuità normativa tra il D. Lgs. n. 626 del 1994, art. 4 (concernente gli obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto) - ancorché formalmente abrogato dal D. Lgs. n. 81 del 2008, art. 304 (Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) - e la vigente normativa antinfortunistica, considerato che il contenuto delle predette disposizioni risulta recepito dal D. Lgs. n. 81 del 2008, artt. 28 e 29, in relazione ai rischi aziendali ed alle modalità di effettuazione della relativa valutazione, disposizioni che tutelano penalmente le predette cautele antinfortunistiche (cass. Sez. 4, Sentenza n. 42018 del 12/10/2011 Ud. dep. 15/11/2011 Rv.251932; cfr. anche Sez. 3, Sentenza n. 23968 del 03/03/2011 Ud. dep. 15/06/2011 Rv. 250375)”.
 
La Sez. III ha ritenute valide le stesse considerazioni anche per la contravvenzione contestata di cui all’art. 12, comma 1, lett. b) del D. Lgs. n. 626/1994 per omessa designazione dei lavoratori incaricati di attuare le misure relative alla prevenzione incendi e lotta antincendio giacché l’art. 18 comma 1 lett. b) del D. Lgs. n. 81/2008 prevede, tra gli obblighi del datore di lavoro, anche quello di "designare preventivamente i lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio...") e l'art. 43 sulle disposizioni generali, inoltre, prevede tra gli adempimenti del datore di lavoro, al comma 1 lett. b, anche quello di "designare preventivamente i lavoratori di cui all'art. 18, comma 1, lett. b)" cioè, appunto, quelli "incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio"), mettendo in evidenza, infine, che l'art. 55 al comma 5 lett. a) prevede la sanzione penale dell'arresto da due a quattro mesi o dell'ammenda da 750 a 4.000 euro anche per la violazione dell'art. 43 comma 1 lett. b).
 
Per quanto sopra detto quindi la Sez. III ha condiviso e ritenuto corretto il ragionamento fatto dal Tribunale in materia di successioni delle leggi considerando invece errata l'affermazione del ricorrente secondo cui la violazione di un tale obbligo non comporta alcuna sanzione penale ed ha pertanto confermata la sentenza di condanna del Tribunale condannando il ricorrente stesso al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
 
 
 
 
 

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