Sul diritto del DdL di farsi assistere durante un'ispezione dell’OdV
Il caso e il ricorso in Cassazione
Il Tribunale ha condannato il datore di lavoro di un’azienda, con le attenuanti generiche, alla pena di complessivi euro 4.000 di ammenda, oltre le spese, di cui 2.000 euro per il reato di cui all’art. 64, comma 1, lett. a), del D. Lgs. n. 81/2008, perché in qualità di legale rappresentante della propria ditta non aveva ottemperato alle prescrizioni impartite con verbale ispettivo dell’organo di vigilanza competente per territorio e in particolare per non avere realizzato presso il suo stabilimento produttivo un idoneo impianto di aspirazione per la cattura dei fumi derivanti dalle attività svolte nonché alla pena di 2.000 euro per il reato di cui all’art. 192, comma 2, dello stesso D. Lgs. n. 81/2008 per non avere ottemperato alle prescrizioni del verbale predetto e, in particolare, per non avere predisposto ed attuato il programma di misure tecniche ed organizzative finalizzato a ridurre l'esposizione al rumore, in quanto nello stabilimento stesso non aveva posizionato dei pannelli acustici fonoassorbenti e fonoisolanti nel numero minimo richiesto di undici.
Come primo motivo di ricorso l'imputato ha lamentato di non essere stato avvisato nel corso dei sopralluoghi degli ispettori della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia prima di procedere all'accertamento delle contravvenzioni contestate, con conseguente nullità degli elementi probatori acquisiti al processo, e di non avere ritualmente ricevuto il verbale di ispezione perché indirizzato presso una sede che non era stata indicata come suo domicilio. Come seconda motivazione il ricorrente ha lamentato che i funzionari dell'organo di vigilanza non avevano eseguito i campionamenti che potevano smentire le misurazioni della relazione tecnica di parte e inoltre che il Giudice non si era confrontato con le perizie tecniche in atti.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto rigettato.
Con riferimento al primo motivo la suprema Corte ha osservato che i verbali ispettivi dell'organo di vigilanza hanno natura amministrativa e non costituiscono atti che richiedono la nomina o assistenza di un difensore di fiducia, secondo le regole del codice di procedura penale. Infatti, gli articoli 20 e seguenti del D. Lgs. n. 758/1994, premessa la competenza di tale organo a vigilare sul rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, prevedono che gli ispettori abbiano compiti di vigilanza, ma al contempo, di propulsione al fine di far eliminare le criticità individuate. Il sistema normativo è congegnato, infatti, in modo tale da prevedere che l'organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all'art. 55 del codice di procedura penale, abbia la possibilità di impartire al contravventore un'apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario. Tale termine è prorogabile a richiesta del contravventore, per la particolare complessità o per l'oggettiva difficoltà dell'adempimento, ma in nessun caso esso può superare i sei mesi. Quando tuttavia specifiche circostanze, non imputabili al contravventore, determinano un ritardo nella regolarizzazione, il termine di sei mesi può essere prorogato per una sola volta, a richiesta del contravventore, per un tempo non superiore ad ulteriori sei mesi, con provvedimento motivato che è comunicato immediatamente al pubblico ministero. Con la prescrizione, l'organo di vigilanza può imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro e resta tuttavia fermo l'obbligo dell'organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la notizia di reato inerente la contravvenzione ai sensi dell'art. 347 del codice di procedura penale.
Quindi, ha chiarito la suprema Corte, solo se e quando il pubblico ministero riceve la notizia di reato e ritiene di esercitare l'azione penale è possibile parlare di procedimento penale con le garanzie difensive previste dalla legge. Nella fase precedente, solo interlocutoria, il rapporto si instaura tra gli ispettori e la parte che non ha bisogno di alcuna garanzia difensiva particolare, se non quella di cui essa stessa ritenga di dotarsi. E’ ciò che è avvenuto nel caso in esame in cui gli ispettori hanno redatto il verbale con le prescrizioni e l'imputato ha chiesto un termine di 180 giorni, regolarmente ottenuto per i relativi adempimenti, salvo poi la verifica da parte dell'organo di vigilanza, ai sensi del successivo art. 21 del D. Lgs. n. 758/1994, dell'inottemperanza e l'obbligo puntualmente adempiuto della trasmissione della comunicazione della notizia di reato al pubblico ministero che ha esercitato l'azione penale.
“La giurisprudenza”, ha aggiunto la Sez. III, “è costante nel valutare questi atti amministrativi come extraprocessuali e non necessitanti la nomina del difensore di fiducia per il destinatario” ma “tuttavia, qualora emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalità prescritte dall'art. 220 disp. att. cod. proc. pen. giacché, altrimenti, la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile”.
Con riferimento alla seconda censura, la Corte di Cassazione ha evidenziato che il Giudice aveva accertato che gli ispettori avevano verificato l'inottemperanza alle prescrizioni impartite ed avevano effettuato la segnalazione al pubblico ministero, secondo legge. In particolare, con riferimento alla prima violazione riguardante l’installazione di un impianto di aspirazione, l'imputato aveva installato dei sistemi mobili di abbattimento di polveri e gas, ritenuti non idonei dai tecnici della prevenzione sia perché parzialmente non funzionanti sia perché, in contrasto con quanto prescritto, non espellevano gli inquinanti all'esterno dello stabilimento. Con riferimento alla seconda violazione, riguardante la esposizione al rumore, aveva redatto il programma di interventi per la riduzione del rumore, ma non l'aveva attuato perché aveva posizionato un numero di pannelli inferiore a quelli necessari e previsti. Di qui l'esito negativo del procedimento amministrativo e l'inizio di quello penale.
Avendo in conclusione il Giudice dimostrato di aver preso in considerazione tutti gli elementi, anche tecnici, a sua disposizione e di aver reso una motivazione logica a sostegno della sua decisione, la Corte di Cassazione ha quindi rigettato il ricorso e condannato di conseguenza l’imputato al pagamento delle spese processuali.
Gerardo Porreca
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