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La sicurezza degli estranei che si trovino nell’ambiente di lavoro

La sicurezza degli estranei che si trovino nell’ambiente di lavoro
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

31/05/2023

Le norme di prevenzione infortuni sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell'esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell'ambiente di lavoro e che non hanno un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa.

Come già fatto in precedenti espressioni la Corte di Cassazione in questa sentenza ha ricordato e ribadito che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell'esercizio della loro attività ma anche dei terzi che si trovino nell'ambiente di lavoro, indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa per cui, ove in tali luoghi si verifichino a danno di un terzo i reati di lesioni o di omicidio colposi, è ravvisabile la colpa per violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, purché sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale e la norma violata miri a prevenire l'incidente verificatosi e sempre che la presenza del soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell'infortunio, non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico. Ha ricordato altresì, in merito alla individuazione dei rischi eccentrici, che ove in un unico cantiere operino più imprese le cui attività siano interferenti, il rischio che il lavoratore si trovi nell'area in cui opera una diversa impresa e collabori, anche indebitamente, alle lavorazioni affidate a un dipendente di altro datore di lavoro, non può considerarsi eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dall'imprenditore a tutela dei suoi diretti dipendenti.

 

Alla luce dei principi sopraindicati la Corte suprema ha rigettato il ricorso presentato dal legale rappresentante di una società che era stato condannato alla pena di giustizia in relazione al reato di cui all’art. 122 del D. Lgs. n. 81/2008, riguardante la mancanza delle necessarie opere provvisionali per l’effettuazione di lavori in quota, il quale aveva basato la sua difesa sul fatto che non era emersa una prova certa che i lavoratori esposti al rischio di caduta dall’alto fossero stati suoi dipendenti o comunque persone intente a lavorare per la sua impresa.

 

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Il caso, la condanna, il ricorso per cassazione e le motivazioni.

Il Tribunale ha condannato il legale rappresentante di una società, all'esito del dibattimento seguito alla opposizione a decreto penale, alla pena di giustizia in relazione al reato di cui all’art. 122 del D. Lgs. n. 81 del 2008. L’imputato ha ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, deducendo:

- violazione di legge con riferimento all'affermazione di penale responsabilità in assenza di prova certa del fatto che gli operai presenti fossero da lui dipendenti o comunque persone intente a lavorare per la sua ditta;

- violazione di legge con riferimento alla mancata applicazione dell'art. 131-bis c.p. per non avere la sentenza impugnata chiarito quali fatti concreti potessero supportare la valutazione di gravità del fatto e il riferimento ad una "pluralità di violazioni";

- vizio di motivazione con riferimento alla misura della pena per la mancata esplicazione dei motivi per cui era stato irrogato un trattamento sanzionatorio superiore al minimo edittale.

  

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

Il ricorso è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione inammissibile. Con riferimento al primo motivo la suprema Corte ha chiarito che "in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ove in un unico cantiere operino più imprese le cui attività siano interferenti, il rischio che il lavoratore si trovi nell'area in cui opera una diversa impresa e collabori, anche indebitamente, alle lavorazioni affidate a un dipendente di altro datore di lavoro, non può considerarsi eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dall'imprenditore a tutela dei suoi diretti dipendenti" e che "in tema di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell'esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell'ambiente di lavoro, indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa, di talché, ove in tali luoghi si verifichino a danno del terzo i reati di lesioni o di omicidio colposi, è ravvisabile la colpa per violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, purché sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale e la norma violata miri a prevenire l'incidente verificatosi, e sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell'infortunio, non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico".

 

In tale condivisibile prospettiva ermeneutica, ha così proseguito la Corte di Cassazione, risulta evidente l'irrilevanza della questione prospettata dalla difesa ricorrente, secondo cui, per l'affermazione di responsabilità dell’imputato sarebbe stato necessario verificare con certezza che gli operai intenti a lavorare sul tetto, senza le necessarie misure protettive, fossero stati tutti effettivamente alle dipendenze del ricorrente.

 

Analogamente infondate sono state ritenute dalla Sezione III le censure concernenti la mancata applicazione dell'art. 131-bis c.p.. Il Tribunale, infatti, sia pure in termini sintetici, aveva motivato la propria decisione, in termini non censurabili in sede di legittimità, facendo leva sulla gravità del pericolo cui erano stati esposti una pluralità di operai, intenti a lavorare sul tetto dell'edificio senza precauzioni; riferimenti certamente sufficienti senza alcuna necessità di ulteriori specificazioni in ordine all'altezza dell'edificio.

 

Per ciò che riguarda infine la terza censura, la suprema Corte ha osservato, per un verso, che il riferimento all'art. 133 c.p. doveva ritenersi idoneo a sorreggere la motivazione, essendo stata irrogata una pena (4.000 euro di ammenda) inferiore al valore medio della pena edittale prevista dall’art. 159, comma 2, lett. a, del D. Lgs. n. 81/2008 e, per altro verso, che il riferimento alla pena di nove mesi di reclusione, contenuto nella motivazione della sentenza impugnata, ha costituito un evidente refuso, del tutto privo di rilevanza.

 

Alla luce delle considerazioni sopraindicate la Corte di Cassazione ha in conclusione dichiarato inammissibile il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle Ammende.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione III - Sentenza n. 17783 del 28 aprile 2023 (u.p. 8 febbraio 2023) - Pres. Rosi - Rel. Pazienza – PM Seccia - Ric. A.A.. - Le norme di prevenzione infortuni sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell'esercizio della loro attività ma anche dei terzi che si trovino nell'ambiente di lavoro e che non hanno un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa.






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Rispondi Autore: Filippo Verrillo - likes: 0
05/06/2023 (11:43:38)
Siamo alle solite. I giudici interpretano e non applicano quello che stabilisce il legislatore.
Non mi sembra che c'entri molto con quanto riportato al CAPO I - DISPOSIZIONI GENERALI
Articolo 1 - Finalità del D.Lgs. 81/08 che parla solo di lavoratori e lavoratrici.

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