Sull’importanza nei reati colposi dell’efficienza causale delle condotte trasgressive
Il caso preso in esame dalla Corte di Cassazione in questa recentissima sentenza riguarda l’infortunio accaduto a quattro lavoratori, due dei quali con esito mortale, a seguito dello scoppio di una caldaia di acqua sistemata nella canna fumaria di un camino posto in un fabbricato situato in un cantiere, utilizzato dai lavoratori come luogo di ristoro e per il consumo dei pasti, dopo che gli stessi hanno provveduto ad accendere il fuoco. L’accusa rivolta agli imputati era stata di non avere fatta una idonea valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro e di non avere predisposto né il PSC né il POS e fondata sul fatto che un’attenta ispezione preventiva avrebbe consentito di individuare il rischio che ha portato all’evento lesivo dei lavoratori.
Non si sono trovati d’accordo i giudici di merito che hanno invece assolti gli imputati non essendo stata individuata nessuna colpa generica o specifica a carico degli stessi e sostenendo che, pur in presenza di un comportamento diligente da parte degli imputati il fatto si sarebbe verificato lo stesso perché quel rischio che ha portato all’infortunio non sarebbe emerso. D’accordo con i giudici di merito si è dichiarata la Corte di Cassazione alla quale aveva fatto ricorso la parte civile, richiamando un importante insegnamento della giurisprudenza in base al quale, in tema di reati colposi, l'addebito di un evento lesivo presuppone che un eventuale comportamento lecito e diligente avrebbe certamente evitato il suo verificarsi o avrebbe avuto significative probabilità di determinare un evento lesivo meno grave.
In altri termini la suprema Corte non ha ritenuto provato il nesso eziologico tra la condotta degli imputati e i gravi eventi e ha rigettato i ricorsi avanzati non ritenendo che un comportamento più corretto degli imputati avrebbe comunque evitato il verificarsi dell’accaduto.
Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso per cassazione
La Corte d'Appello ha confermata una pronuncia del Tribunale con la quale lo stesso aveva assolto l’amministratore unico di una società, il direttore dei lavori e coordinatore per la sicurezza di un cantiere allestito dalla stessa e il responsabile del cantiere stesso dai reati di omicidio colposo in danno di due lavoratori dell’impresa esecutrice e di lesioni personali colpose in danno di altri due lavoratori della stessa impresa, loro ascritti e commessi, secondo la prospettazione dell'accusa pubblica, con colpa generica nonché con colpa specifica consistita nell'omessa valutazione del rischio degli impianti esistenti e nella mancanza di un piano di sicurezza per l'utilizzo dei locali nei quali si era verificato il sinistro.
Secondo gli accertamenti compiuti nei gradi di merito, i quattro lavoratori avevano acceso un fuoco nel camino posto in un locale che, interno al cantiere presso il quale operavano, veniva impiegato dagli operai per il ristoro e il consumo dei pasti. L'accensione del fuoco aveva determinato l'esplosione di un contenitore metallico di acqua calda sito all'interno della canna fumaria del camino e il conseguente ferimento dei lavoratori stessi. Secondo la ricostruzione fattuale operata nei giudizi di merito, l'esplosione avrebbe potuto essere evitata se l'impianto fosse stato corredato di un vaso di espansione, il quale avrebbe assicurato che l'acqua surriscaldata o il vapore sarebbero fuoriusciti dalla canna fumaria in sicurezza.
Agli imputati pertanto, erano state ascritte una generica negligenza, imperizia e imprudenza e la violazione della disciplina per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e più precisamente la mancata verifica dell'idoneità del Piano Operativo di Sicurezza per i locali ove era avvenuto il sinistro, l'incompletezza del documento di valutazione dei rischi, la mancata designazione del Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione e dei lavoratori incaricati di attuare le misure attinenti alla prevenzione incendi e alla gestione delle emergenze e l'omessa formazione e informazione dei lavoratori sui rischi specifici connessi all'attività lavorativa. Tuttavia, pur essendo stato accertata la violazione della normativa speciale di cui al D. Lgs. n. 494/1996 e il mancato adempimento degli obblighi inerenti la sicurezza nello stesso previsti, era stata esclusa in sede di merito la penale responsabilità degli imputati con la formula "perché il fatto non sussiste", perché ritenuto non provato il nesso eziologico tra le condotte degli imputati e i gravi eventi.
La Corte d'Appello aveva fondata la pronuncia di assoluzione, in particolare, sul fatto che la condotta alternativa lecita, individuata nella redazione del Piano Operativo di Sicurezza e del Piano di Sicurezza e Coordinamento, non avrebbe in ogni caso impedito l'esplosione e gli eventi conseguenti; ed ha ritenuto non ascrivibile agli imputati una condotta omissiva a titolo di colpa generica, non potendo gli stessi riconoscere la fonte di rischio.
Avverso la sentenza della Corte di Appello le parti civili costituite hanno proposto ricorso, a mezzo del difensore di fiducia, alla Corte di Cassazione, ai soli effetti civili, contestando come principale motivazione la esclusione dei profili di colpa generica e colpa specifica in capo agli imputati, dolendosi dell'infondatezza di quanto oggetto della motivazione stessa. I ricorrenti hanno asserita la sussistenza del nesso causale fra la condotta omissiva e l'evento, rappresentando che ciascun imputato aveva contribuito, con la propria condotta, al verificarsi del sinistro, non essendo peraltro stato accertato dalla Corte di Appello che un comportamento conforme alla normativa avrebbe realmente portato ad evitare l'evento.
Le decisioni in legittimità della Corte di Cassazione.
I ricorsi sono stati ritenuti dalla Corte di Cassazione infondati. In merito al nesso di causalità evidenziato dai ricorrenti la suprema Corte ha sottolineato che i giudici di merito “hanno ritenuto sussistenti le condotte trasgressive di specifiche prescrizioni cautelari positivizzate, ma hanno ritenuto anche che tali trasgressioni non abbiano avuto efficienza causale; detto altrimenti, l'eventuale comportamento alternativo lecito non avrebbe evitato il verificarsi dell'evento”. L'argomentazione, ha così precisato la Sez. IV, è in linea con l'insegnamento della Corte di Cassazione, secondo il quale “in tema di reati colposi, l'addebito soggettivo dell'evento presuppone che il comportamento diligente avrebbe certamente evitato il suo verificarsi o avrebbe avuto significative probabilità di determinare un evento lesivo meno grave”.
Secondo i ricorrenti non era possibile escludere che, qualora eseguito un preventivo controllo, l'evento non si sarebbe verificato: un'ispezione dell'area e una messa in sicurezza dell'ambiente, infatti, avrebbe ragionevolmente condotto alla scoperta del recipiente metallico allocato all'interno della canna fumaria del camino. La Corte di Appello però aveva accertato l'inverso, sulla scorta di un puntuale percorso ricostruttivo, rilevando che la redazione del PSC e del POS non avrebbero evitato lo scoppio perché sarebbe comunque sfuggita la presenza del citato recipiente, atteso che il compendio testimoniale indicava la totale assenza di segni esterni che lasciassero presagire la presenza della caldaia all'interno della canna fumaria. I ricorsi, in conclusione sono stati rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
Gerardo Porreca
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Rispondi Autore: Daniele Pernice - likes: 0 | 01/07/2019 (07:18:40) |
Fatemi capire, il rischio per questa caldaia non è stato valutato e gli imputati sono stati assolti????C'è qualcosa che non quadra, probabilmente un ottimo avvocato ti salva la pelle. |
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0 | 01/07/2019 (19:20:59) |
Il passaggio decisivo è questo: la redazione del PSC e del POS non avrebbero evitato lo scoppio perché sarebbe comunque sfuggita la presenza del citato recipiente, atteso che il compendio testimoniale indicava la totale assenza di segni esterni che lasciassero presagire la presenza della caldaia all'interno della canna fumaria |