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La vigilanza sull’operato dei lavoratori

La vigilanza sull’operato dei lavoratori
Carmelo G. Catanoso

Autore: Carmelo G. Catanoso

Categoria: Sentenze commentate

28/04/2022

La Cassazione Penale ha fornito una propria interpretazione su cosa s’intenda per vigilanza e come essa debba essere messa in atto.

La questione della vigilanza sull’operato dei lavoratori e, soprattutto, le modalità con cui questa deve essere messa in atto è sempre stata oggetto di discussione tra gli addetti ai lavori.

 

Le recenti modifiche apportate al D. Lgs. n° 81/2008 hanno aumentato l’attenzione su tale aspetto con particolare riguardo alla figura del “Preposto” e cioè sulla figura principalmente incaricata di effettuare una vigilanza operativa sull’attività dei lavoratori.

 

Su Puntosicuro sono stati pubblicati numerosi contributi dove, come al solito, i commentatori si sono divisi in due schieramenti:

  • da una parte coloro che hanno visto nelle modifiche agli obblighi del Preposto una rivoluzione epocale nelle funzioni di questo attore e,
  • dall’altra, coloro che hanno visto null’altro che una maggiore enfasi su obblighi già presenti ma nascosti tra le pieghe dell’art. 19 del D. Lgs. n. 81/2008.

 

Naturalmente, come sempre avviene in questi casi, si sono lette e sentite le più incredibili delle affermazioni al riguardo quali:

  • <<Il Preposto deve essere obbligatoriamente nominato in tutte le aziende!>>
  • <<Se il datore di lavoro non nomina un preposto, è lui che si deve nominare come tale!>>
  • <<Se il datore di lavoro ha un solo dipendente, lo deve obbligatoriamente nominare quale preposto!>>
  • <<Se c’è un capocantiere questo si occupa della conduzione tecnica del cantiere mentre per la sicurezza il datore di lavoro deve nominare un preposto che attui gli obblighi dell’art. 19 del D. Lgs. n° 81/2008!>>.

 

Si potrebbe continuare con altre amenità …. ma queste quattro già delineano le dimensioni del problema e la confusione esistente anche alimentata da chi ne ha fatto uno specifico business nel settore.

 

Del resto, più che domandarci quanta gente muore per la mancanza di sicurezza, dovremmo domandarci quanta gente ci campa e tra questa ci potremmo sicuramente mettere i tanti profeti dell’integralismo repressivo che appestano il nostro settore ma che, purtroppo, sono ancora dotati di un certo seguito nonostante propongano da anni sempre la stessa ricetta (maggiori controlli e maggiori sanzioni) che non ha prodotto alcun tangibile risultato.

 

Comunque, chi scrive ha già fornito la propria opinione al riguardo, ed a cui si rimanda, con gli ultimi due contributi: “ La scoperta” del Preposto” e “ Il Preposto e l’organizzazione del lavoro da eseguire”.

 

In merito alla vigilanza e come essa debba essere concretamente espletata, lo scorso 24 marzo 2022 è stata pubblicata la sentenza della Cassazione Penale n. 10334 con cui la Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello con cui era stato condannato il titolare di un’impresa per omicidio colposo per un evento avvenuto durante le operazioni di esbosco di piante già tagliate.


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Anche se il caso riguarda la “vigilanza” attuata da un datore di lavoro, quanto contenuto nelle motivazioni con cui la Cassazione Penale ha accolto il ricorso del datore di lavoro, costituisce una chiara indicazione su cosa e come debba essere intesa questa attività. Qui la Suprema Corte sembra abbia adottato la stessa chiave di lettura riguardante la “vigilanza” del CSE che, come noto agli addetti ai lavori, ha subito nel maggio 2010 (con la prima pronuncia della Cassazione Penale Sez. IV, n° 18149 del 13 maggio 2010 a cui ne sono seguite tante altre) una netta inversione di rotta (con grande disappunto dei soliti commentatori profeti dell’integralismo repressivo che vedevano il CSE come un controllore aggiunto e su cui avevano versato fiumi d’inchiostro e di parole), spiegando che essa non possa spingersi al punto di richiedere una vigilanza “momento per momento”.

 

Riguardo il caso in esame, la Corte d'appello di Venezia, in data 18 gennaio 2021, aveva confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Belluno, il 21 novembre 2019, aveva condannato il datore di lavoro alla pena ritenuta di giustizia e alle connesse statuizioni civili per il delitto di omicidio colposo con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.

 

Il reato era stato contestato al datore di lavoro dell’impresa che operava quale impresa esecutrice di lavori di taglio ed esbosco. L’infortunato era un dipendente non regolarizzato della predetta impresa ed aveva iniziato a lavorare in nero per la ditta da quella stessa mattina.

 

Questi era stato adibito nell'occasione ad operazioni di esbosco di piante già tagliate nei giorni precedenti. L’attività, il giorno dell’evento, prevedeva la rimozione di un albero di pioppo che, dopo il taglio, era rimasto incastrato in una pianta di carpino.

Il  lavoratore, anziché provvedere alla rimozione utilizzando il verricello forestale e trainare il pioppo in direzione contraria a quella di caduta senza che nessun operatore stazionasse nell'area sottostante (come previsto dalle linee guida della Regione Veneto per l'esecuzione delle utilizzazioni forestali), aveva segato il carpino, con il risultato che un ramo di quest'ultimo aveva colpito il lavoratore al capo e alla schiena, procurandogli lesioni gravi in seguito alle quali, poche ore dopo, era deceduto.

Al datore di lavoro, in seguito all’evento, era stata contestata la mancata osservanza delle citate linee guida, contenenti misure necessarie a tutelare l'integrità fisica del lavoratore addetti alle lavorazioni forestali.

 

La Corte di merito, a fronte delle doglianze contenute nell'atto d'appello, aveva escluso che vi fossero elementi di prova circa il fatto che il datore di lavoro aveva dato disposizioni conformi alle linee guida, disponendo che la pianta tagliata e rimasta impigliata dovesse essere rimossa agganciandola a un trattore e trascinandola via.

 

Secondo la Corte distrettuale era emerso, per di più, che il datore di lavoro aveva proceduto al taglio nei giorni precedenti lasciando numerosi tronchi recisi addossati ad altri alberi ed in posizione pericolante. Era stata invece ritenuta poco attendibile, anche in relazione a talune circostanze di contorno, la deposizione di un primo teste (testimone oculare), secondo il quale sarebbe stato l’infortunato a decidere autonomamente di operare diversamente dalle disposizioni del datore di lavoro, che, invece, aveva stabilito che i tronchi incastrati venissero rimossi con il verricello.

 

La Corte d’appello, escludendo l’abnormità del comportamento del lavoratore, aveva ritenuto che non potesse essere stato l’infortunato, visto che era l’ultimo arrivato, a potersi discostare dalle regole stabilite dal datore di lavoro traendo la conclusione che il datore di lavoro aveva omesso di dare disposizioni all’infortunato, assunto quella stessa mattina, su come operare nel caso in cui un albero reciso e pericolante dovesse essere rimosso.

 

Sempre secondo la Corte d’appello il datore di lavoro aveva omesso di controllarne l'attività, pur consapevole del pericolo collegato alla presenza di alberi già recisi e pendenti, e si era allontanato per una pausa caffè assieme ad altri dipendenti, abbandonando a sé stesso il lavoratore.

Avverso la sentenza, il datore di lavoro ha fatto ricorso con un atto contenente tre distinte motivazioni.

Con il primo motivo il ricorrente aveva denunciato “vizio di motivazione con travisamento della prova”.

Per la difesa, tale travisamento si sarebbe sostanziato nell'interpretazione errata delle dichiarazioni di un secondo teste che, a detta della Corte di merito, avrebbe sostenuto di non ricordare se il datore di lavoro avesse impartito direttive all’infortunato mentre, in realtà, lo stesso teste aveva reso ulteriori dichiarazioni, testualmente riportate nel ricorso, da cui risultava che il datore di lavoro aveva dato disposizioni affinché le piante non completamente abbattute venissero agganciate con il verricello del trattore.

 

In merito ai carichi lasciati sospesi, costituiti da alberi già recisi ed impigliati, si trattava, secondo il ricorrente, di una circostanza sulla quale non erano stati formulati rilievi dall’ente di vigilanza oltre ad essere, nei fatti, priva di nesso di causalità efficiente con l’evento avvenuto.

 

Riguardo poi al giudizio di inattendibilità del primo teste, esso non trovava corrispondenza nella motivazione della sentenza di primo grado, nella quale pure si era ritenuto che il primo teste (unico testimone oculare) non potesse ritenersi falso. Inoltre, secondo la difesa, non erano state presentate le diverse versioni dei fatti che il primo teste, secondo la Corte di merito, avrebbe fornito nel tempo. La credibilità del primo e del secondo teste (di cui solo il primo, teste oculare) in riferimento alla ricostruzione dei fatti era stata avvalorata sia dal funzionario dell’ente di vigilanza che dal CT della Procura.

Sempre secondo la difesa, era errato l'iter argomentativo della sentenza impugnata laddove si affermava che il lavoratore infortunato era sprovvisto di esperienza in quanto assunto (in nero) quella stessa mattina; ciò perché si dimenticava che, in realtà, il soggetto coinvolto aveva avuto precedenti esperienze lavorative dello stesso tipo, anche alle dipendenze dello stesso datore di lavoro.

 

Il secondo motivo di ricorso riguardava la “denuncia di violazione di legge” con riferimento alla qualificazione del comportamento del lavoratore come “abnorme”, pur essendo comprovate le sue competenze e la sua esperienza.

A tal riguardo, la difesa aveva evidenziato l'evoluzione della giurisprudenza a proposito dell'abnormità della condotta del lavoratore a fronte delle responsabilità datoriali, contestando l'assunto secondo il quale non sarebbe stato abnorme il comportamento dell’infortunato nel tagliare il carpino anziché tentare di rimuovere il tronco di pioppo rimasto incastrato. Infine, aveva evidenziato l'inesigibilità del comportamento preteso dal datore di lavoro, in relazione alla situazione di fatto venutasi a creare.

 

Il terzo motivo di ricorso riguardava la “denuncia di violazione di legge” con riguardo all'osservanza della regola dell "'oltre ogni ragionevole dubbio" nel condannare il datore di lavoro in quanto le certezze dalle quali muoveva la Corte di merito (circa l'assenza di prove che il datore di lavoro avesse impartito all’infortunato le disposizioni corrette ed anzi la certezza dell'avere omesso di dare al lavoratore precise disposizioni) non si confrontavano con le dichiarazioni dai due testi, la cui credibilità era stata confermata dal funzionario dell’ente di vigilanza e dal CT della Procura.

 

Preso atto dei contenuti del ricorso del datore di lavoro, la Cassazione Penale ha annullato la sentenza con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello, fornendo le seguenti motivazioni.

 

Innanzi tutto, per la Cassazione Penale la Corte di merito:

  • non si è debitamente confrontata con le dichiarazioni del teste circa le direttive impartite dal datore di lavoro all’infortunato e cioè disposizioni in linea con le linee guida della Regione Veneto richiamate nell'imputazione;
  • non ha fornito una valutazione di inattendibilità del primo teste (testimone oculare dell’evento) fondata su dati oggettivi e, come tale, esente da vizi logici e da contraddittorietà.

 

In merito al secondo punto, la Cassazione Penale ha ribadito che non si può ritenere inattendibile il teste testimone oculare, secondo il quale l’infortunato si sarebbe discostato di propria iniziativa dalle disposizioni del datore di lavoro, in base alla circostanza che lo stesso datore di lavoro avrebbe tentato di rimuovere il pioppo con un escavatore dotato di pinze anziché con il verricello. Ciò perché tale circostanza è del tutto priva di attinenza logica all'oggetto delle accuse formulate a carico del datore di lavoro.

Altrettanto poco attinenti risultano le ulteriori circostanze del contesto ambientale quali la posizione dei tronchi e le diverse versioni sui termini dell'accordo intervenuto con la persona offesa, sulla base delle quali la Corte ha reputato inattendibile il primo teste testimone oculare.

Resta il fatto che, essendo il primo teste l'unico testimone oculare dell'accaduto le sue valutazioni dovevano essere vagliate con particolare attenzione, anche alla luce di quelle del secondo teste, a loro volta oggetto di una valutazione parziale e incompleta da parte della Corte di merito.

In merito alla condotta del datore di lavoro riguardo la sua asserita condotta omissiva dedotta dalle dichiarazioni dei due testi inerente alle modalità di rimozione dei tronchi, la Cassazione Penale evidenzia dei limiti logici. Infatti, se si muove dalla considerazione che le deposizioni dei due testi facevano riferimento a istruzioni che il datore di lavoro avrebbe dato al lavoratore infortunato su come procedere alla rimozione del tronco impigliato, e se si considera che lo stesso lavoratore, era un lavoratore esperto nel settore (a nulla rilevando che fosse stato assunto quella mattina dalla ditta dell'imputato – qui la Cassazione ha correttamente valutato come non rilevante, la irregolarità del rapporto di lavoro stante l’esperienza pregressa del soggetto), è di tutta evidenza che l'allontanamento momentaneo del datore di lavoro dal luogo ove erano in corso le operazioni non potrebbe essergli in sé rimproverato.

 

Secondo la Suprema Corte, una volta impartite le corrette istruzioni a un lavoratore provvisto della necessaria esperienza, ben poteva il datore di lavoro confidare sul rispetto di dette istruzioni allontanandosi temporaneamente, non potendosi trascurare il profilo dell'esigibilità, in capo al datore di lavoro, di un dovere di sorveglianza che si spinga a un controllo costante e ininterrotto del rispetto delle prescrizioni in tema di sicurezza da parte dei lavoratori.

Questa esigibilità, secondo la giurisprudenza della Corte regolatrice, non si estende all'obbligo di monitoraggio "momento per momento" delle lavorazioni e dell'ottemperanza alle prescrizioni antinfortunistiche da parte dei lavoratori e degli altri soggetti obbligati.

 

Pertanto, la sentenza impugnata è stata annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello, che dovrà valorizzare gli aspetti argomentativi esaminati dalla Cassazione Penale.

 

In conclusione, si può dire, da tecnico e per quel che vale, che la Cassazione Penale abbia assolto correttamente il proprio compito che, vale la pena ricordarlo, è quello di verificare l’assenza di vizi di violazione di legge sostanziale o procedurale o di vizio di motivazione nella sentenza di merito, censurando le decisioni dei giudici di prime cure e criticando in modo elegante quella che sembra essere stata più una arrampicata sui vetri da parte di quest’ultimi, con l’obiettivo di ottenere una condanna esemplare.

 

In effetti, il fatto che la vigilanza non possa essere pretesa “momento per momento”, neanche dai soggetti appartenenti alla catena gerarchica dell’impresa, non è una vera e propria novità. Infatti, la Cassazione Penale, Sez. 4, 19 marzo 2012, n. 10712, si era già espressa al riguardo in un caso in cui un lavoratore informato, formato ed addestrato era caduto dall’alto per un malore durante il montaggio del ponteggio in quanto non si era assicurato con il DPI di III^ categoria (imbracatura di sicurezza con bretelle e cosciali e cordino) di cui era munito. Qui la Suprema Corte aveva annullato senza rinvio la sentenza avversa al datore di lavoro non riconducibilità dell'evento lesivo alla condotta colpevole del datore di lavoro:

<<La dimenticanza del lavoratore - pur debitamente formato e fornito dello strumentario di sicurezza - che non ha provveduto ad allacciare in modo adeguato il cordino di sicurezza, è stata la causa assorbente che ha determinato l'evento lesivo, non impedendo di arrestare la caduta provocata dal malore. Trattasi di causa non solo imprevedibile, ma anche inevitabile, giacché il contesto della prestazione del lavoro non poteva certo consentire al titolare della posizione di garanzia una persistente attività di costante verifica dell'utilizzo dello strumentario di sicurezza>>.  

 

Neanche il mancato rispetto delle istruzioni ricevute da parte del lavoratore infortunato, quale causa esimente dalle responsabilità del datore di lavoro, costituisce una novità. Infatti, la Cassazione Penale, Sez. 4, con la sentenza del 02 febbraio 2015, n. 4890 aveva ribadito che:

<<Si deve ritenere abnorme o, comunque, eccezionale e, in quanto tale, idoneo ad interrompere il nesso di causa tra la condotta datoriale e l'evento, il comportamento del lavoratore esorbitante dalle precise direttive impartitegli, così qualificabile qualora, per la serie di operazioni messe in atto al fine di superare le barriere poste a presidio della sua sicurezza, riveli la piena consapevolezza di violare le prescrizioni datoriali>>.

 

In conclusione, sembra si stia cominciando a comprendere che una vigilanza “momento per momento” su ciò che avviene sui luoghi di lavoro, volta a prevenire qualunque devianza comportamentale da parte dei lavoratori, non possa essere una condotta penalmente esigibile da parte dei vari attori (datori di lavoro, dirigenti e preposti) quando, come prima evidenziato dalla Cassazione Penale, questi hanno già soddisfatto gli obblighi inerenti all’informazione, formazione, addestramento specifico ed hanno fornito attrezzature adeguate ed efficienti nonché precise direttive sulle modalità di esecuzione del lavoro.

 

 

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione


Corte di Cassazione Penale, Sez. 4 – Sentenza n. 10334 del 24 marzo 2022 - Fatale caduta di un ramo durante le operazioni di esbosco di piante già tagliate. Annullamento con rinvio della sentenza di condanna del datore di lavoro





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Rispondi Autore: Massimo Passariello - likes: 0
28/04/2022 (16:04:41)
singolare il fatto che le corti non abbiano ritenuto importante il fatto che il lavoratore fosse non regolarizzato e quindi sprovvisto di formazione specifica e di idoneità alla mansione.
Rispondi Autore: fausto pane - likes: 0
29/04/2022 (13:46:34)
Buongiorno.
I testimoni affermano che il soggetto infortunato era un esperto del settore, avendo già operato al servizio del datore di lavoro di che trattasi. La formazione e l'addestramento (capacità di operare) ce l'aveva, e questa non viene meno se sei in nero...
La sorveglianza sanitaria non costituisce aspetto cruciale nello sviluppo dell'evento: le lesioni riportate, a causa del comportamento incauto, non dipendono dalla mancanza del certificato di idoneità alla mansione.
Piuttosto, dovendo seguire le indicazioni del datore di lavoro, che prevedevano l'impiego di un verricello forestale e, magari, annesso trattore, il soggetto coinvolto, aveva la qualifica necessaria per impiegare in sicurezza il primo attrezzo e, soprattutto, il secondo veicolo? Se me li metti a disposizione, ma io non sono qualificato per impiegarli, di chi è la responsabilità?
Mah?
Comunque, mi rimane ostico comprendere quando QUANTA informazione, QUANTA formazione, QUANTO addestramento, QUANTA conoscenza e sensibilizzazione riguardo sicurezza e salute siano necessarie per sollevare il datore di lavoro dalle responsabilità di un comportamento foriero di infortunio/decesso, di un suo sottoposto.
Vale, ahimé, ancora troppo spesso il combinato disposto: se fosse stato adeguatamente informato, formato, addestrato, sensibilizzato, non sarebbe successo.
Come dire che l'aver conseguito la patente di guida AUTOMATICAMENTE ti impedisce di parcheggiare in divieto di sosta.
Saluti.
Fausto Pane
Rispondi Autore: Claudio Aradori - likes: 0
29/04/2022 (16:10:47)
i tanti profeti dell’integralismo repressivo
Ognuno com'è normale che sia , ha le proprie opinioni e le proprie ricette , se chiedere più controlli vuole dire essere integralista , io sicuramente lo sono , logicamente controlli da parte di personale competente , al massimo vedo visionare della documentazione (proprio la settimana scorsa ho visto un sopralluogo dei vigili del fuoco) per cui l'opposto dell'integralista è il sognatore , ( la cultura della sicurezza ) la cintura sulle auto i più l'hanno indossata per paura delle sanzioni ora è diventata una normalità , concordo che i controlli fatti fino ad ora servano a poco , come per altro i vari corsi di formazione , specifico per lavoro faccio il formatore.....
Rispondi Autore: carmelo catanoso - likes: 0
30/04/2022 (18:57:23)
Quello che ripeto da anni è che l'aumento dei controlli, da solo non basta.

Quello che vedo da anni è che quando, la soglia di attenzione della pubblica opinione si alza sotto la spinta della maggiore attenzione da parte dei mass media, la risposta del legislatore è sempre la stessa: solo richiesta di maggiori controlli (ho cominciato a vedere questo tipo di risposta alla fine degli anni '80 con i cantieri dei mondiali di Italia '90).

Quello che vedo, anche con gli ultimi interventi legislativi, è che si continua a puntare solo sull'aumento dei controlli.

Se accanto all'aumento dei controlli non si faranno altri interventi come, ad esempio, l'introduzione di un meccanismo serio per l'accesso e la permanenza sul mercato delle imprese, molto difficilmente si potranno vedere miglioramenti. Basta guardare con il bonus 110% dove "cani e porci" si sono messi a fare impresa.
Andrebbero rivisti anche la contrattualistica di lavoro che ha creato un limbo dove le tutele per i lavoratori sono solo virtuali.
Ecc., ecc.
Su questo, proprio su Puntosicuro, ho scritto fin troppo.

Poi, se si pensasse che con la sola istituzione della Procura Nazionale (che interverrà sempre a valle degli eventi) si possa creare un deterrente riguardo i comportamenti di un certo tipo di imprese, si commette un altro grosso errore.

La sicurezza sul lavoro è influenzata da tante variabili.
Un intervento serio e non un intervento "buttato lì" tanto per far vedere che si dà una risposta al fenomeno portato dai massmedia all'attenzione della pubblica opinione, dovrebbe essere pensato in modo tale da intervenire su tutte le variabili in gioco altrimenti quali miglioramenti ci si può aspettare?

Purtroppo, la visione del problema da parte di alcuni personaggi politici e dei loro consulniente di cui si circondano, è una visione miope che non farà altro che riproporre la solita minestrina riscaldata che viene somministrata da 40 anni.

Il miglioramento che c'è stato (quando ho cominciato io , c'erano 3500 morti all'anno censiti dall'INAIL, lo dobbiamo non certo alle scelte legislative ma all'evoluzione tecnologica che, anche in questa area, ha dato i suoi frutti confermando che la tecnologia, per essere veramente tale, è l'insieme delle conoscenze scientifiche che si traducono in applicazioni socialmente rilevanti.

Ho sentito pure parlare di "obiettivo zero infortuni".
Mirare a zero infortuni è palesemente una utopia.
Avrebbe molto più senso darsi obiettivi di riduzione progressivi nel tempo.
Come detto prima ci sono ben altri interventi da fare e da fare prima possibile.
Solo che sono interventi difficili ed impegnativi che non portano consenso.
Quindi, per i nostri politici, è molto più utile fare i soliti proclami.

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