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Quando il lavoratore autonomo non è davvero autonomo

Quando il lavoratore autonomo non è davvero autonomo
Anna Guardavilla

Autore: Anna Guardavilla

Categoria: Sentenze commentate

07/12/2016

Presunti committenti qualificati come datori di lavoro di fatto, imprese individuali che adibiscono terzi a prestazioni lavorative, mancanza di attrezzature e mezzi propri: gli indici di subordinazione e i casi giurisprudenziali. Di A.Guardavilla.


Come noto, non è sufficiente che un lavoratore sia solo formalmente autonomo affinché sia qualificato come tale.

Anche con riferimento alla natura dei rapporti di lavoro (lavoro autonomo o lavoro subordinato), si applica in materia di salute e sicurezza sul lavoro un approccio “sostanzialistico” che guarda all’effettività e che prende in considerazione l’assenza o la sussistenza di autonomia del lavoratore e non la qualifica formale.

Vediamo qualche interessante caso giurisprudenziale in materia, come sempre senza pretese di esaustività.

 

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Non è autonomo il lavoratore che, invece che prestare la sua opera “con esclusiva applicazione delle proprie energie personali, sebbene non dotato di una articolata struttura imprenditoriale, adibisca alla prestazione lavorativa altri soggetti a prescindere dal tipo di rapporto lavorativo con questi ultimi”

 

Una sentenza del luglio di quest’anno (Cassazione Penale, Sez.III, 28 luglio 2016 n.33038)  distingue con molta chiarezza il caso in cui il “lavoratore presti la sua opera con la esclusiva applicazione delle proprie energie personali” dal “caso in cui il medesimo, sebbene non dotato di una articolata struttura imprenditoriale, adibisca alla prestazione lavorativa altri soggetti”.

 

Il caso trattato dalla sentenza è piuttosto semplice da inquadrare.

Il Tribunale ha condannato C.F. “per avere omesso di predisporre, in qualità di datore di lavoro, le opere opportune, quali parapetti o barriere protettive, per impedire la caduta nel vuoto di lavoratori addetti al suo cantiere”, con la conseguenza che “un operaio, che stata eseguendo lavori di scavo su di un viottolo a ridosso della collina, era caduto nel vuoto e per tale ragione deceduto.”

 

Il C.F. ha proposto ricorso in Cassazione facendo valere “il fatto che, rivestendo la sua impresa la forma della ditta individuale, senza lavoratori dipendenti oltre allo stesso titolare, egli, con riferimento alle disposizioni di cui al d.lgs n.81 del 2008 è equiparato al lavoratore autonomo e, pertanto, è soggetto solamente al rispetto di quanto previsto dagli artt. 21 e 26 del medesimo decreto legislativo…”.

 

Secondo la Cassazione tuttavia il ricorso dell’imputato è inammissibile in quanto non ha rilevanza il fatto “che egli, data la propria struttura imprenditoriale, non fosse soggetto agli obblighi riportati dalla disposizione legislativa la cui violazione gli è stata contestata.”

Infatti, prosegue la Cassazione, “sebbene corrisponda al vero quanto dedotto in sede di ricorso dal prevenuto, secondo il quale, ai sensi dell’art. 3, comma 11, del d.lgs n. 81 del 2008, nei confronti del lavoratore autonomo si applicano le disposizioni contenute negli artt. 21 e 26 del citato decreto legislativo, deve osservarsi che il principio di cui sopra vale limitatamente alla ipotesi in cui il predetto lavoratore presti la sua opera con la esclusiva applicazione delle proprie energie personali e non anche nel caso in cui il medesimo, sebbene non dotato di una articolata struttura imprenditoriale, adibisca alla prestazione lavorativa altri soggetti, a prescindere dal tipo di rapporto lavorativo in base al quale i medesimi siano stati investiti dei loro compiti.”

 

Nel caso oggetto del giudizio, la sentenza precisa che “emerge dalla lettura del capo di imputazione, il cui contenuto non è stato contestato dal ricorrente, che egli, in qualità di datore di lavoro responsabile della sicurezza della propria ditta individuale, aveva omesso le opportune cautele per evitare il verificarsi di incidenti sul lavoro al personale ivi operante.

Nessun rilievo ha, pertanto, il fatto che la impresa del C.F. sia organizzata in forma di ditta individuale, posto che la incontestata qualificazione del C.F. come datore di lavoro di terzi lo obbligava alla predisposizione delle opportune misure per la prevenzione degli infortuni causalmente connessi alla svolgimento della prestazione lavorativa.”

 

Gli elementi da cui si deduce la subordinazione di fatto del lavoratore autonomo: un esempio. Le attrezzature, la capacità tecnico-professionale, le responsabilità di un soggetto quale datore di lavoro di fatto o quale committente, a seconda delle qualificazioni giuridiche del rapporto

 

Cassazione Penale, Sez. IV, 10 agosto 2010 n.31637  ci fornisce un esempio degli indici da cui si può desumere che un lavoratore formalmente autonomo sia di fatto un lavoratore subordinato e che quindi il “presunto committente” sia in realtà un “ datore di lavoro di fatto” del lavoratore.

 

Il caso oggetto del giudizio può essere facilmente ricostruito dai passaggi della sentenza che seguono.

La pronuncia di primo grado aveva desunto “l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la vittima e l’imputato” dalledeposizioni testimoniali dal cui contenuto si ricava:

1) la circostanza che P. (che prestava attività lavorativa stagionale presso la comunità montana) non era titolare di alcuna attività d’impresa;

2) che M. lo chiamava spesso per eseguire lavori di vario genere sia presso gli immobili che sui terreni agricoli di sua proprietà;

3) che P. non disponeva di attrezzature per lo svolgimento del lavoro ma solo di alcuni attrezzi elementari.”

 

Dunque secondo la Cassazione “da queste caratteristiche il giudicante ha tratto la conclusione che non di locatio operis si trattasse ma di locatio operarum perché P. metteva a disposizione le sue energie sotto la direzione di M. che di volta in volta lo chiamava e gli indicava le attività da svolgere e ne dirigeva il lavoro essendo addirittura spesso presente.”

La sentenza di primo grado “ha poi evidenziato che la paga era “a giornata” e non in base al risultato e ciò costituiva ulteriore elemento sintomatico dell’esistenza della subordinazione.”

 

Da tutto ciò la Corte ha tratto le conseguenze del caso in ordine alla responsabilità di M. nei confronti di P.: “ne conseguirebbe che l’imputato aveva l’obbligo di fornire a P., incaricato dei lavori di riparazione e pulizia di una grondaia, i mezzi di protezione (in particolare le cinture di sicurezza) necessari per evitare i rischi di caduta dal tetto dove si trovava ad un’altezza di 13 metri dal suolo”.

 

Infine, la sentenza ci ricorda che se anche P. fosse stato per ipotesi qualificato come lavoratore autonomo, M. sarebbe stato comunque responsabile per “culpa in eligendo” (responsabilità legata all’aver scelto un soggetto non idoneo a svolgere un lavoro) e quindi per una inadeguata selezione dell’idoneità tecnico-professionale.

Infatti - conclude la Cassazione - se anche dovesse accedersi alla ricostruzione del rapporto come contratto di lavoro autonomo (contratto d’opera) non per questo verrebbe meno la responsabilità di M. perché, quale committente dei lavori, aveva l’obbligo di scegliere una persona competente e idonea a svolgere i lavori in altezza e non una persona che, oltre a non avere la capacità professionale richiesta per l’esecuzione del lavoro, era anche priva di ogni attrezzatura e dei mezzi di protezione.”

 

Due lavoratori formalmente autonomi, uno dei quali contatta l’altro “per conto” del datore di lavoro di una S.r.l., “presunto” committente, con cui vi era già una collaborazione pregressa. Infortunio e qualificazione di lavoro subordinato: l’amministratore della S.r.l. è ritenuto il datore di lavoro dell’infortunato e non il lavoratore autonomo che lo ha contattato

 

In Cassazione Penale, Sez.IV, 21 dicembre 2010 n.44882, M.P. “è stato condannato per lesioni colpose in seguito ad infortunio sul lavoro in danno di R.G.” e per i reati di cui al “D.Lgs. n.277 del 1991, art.50, comma 1, lett. a) e b).”

In particolare, “secondo l’accusa M.P. era responsabile, nella qualità di amministratore unico della “C. di M. s.r.l.”, esercente attività di lavorazione di argilla per laterizi e, pertanto, di datore di lavoro di R.G., di avere cagionato al predetto R. lesioni personali”.

Quest’ultimo, “infatti, mentre si trovava, nello svolgimento delle sue mansioni, sulla tettoia di copertura del capannone in cui lavorava, che non aveva resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai, intento con il collega C.G. allo smontaggio e alla rimozione dei pannelli di eternit che la costituivano, nel passare dall’una all’altra delle travi su cui poggiavano tali pannelli, per l’improvviso cedimento di uno di essi, cadeva rovinosamente sul solaio sottostante”.

 

M.P. ricorre in Cassazione lamentando che “i giudici di merito non avevano correttamente valutato la deposizione della persona offesa R.G., da cui poteva desumersi che il suo effettivo datore di lavoro era C.G. [il collega, n.d.r.], che impartiva ordini e direttive e, quindi, diretto responsabile per avergli impartito un ordine esplicito, dell’infortunio occorsogli”.

Inoltre “affermava il ricorrente di avere affidato il lavoro ad un muratore, appunto il C., cioè ad un lavoratore autonomo che, di fatto, veniva a svolgere attività di impresa, il quale aveva organizzato liberamente la propria attività, acquistando i materiali di consumo e scegliendo personalmente i soggetti che dovevano aiutarlo nell’esecuzione della commessa.”

Secondo il M.P., “per qualificare un rapporto di lavoro come subordinato” risulterebbero “essenziali l’elemento del reclutamento e quello della subordinazione” e dunque “avrebbe dovuto ravvisarsi la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il R. e il C. [il “collega” dell’infortunato, n.d.r.] e non già tra il R. e il M.”

 

La Cassazione rigetta il ricorso. Infatti, secondo la Corte, riguardo alla “circostanza secondo cui era il M. e non il C. il datore di lavoro del R.”, essa era comprovata sia dal “contenuto delle dichiarazioni della persona offesa R.G., che ha chiaramente affermato che egli lavorava alle dipendenze della ditta M., in favore della quale aveva prestato attività lavorativa anche precedentemente, collaborando con il muratore C., che lo aveva contattato per conto del M. per l’esecuzione di piccoli lavori di manutenzione”,  sia dal “contenuto delle dichiarazioni di A.C. e C.G., che hanno infine ammesso, pur dopo avere effettuato su sollecitazione del M. dichiarazioni compiacenti sulla dinamica dell’incidente, che l’infortunio si era verificato perché il R., mentre rimuoveva le lastre di eternit, era caduto dal tetto della vecchia fornace.”

 

Infine, analogamente a quanto affermato in una delle sentenze già esaminate sopra, la Cassazione sottolinea che se anche si fosse ritenuto di accedere alla ricostruzione alternativa dei fatti fornita dall’imputato M.P., la sua responsabilità in ordine all’infortunio non sarebbe venuta meno in virtù del principio secondo cui in materia infortunistica l’obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro si estende anche ai soggetti che hanno prestato il loro lavoro in favore dell’impresa in via autonoma.”

 

Condanna di un “datore di lavoro” per non aver sottoposto a visita medica periodica due lavoratori  titolari di ditte individuali ma sostanzialmente subordinati

 

Risale infine al 2012 una interessante sentenza ( Cass. Pen., Sez. III, 22 febbraio 2012 n.6998) con cui la Cassazione ha condannato un datore di lavoro - formalmente committente - per non aver sottoposto alla sorveglianza sanitaria prevista dalla legge, e in particolare alla visita medica periodica, due lavoratori titolari di ditte individuali ma che sostanzialmente operavano sotto le direttive dell’imputato.

Già in primo grado la qualificazione di tali lavoratori era stata quali lavoratori subordinati in quanto “in materia antinfortunistica, un rapporto di lavoro subordinato deve ritenersi tale, a prescindere dalla qualifica formale, con riferimento all’assenza di autonomia del lavoratore”.

 

Gli indici che sono stati presi in considerazione dal Tribunale per giungere a tale qualificazione  sono i seguenti:

1) l’imputato “forniva i materiali (ponteggi tubolari), richiedeva la concessione di suolo pubblico per l’arco temporale previsto, forniva indicazioni in ordine alle modalità di esecuzione dei lavori”;

2) i due lavoratori, “pur titolari di ditte individuali, lavoravano quasi esclusivamente per l’A.[imputato, n.d.r.] e se volevano prendere un periodo di ferie preavvisavano l’imputato.”

La Cassazione rigetta il ricorso dell’imputato, in quanto “secondo la giurisprudenza di questa Corte, richiamata anche dal Tribunale, “..un rapporto di lavoro subordinato deve essere considerato tale in riferimento all’assenza di autonomia del lavoratore nella prestazione dell’attività lavorativa e non già in relazione alla qualifica formale assunta dal medesimo (Fattispecie in cui è stato ritenuto subordinato e non autonomo il lavoratore che, pur formalmente titolare di una ditta artigiana, prestavo in assenza di autonomia lo propria attività, ricevendo ordini dal datore di lavoro, del quale utilizzava le attrezzature, il mezzo di trasporto ed il materiale) (cfr. Cass. pen. sez. 4 n. 12348 del 29.1.2008).

La Corte fa così riferimento alle risultanze processuali, ed in particolare alle testimonianze rese dai lavoratori stessi e alle parziali ammissioni dell’imputato, per giungere a confermare la qualificazione di lavoro subordinato, cioè l’assunto del Tribunale che ha ritenuto che:

1) i due lavoratori “eseguivano gli stessi lavori realizzati dall’A. con la sua società e cioè ponteggi tubolari”;

2) “il materiale e cioè i tubolari li forniva l’A. che si occupava anche di richiedere la concessione di suolo pubblico per l’arco temporale previsto fornendo altresì indicazioni in ordine alle modalità di esecuzione dei lavori”;

3) i due “... lavoravano quasi esclusivamente per l’A., anzi si erano licenziati creando la ditta proprio perché l’imputato aveva dato assicurazioni circa il lavoro con regolarità e quindi se volevano prendere un periodo di ferie era loro cura avvisare il lavoro”.

 

Un rapido cenno infine al precedente giurisprudenziale (Cass.Pen., Sez.IV, 29.1.2008 n.12348)  citato da quest’ultima sentenza: qui il lavoratore “D., già dipendente della ditta di cui l’imputato era titolare, aveva sostanzialmente proseguito l’attività con le modalità precedenti - pur avendo aperto una ditta artigiana a lui intestata - perché era privo di autonomia, riceveva ordini dall’imputato di cui utilizzava le attrezzature, il mezzo di trasporto e il materiale.”

Vi erano inoltre “ulteriori elementi significativi della subordinazione del rapporto”; la sentenza cita infatti le “relative fonti di prova (per l’es. la circostanza che l’infortunato tenesse una scheda con l’indicazione delle ore lavorate e che, lo stesso giorno dell’infortunio, avesse viaggiato con un documento di accompagnamento intestato non a lui ma alla ditta dell’imputato)”.

Infine, “è stato proprio un dipendente dell’imputato a riferire che ogni mattina D. si presentava presso la sede della ditta per ricevere istruzioni, prelevava il materiale necessario per il lavoro e veniva avviato ai vari cantieri.”

 

 

Anna Guardavilla

Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro

 

 

 

Corte di Cassazione - Penale, Sez. 3 – Sentenza n. 33038 del 28 luglio 2016- Al lavoratore autonomo si applicano solo le disposizioni contenute negli artt. 21 e 26 del d.lgs. 81/08? Non se vengono adibiti alla prestazione lavorativa altri soggetti

 

Corte di Cassazione - Penale, Sez. 4 - Sentenza n. 31637 del 10 agosto 2010 - Lavoro autonomo o lavoro subordinato: la sostanza non cambia

 

Corte di Cassazione - Sezione IV Penale - Sentenza n. 44882 del 21 dicembre 2010 (u. p. 10 dicembre 2010) - Pres. Marzano – Est. Marinelli– P.M. Proc. Gen. - Ric. M.P. - Il datore di lavoro è garante della sicurezza di chi presta per lui attività autonoma

 

Corte di Cassazione - Sez. 3 Penale - Sentenza n. 6998 del 22 febbraio 2012 - Omissione della sorveglianza sanitaria in caso di lavoro subordinato di fatto.

 

Corte di Cassazione - Sezione IV Penale - Sentenza n. 12348 del 20 marzo 2008 - Pres. Morgigni – Est. Brusco – P. M. (Parz. conf.) Delehaye – Ric. G. V. – Il committente datore di lavoro deve assicurare la sicurezza del luogo di lavoro anche nei confronti di appaltatori e subappaltatori, salvo in caso di rischi specifici.




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Rispondi Autore: silvio ventroni - likes: 0
11/12/2016 (18:40:27)
Dott.essa Guardavilla complimenti per i suoi interventi esaustivi e chiari , un ottimo contributo .
Rispondi Autore: Anna Guardavilla - likes: 0
12/12/2016 (23:43:59)
Grazie per le sue parole gentili Dott. Ventroni, gentilissimo!
Cordialmente
Anna Guardavilla

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