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Sull’obbligo di impedire un evento in presenza di più garanti della sicurezza

Sull’obbligo di impedire un evento in presenza di più garanti della sicurezza
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

03/02/2025

In tema di reati omissivi colposi in materia di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, se vi sono più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è, per intero, destinatario dell'obbligo giuridico di impedire un evento infortunistico.

E’ ricorrente la dinamica dell’infortunio di cui si è occupata la Corte di Cassazione. Durante i lavori di copertura di un capannone consistenti nella rimozione di lastre di cemento-amianto si è verificata la caduta di un lavoratore che ha calpestato e rotta una di queste lastre che non è risultata non essere protetta. Dell’accaduto sono stati ritenuti responsabili il datore di lavoro dell’infortunato, amministratore di un’impresa subappaltatrice, l’amministratore della ditta affidataria e il  coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione (CSE) in concorso fra di loro per la mancanza di alcune misure di sicurezza quali la protezione della caduta dall’alto e l’elaborazione del piano operativo di sicurezza (POS).

 

Ha ricorso per cassazione solo il datore di lavoro dell’impresa subappaltatrice basando la sua difesa sul fatto che la disposizione di reti di protezione contro la caduta dall’alto erano a carico dell’impresa affidataria sul cui corretto comportamento aveva fatto affidamento. La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso richiamando due principi della giurisprudenza e ricordando che la disciplina dei "cantieri temporanei o mobili" contenuta nel Titolo IV del D. Lgs. n. 81/2008 attribuisce autonomi e concorrenti obblighi di sicurezza al titolare della impresa affidataria, ai datori di lavoro delle imprese esecutrici e, con loro, ai coordinatori per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori e richiamando uno dei principi fondamentali della giurisprudenza di legittimità secondo cui le trasgressioni agli obblighi di sicurezza da parte di un soggetto obbligato non si riflettono in un esonero dell'altro, salvo che non abbiano risolutiva incidenza sul piano causale. In tema di reati omissivi colposi in materia di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, ha inoltre aggiunto, se vi sono più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è, per intero, destinatario dell'obbligo giuridico di impedire un evento infortunistico.

 

Il fatto e l’iter giudiziario

La Corte di Appello ha riformata, quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza pronunciata dal Tribunale nei confronti del datore di un’impresa subappaltatrice, confermando invece, per quanto rileva in questa circostanza, l'affermazione della sua penale responsabilità per il reato di cui agli artt. 113, 40, comma 2, 590, commi 1 e 3, in relazione all'art. 583, comma 1, n. 1), cod. pen. in danno di un lavoratore dipendente. L’imputato era stato ritenuto responsabile di questo reato in cooperazione colposa con l'amministratore unico dell’impresa appaltatrice (che non aveva proposto ricorso contro la sentenza della Corte di Appello) e con il Coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva (che è stato condannato in primo grado e non ha proposto appello contro la sentenza del Tribunale).

 

Il procedimento ha avuto ad oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi presso un capannone stesso consistenti di una società che aveva affidato all’impresa appaltatrice i lavori di ristrutturazione del capannone consistenti nella sostituzione della copertura, costituita in parte da lastre in cemento-amianto, Dovendo inoltre operare nel cantiere più imprese, era stato nominato un Coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva.

 

Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, sulla copertura del capannone erano presenti lucernari inidonei a reggere il peso di una persona. Il Piano di Sicurezza e Coordinamento prevedeva che questi lucernari fossero circondati da parapetti e su tutta la superficie degli stessi fossero stese reti di protezione, ma il giorno dei fatti questi presidi di sicurezza non erano ancora stati installati; il giorno dell’infortunio i tre dipendenti della ditta subappaltatrice erano saliti sulla copertura per iniziare il lavoro di rimozione delle lastre in amianto. Già in precedenza, l'intera copertura era stata trattata con materiale di fissaggio di colore rosso che serve ad evitare la dispersione di fibre di amianto, sicché il tetto aveva una colorazione unica sia per le coperture dei lucernari che per le altre lastre. Per svolgere il lavoro i dipendenti della ditta subappaltatrice avevano predisposto una linea vita e stavano lavoravano indossando cinture di sicurezza. La rimozione delle lastre in cemento-amianto avveniva facendo uso di una gru di proprietà della impresa affidataria che si era bloccata. Il lavoratore infortunato (che aveva la qualifica di elettricista ed era stato distaccato presso il capannone per la temporanea assenza di materiale elettrico in altro cantiere), pensando che potesse esserci un problema elettrico, aveva deciso di scendere a controllare e mentre camminava sul tetto, aveva messo i piedi su un lucernario che non aveva retti il suo peso e si era rotto facendolo precipitare da un'altezza di dieci metri. La malattia conseguente aveva avuta la durata superiore ai quaranta giorni e comportato una limitazione dell'abilità lavorativa.

 

Il datore di lavoro dell’infortunato era stato ritenuto responsabile dell'infortunio (in cooperazione colposa con il datore di lavoro dell’impresa affidataria e con il coordinatore per colpa specifica, consistita nella violazione degli artt. 148, commi 1 e 2; 100, comma 3; 36, comma 2; 96, comma 1, lett. g) de D. Lgs. 30 aprile 2008 n. 81. In particolare:

- per aver omesso di adottare le cautele necessarie a garantire l'incolumità dei lavoratori pur consapevole che sulla copertura del capannone vi erano lucernari la cui resistenza a sostenere il peso degli operai era dubbia (art. 148, commi 1 e 2 D. Lgs. n. 81/08);

- per non aver attuato (né verificato che fossero attuate) le prescrizioni del Piano di Sicurezza e Coordinamento in base al quale i lucernari dovevano essere protetti da parapetti e reti anticaduta (art. 100, comma 3, D. Lgs. n. 81/08);

- per non aver fornito ai lavoratori le necessarie informazioni sui rischi specifici cui erano esposti per la presenza dei lucernari (art. 36, comma 2, D. Lgs. n. 81/08);

- per non aver predisposto il Piano Operativo di Sicurezza e per non avere conseguentemente individuato misure preventive e protettive in relazione al rischio specifico di caduta nei lucernari (art. 96, comma 1, lett. g), D. Lgs. n. 81/08).

 

Il ricorso per cassazione e le motivazioni.

Il datore di lavoro dell’infortunato ha proposto tempestivo ricorso contro la sentenza della Corte di Appello per mezzo del difensore munito di procura speciale. Il ricorso è stato presentato con un unico articolato motivo con il quale la difesa ha dedotto vizio di motivazione in ordine alla prova dell'elemento soggettivo del reato. Secondo la difesa l'unica cautela concretamente realizzabile prima della rimozione delle lastre di amianto era rappresentata dalla predisposizione di reti anticaduta perché la necessità di rimuovere queste lastre impediva di collocare parapetti lungo il perimetro dei lucernari. Tali reti avrebbero dovuto essere predisposte dal personale dell’impresa affidataria. L’imputato aveva fatto affidamento sull'adempimento di tali obblighi cautelari. Tale affidamento era stato rafforzato dalle rassicurazioni ricevute dal coimputato, datore di lavoro dell’impresa affidataria, che aveva detto di aver provveduto alla posa in opera di tali misure di protezione collettiva.

 

Il ricorrente ha lamentata una carenza della motivazione, che non avrebbe efficacemente confutato la tesi difensiva secondo la quale la realizzazione dei parapetti, pur prevista dal PSC, non era possibile se non dopo la "completa rimozione delle onduline in amianto. Ha sostenuto, inoltre, che la motivazione sarebbe stata contraddittoria perché, pur avendo riconosciuto che l'obbligo di predisporre le reti anticaduta gravava sull’impresa affidataria aveva ritenuto che dovesse essere lui a verificare il concreto adempimento di tale obbligo né potesse fare affidamento sulle assicurazioni ricevute.

 

Secondo la difesa, in sintesi, il ricorrente aveva fatto affidamento sul regolare adempimento degli obblighi che il datore di lavoro dell’impresa affidataria aveva assunto e non aveva avuto ragione di supporre che lo stesso non avesse correttamente adempiuto ai propri obblighi. L’evento quindi era stato reso possibile soltanto da questo inadempimento. A sostegno di tali argomentazioni la difesa ha osservato:

- che l'affidamento nel comportamento altrui non esclude la colpa solo se chi si affida è già in colpa "per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio all'omissione";

- che il cantiere era nella piena disponibilità dell’impresa affidataria dei lavori;

- che l'impresa affidataria aveva commissionato a quella subappaltatrice la rimozione dei materiali in amianto;

- che grava sul committente l'obbligo di verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e la congruenza dei piani operativi di sicurezza delle imprese esecutrici rispetto al proprio.

 


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Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso. La stessa ha osservato che dalla lettura delle sentenze di merito è emerso che, il giorno dei fatti, il lavoratore infortunato stava collaborando alla rimozione delle lastre di amianto dal tetto del capannone dì proprietà della committente perché nel cantiere al quale era addetto (situato in un'altra regione) mancava il materiale elettrico. Il lavoratore infortunato, dunque, era giunto nel capannone per la prima volta quella mattina ed era solo temporaneamente addetto a quel cantiere.

 

I giudici di merito hanno inoltre riferito che i colleghi di lavoro dell’infortunato erano già presenti in cantiere nei giorni precedenti, quando la copertura del capannone era stata trattata col materiale di fissaggio, che erano stati informati del fatto che il materiale di copertura dei lucernari non era resistente e che entrambi i lucernari sarebbero stati messi in sicurezza dall’impresa affidataria con reti anticaduta. Analoga certezza, tuttavia, non era stata acquisita per quanto riguarda il lavoratore infortunato il quale, sentito quale testimone in udienza, ha dichiarato di non aver ricevuto indicazioni sulle caratteristiche del tetto, "di non sapere di cosa fossero fatte le lastre non ondulate", ma di aver appreso, perché glielo avevano detto i colleghi di lavoro, che l’impresa affidataria aveva posizionato reti anticaduta. Quando il lavoratore infortunato era giunto in cantiere, la copertura del tetto era già stata cosparsa di fissante rosso (che serve ad evitare la dispersione delle fibre di amianto) sicché la differenza tra le lastre che costituivano il tetto del capannone e il materiale che copriva i lucernari non era immediatamente visibile.

 

Sulla base di queste emergenze istruttorie i giudici di merito hanno ritenuto provata, secondo la suprema Corte, la violazione dell'art. 36, comma 2, D. Lgs. n. 81/08 in base al quale il datore di lavoro deve provvedere "affinché ciascun lavoratore riceva una adeguata informazione... sui rischi specifici cui è esposto in relazione all'attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia". La motivazione quindi non aveva presentato profili di contraddittorietà o manifesta illogicità. Come la sentenza impugnata ha sottolineato, infatti, nel corso del giudizio non è emerso che il lavoratore infortunato fosse stato informato della fragilità dei lucernari, resi ben poco visibili, da vicino, per il riverbero della vernice rossa che serviva ad incapsulare l'amianto e la circostanza che l'infortunato fosse arrivato in cantiere quel giorno per la prima volta porta a ritenere che egli sia stato incaricato di lavorare sul tetto senza essere stato "istruito dettagliatamente sui rischi del sito".

 

Considerazioni analoghe devono essere sviluppate, secondo la Corte di Cassazione, con riferimento alla ritenuta violazione dell'art. 96, comma 1, lett. g) del D. Lgs. n. 81/08. La norma in esame impone ai "datori di lavoro delle imprese affidatane e delle imprese esecutrici" di redigere "il piano operativo di sicurezza di cui all'articolo 89, comma 1, lettera h)" e dalle sentenze di merito è emerso che l’imputato non aveva provveduto in tal senso. Il POS, infatti, non fu rinvenuto in cantiere e, solo molto tempo dopo il verificarsi dell'incidente, l’imputato ha consegnato agli operatori della prevenzione incaricati delle indagini un piano operativo di sicurezza privo di data certa. La mancata predisposizione del POS, secondo i giudici di merito è stata anche confermata dalle dichiarazioni rese in udienza dal Coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva, che ha dichiarato di aver ricevuto dalla ditta subappaltatrice solo il piano di lavoro per la rimozione dell'amianto e non anche il POS.

 

Il ricorso, inoltre, ha evidenziato la suprema Corte, non si è confrontato con le motivazioni della sentenza impugnata e non ha contestato alcuni dei profili di colpa che i giudici di merito avevano ritenuto: in specie, la violazione degli artt. 36, comma 2 del D. Lgs. 81/2008. Non è revocabile in dubbio, ha sostento la Sezione IV, che la violazione di quest’ultima norma cautelare congiuntamente a quella della mancata redazione del POS abbiano avuto rilevanza causale nel verificarsi dell'infortunio. Si tratta di norme che obbligano i datori di lavoro a valutare i rischi cui i dipendenti sono esposti e a informare i lavoratori sulle situazioni di pericolo e sul modo di prevenirle.

 

Né maggior pregio ha avuto, secondo la suprema Corte, la tesi difensiva secondo la quale l’imputato poteva fare affidamento sul rispetto da parte dell’impresa affidataria degli artt. 100, comma 3, e 148, commi 1 e 2, D. Lgs. n. 81/08. Nella prospettiva del ricorrente, poiché i lavori erano stati affidati all’impresa subappaltatrice e poiché il PSC aveva attribuito alla stessa il compito di mettere in sicurezza il cantiere, tutti gli obblighi di sicurezza connessi alla pericolosità del luogo di lavoro gravavano sul legale rappresentante della stessa. Tale prospettazione, tuttavia, ha precisato la Corte di Cassazione, contrasta col dettato normativo, che attribuisce autonomi e concorrenti obblighi di sicurezza al titolare della impresa affidataria, ai datori di lavoro delle imprese esecutrici e, con loro, ai coordinatori per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori. La disciplina dei "cantieri temporanei o mobili" contenuta nel Titolo IV del D. Lgs. n. 81/08, infatti, è inequivoca in tal senso e la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che le trasgressioni agli obblighi di sicurezza da parte di un obbligato non si riflettono in un esonero dell'altro, salvo che non abbiano risolutiva incidenza sul piano causale.

 

Tale esclusiva incidenza causale non è ravvisabile nel caso di specie e non solo perché, come già chiarito, ciascun datore di lavoro ha l'obbligo di informare i dipendenti sui rischi specifici cui sono esposti ed è tenuto a valutare quei rischi (l'art. 89, comma 1, lett. h) D. Lgs. n. 81/08, richiama l'art. 17, comma 1, lett. a) e, quindi, l'art. 28 del medesimo decreto). L'art. 100, comma 3, del D. Lgs. n. 81/08, obbliga i datori di lavoro delle imprese esecutrici ad attuare quanto previsto nel PSC e, nel caso di specie, il PSC prevedeva che i lucernari fossero protetti. Ai sensi dell'art. 148 del D. Lgs. n. 81/08, inoltre, quando si devono eseguire lavori su "lucernari, tetti, coperture e simili" e non sia certa la resistenza di queste coperture, devono essere adottati apprestamenti atti a garantire l'incolumità delle persone addette. Queste norme si applicano ai datori di lavoro di ciascuna delle imprese chiamate ad operare in un cantiere. Pertanto, la circostanza che, nel caso di specie, il compito di mettere in sicurezza il tetto fosse stato affidato alla ditta subappaltatrice non aveva comportato che l’imputato fosse esentato dall'obbligo di accertarsi che la messa in sicurezza fosse avvenuta e, in caso negativo, di porre rimedio alla altrui omissione.

 

La conclusione poi che la difesa ha contestato sostenendo l'incolpevole affidamento da parte del ricorrente nel corretto comportamento di altro obbligato, ha sostenuto ancora la suprema Corte, non può essere censurata perché è espressione di principi di diritto consolidati. Per giurisprudenza costante, infatti, "in tema di reati omissivi colposi, se più sono i titolari della posizione di garanzia (nella specie, relativamente al rispetto della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro), ciascuno è, per intero, destinatario dell'obbligo giuridico di impedire l'evento" e ha citato alcune sentenze che si sono espresse in tal senso in precedenza fra cui la sentenza della IV Sezione penale n. 46849 del 19/12/2011, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo  " Sugli obblighi di sicurezza in presenza di più posizioni di garanzia". La Cassazione ha anche sottolineato che in giurisprudenza, quando un obbligo giuridico ricade su più persone che debbano intervenire o intervengano in tempi diversi, il nesso di causalità tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia e l'evento non viene meno a fronte di una situazione di rischio per i lavoratori riconducibile al mancato intervento di altro soggetto, parimenti destinatario dell'obbligo di impedimento, configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause ai sensi dell'art. 41, comma primo, cod. pen. e ha richiamato in merito quanto sostenuto nella sentenza della III Sezione penale n. 20671 del 16 maggio 2023, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo " Gli obblighi per ognuna delle imprese operanti nei cantieri".

 

All'inammissibilità del ricorso, in conclusione, la Corte di Cassazione ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e, rilevato che non sono sussistiti elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, ha disposto, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere di versare la somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Sezione IV penale - Sentenza n. 2036 del 17 gennaio 2025 (u. p. 9 gennaio 2025) -  Pres. Piccialli  – Est. Vignale – PM Lignola – Ric. A.A..  - In tema di reati omissivi colposi in materia di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, se vi sono più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è, per intero, destinatario dell'obbligo giuridico di impedire un evento infortunistico.





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