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Responsabilità e posizione di garanzia del direttore di stabilimento
Fornisce la Corte di Cassazione in questa sentenza un chiarimento sulla posizione di garanzia assunto dal direttore di uno stabilimento in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavoratori dipendenti. Il direttore di stabilimento infatti, ha sostenuto la Corte suprema, è destinatario iure proprio, al pari del datore di lavoro, dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di funzioni, in quanto in virtù della posizione apicale ricoperta in azienda assume una posizione di garanzia in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Lo stesso risponde pertanto della mancata adozione delle misure organizzative ed integrative di controllo e di vigilanza demandate a colui che nello stabilimento riveste un ruolo apicale e quindi del tutto differenti da quelle di ordine esecutivo rientranti invece nelle mansioni del capo squadra o del preposto e finalizzate ad evitare il pericolo del verificarsi di infortuni. Beninteso però, ha aggiunto la Corte di Cassazione, al direttore di stabilimento non possono farsi carico, in ragione della qualifica funzionale rivestita, scelte gestionali generali che sono rimesse invece al datore di lavoro.
Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in Cassazione
Il direttore di uno stabilimento e responsabile della sicurezza di una società di gestione dello stesso è stato tratto a giudizio unitamente al preposto, nei cui confronti la sentenza di primo grado è passata in giudicato non essendo stata proposta impugnazione, per rispondere del reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione di norme antinfortunistiche in danno di un lavoratore dipendente. La Corte d'Appello, successivamente, in parziale riforma della sentenza del Tribunale appellata dall’imputato, concessa all'imputato l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen., ritenuta unitamente alle già concesse attenuanti generiche prevalente sulla contestata aggravante, rideterminava la pena in giorni 40 di reclusione, sostituita con la sanzione pecuniaria di € 1520,00 di multa, revocando in accoglimento di una specifica istanza difensiva il concesso beneficio della sospensione condizionale della pena.
Avverso tale decisione l’imputato ha ricorso in Cassazione a mezzo del difensore di fiducia lamentando la violazione dell'art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 40 cpv cod. pen. nonché agli artt. 18 e 19 del D. Lgs. n. 81 del 2008, la violazione dell'art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per contraddittorietà e manifesta illogicità intrinseca della motivazione in punto di riconducibilità a lui del ruolo di preposto, per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e per travisamento della prova ed omessa motivazione sul punto, rispetto agli atti del processo ed alla sentenza emessa dal Tribunale, sempre in relazione al ruolo del preposto, la violazione dell'art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 516, 521 e 522 cod proc. pen. e 24 e 111 Cost., essendo il fatto addebitato in sentenza diverso da quello descritto al capo di imputazione e la violazione dell'art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per omessa motivazione in relazione al motivo di appello relativo alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per mancato espletamento dell'esame dell'imputato.
Le decisioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dall’imputato. La stessa ha ricordato che il lavoratore si è infortunato mentre azionava un trapano a colonna privo dello schermo di protezione e che all’imputato, quale direttore dello stabilimento nel quale si era verificato l'infortunio, era stato contestato di aver messo a disposizione dei lavoratori attrezzature non idonee ai fini della salute e della sicurezza nonché adeguate al lavoro da svolgere. Non è in contestazione, ha aggiunto la stessa Corte, la circostanza che l'infortunio occorso al lavoratore era stato determinato da una manovra dallo stesso operata che era stata resa possibile solo ed in quanto il trapano a colonna sul quale operava era sprovvisto di adeguata protezione che consentisse all'operaio stesso di non venire in contatto con le parti in movimento della macchina. Il ricorrente ha sostenuto altresì che la sentenza impugnata sarebbe pervenuta alla sua condanna per un fatto diverso da quello in contestazione (l'aver messo a disposizione dei lavoratori attrezzature non idonee). La suprema Corte ha precisato a riguardo che, a prescindere dalla circostanza che non è stato chiarito con sufficiente certezza se i dispositivi di sicurezza, pure in ipotesi acquistati dalla società, fossero stati debitamente e correttamente installati, la gravata sentenza ha chiarito che la violazione della disposizione che prevede l'apposizione di una protezione atta ad evitare il contatto delle mani del lavoratore con gli organi della macchina in movimento, è ravvisabile sia nell'ipotesi in cui lo schermo o altro meccanismo di protezione non sia mai stato apposto, come in quella in cui sia stata successivamente rimossa.
Deve peraltro ritenersi legittimamente consentito al giudice, ha così proseguito la Sez. IV, individuare, oltre agli elementi di fatto contestati, altri profili del comportamento colposo dell'imputato emergenti dagli atti processuali in relazione ai quali questi sia stato posto in grado di difendersi. Quanto alla posizione di garanzia del ricorrente va precisato che nel capo di imputazione è stato precisato che lo stesso rivestiva la qualifica di "direttore di stabilimento", ruolo peraltro pacificamente ammesso dallo stesso imputato. Sul punto quindi la suprema Corte ha precisato che “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il direttore dello stabilimento di una società per azioni è destinatario iure proprio, al pari del datore di lavoro, dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di funzioni, in quanto, in virtù della posizione apicale ricoperta, assume una posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavoratori dipendenti”.
Se ovviamente all’imputato, ha così proseguito la Sez. IV, “in ragione della qualifica funzionale rivestita, non potevano farsi carico scelte gestionali generali rimesse al datore di lavoro, era peraltro del tutto pacifico che allo stesso, attesa la posizione apicale ricoperta nell'organigramma dello stabilimento, faceva capo una ben precisa e netta posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavori dipendenti in servizio nello stabilimento dallo stesso prevenuto diretto”. “Appare pertanto corretta”, secondo la Sez. IV, l'indicazione della Corte di merito alle regole cui si sarebbe dovuto attenere l'imputato nel ruolo di dirigente con funzioni di direttore dello stabilimento, sul rilievo specifico della mancata adozione di misure organizzative ed integrative di controllo e di vigilanza (demandate a colui che rivestiva un ruolo apicale nello stabilimento e quindi del tutto differenti da quelle di ordine esecutivo rientranti invece nelle mansioni del capo squadra o del semplice preposto) finalizzate ad evitare il pericolo del verificarsi di infortuni quale quello di cui è causa”.
La suprema Corte, in conclusione, ha ritenuto anche privo di fondamento il tentativo dell'imputato di addossare ogni responsabilità al preposto condannato in primo grado essendo peraltro pacifico che in tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione.
Gerardo Porreca
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