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La sfera di responsabilità per aree di rischio e le posizioni di garanzia

La sfera di responsabilità per aree di rischio e le posizioni di garanzia
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

10/07/2023

Per ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare. Il “garante” è il soggetto che gestisce il rischio e quindi a lui va addebitato un illecito prodottosi nell'ambito della sua sfera gestoria.

Nell'ambito della sicurezza sul lavoro, ha sostenuto la Corte di Cassazione in questa sentenza, emerge la centralità del concetto di rischio in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l'uomo si inserisce in un apparato disseminato di insidie. Rispetto ad ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare e il "garante" è il soggetto che gestisce il rischio e, quindi, colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l'illecito, qualora l'evento si sia prodotto nell'ambito della sua sfera gestoria. Nell'ambito della sicurezza sul lavoro è il D. Lgs. n. 81 del 2008 che consente di individuare le posizione di garanzia e, conseguentemente, la responsabilità gestoria che in ipotesi di condotte colpose può fondare la responsabilità penale.

 

Nel caso in esame riguardante l’infortunio di un dipendente di una ditta subappaltatrice per il quale erano stati condannati il suo datore di lavoro e il preposto dell’azienda alla quale apparteneva nonché il titolare dell’impresa appaltatrice i quali hanno ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della loro sentenza di condanna, i giudici di merito, secondo la Corte suprema, hanno correttamente sviluppato un percorso motivazionale congruo, logico e corretto in diritto, mediante il quale hanno ravvisate, previa individuazione delle aree di rischio delimitanti la loro posizione di garanzia, le specifiche condotte colpose dei ricorrenti causative dell'evento mortale oggetto del giudizio. La Corte di Cassazione ha altresì ribadito che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, con specifico riferimento all'esecuzione di lavori in subappalto all'interno di un unico cantiere edile predisposto dall'appaltatore, grava su tutti coloro che esercitano i lavori e, quindi, anche sul subappaltatore interessato all'esecuzione di un'opera parziale e specialistica, il quale ha l'onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro, sebbene l'organizzazione del cantiere sia direttamente riconducibile all'appaltatore, che non cessa di essere titolare dei poteri direttivi generali.

 

Alla luce di tali osservazioni la suprema Corte ha rigettato i ricorsi e confermate le condanne dei ricorrenti.

 

Il fatto e l’iter giudiziario

La Corte di appello ha confermata la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato il titolare di una ditta appaltatrice e il titolare e il preposto di un’impresa subappaltatrice responsabili del reato di omicidio colposo di un lavoratore dipendente della ditta subappaltatrice stessa. Il fatto è stato ricostruito dai giudici di merito così come di seguito indicato. L’operaio infortunatosi era intento ad eseguire alcuni lavori sulla chiesa arcipretale di un paese, sottoposta a lavori di ristrutturazione consistenti nel restauro e nel risanamento conservativo della copertura della chiesa. Attorno alla chiesa era stato allestito un ponteggio dalla società appaltatrice. Il giorno dell’infortunio l’operaio si doveva recare sul tetto della chiesa per terminare la posa in opera del telo barriera vapore. Lo stesso invece di salire tramite l'apposita scaletta di accesso al ponteggio situata in prossimità dell'ingresso principale, era salito su un altro ponteggio che si trovava in corrispondenza di un ingresso secondario della chiesa. Nel passare da un ponteggio all’altro era rimasto mortalmente folgorato per un contatto indiretto con un conduttore aereo con difetto di isolamento risultato in tensione che correva fra un ponteggio e l’altro.

 

La Corte di Appello ha confermata la responsabilità di tutti gli imputati. Secondo la stessa infatti il titolare della ditta appaltatrice non aveva considerato nel suo POS il rischio derivante da possibili contatti elettrici e non aveva verificato che i lavori affidati in subappalto venissero eseguiti in condizioni di sicurezza; il datore di lavoro dell’infortunato non aveva provveduto affinché i suoi dipendenti fossero salvaguardati dai rischi di natura elettrica, ad esempio proteggendo i cavi con tubi "corrugati" o prescrivendo di lavorare mantenendo una distanza di sicurezza dai cavi né aveva sospeso i lavori in presenza della linea elettrica in pessime condizioni e il preposto non aveva segnalato il rischio che aveva portato all’infortunio al proprio datore di lavoro.


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Il ricorso per cassazione e le motivazioni.

Avverso la sentenza di condanna da parte della Corte di Appello tutti e tre gli imputati hanno ricorso per cassazione. Il datore di lavoro e il preposto dell’impresa subappaltatrice hanno evidenziato che il cantiere non era stato predisposto dalla loro impresa bensì da quella appaltatrice. La sentenza impugnata inoltre non aveva correttamente individuato il titolare della posizione di garanzia, posto che il soggetto infortunato non si trovava nel luogo in cui doveva svolgere le lavorazioni ma lo stava raggiungendo da una posizione non prevista e disagevole, visto che doveva scavalcare il ponteggio, trattandosi di due ponteggi diversi. Il rischio concretizzatosi quindi non afferiva ad una area di competenza della loro impresa trattandosi di un rischio generico afferente ad un'area del cantiere estranea alle loro lavorazioni. come tale regolata dal PSC; né erano stati indicati concreti elementi sulla base dei quali l’impresa avrebbe dovuto prevedere l'accesso del lavoratore al ponteggio di competenza non tramite la scala ma scavalcando dal secondo ponteggio estraneo alle lavorazioni dell'operaio.

 

Diversamente da quanto ritenuto in sentenza, inoltre, i consulenti tecnici escussi avevano riferito che dal cantiere non era visibile lo stato di deterioramento del cavo elettrico, posto che la parte grossa del degrado era nella zona centrale del cavo e la zona con l’isolamento deteriorato non era raggiungibile. Il lavoratore che aveva montato il ponteggio, inoltre, aveva testimoniato di aver lui stesso toccato il cavo in questione senza alcuna conseguenza; né si poteva affermare quindi che il deterioramento del cavo fosse così evidente da rendere prevedibile il rischio ed esigibile l'attivazione da parte dell’impresa a "pretendere" l'applicazione delle misure di sicurezza. Il preposto, da parte sua, ha contestata altresì la violazione dell’art. 117 del D. Lgs. n. 81/2008 visto che lo stesso fa riferimento alle linee elettriche con i conduttori nudi, mentre la conduttura in questione era formata da cavi a doppio isolamento con isolamento esterno in neoprene.

 

Il titolare dell’impresa appaltatrice, da parte sua, ha evidenziato a sua difesa che il piano di calpestio del primo ponteggio (quello percorso dalla vittima) era del tutto separato ed autonomo rispetto al piano di calpestio del secondo ponteggio e che il cavo elettrico passava lungo la direttrice frapposta fra i due spigoli dei due ponteggi, senza attraversare le zone di lavoro. Il lavoratore infortunatosi, per portarsi nell'altro ponteggio, non aveva utilizzato l'accesso specificamente previsto e realizzato a tale scopo ma oltrepassava le barre trasversali poste quale barriera contro il passaggio da un ponteggio all'altro. Lo stesso ha sottolineato ancora che la condotta del lavoratore non era stata certamente prevedibile, posto che vi era una struttura appositamente dedicata all'accesso al luogo di lavoro, né prevenibile, posto che il superamento laterale del ponteggio era appositamente ostacolato dalla presenza di barre trasversali al fine di evitare il passaggio. Vi era stata quindi una interruzione del nesso causale fra le contestate violazioni antinfortunistiche e l'evento, stante la condotta imprevedibile e anomala del lavoratore. In conclusione, il rischio si era concretizzato solo a fronte di un comportamento dell'infortunato totalmente eccentrico ed abnorme, per aver utilizzato il cavo come base di appoggio durante il transito da un ponteggio all'altro.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

I ricorsi proposti sono stati ritenuti infondati da parte della Corte di Cassazione che li ha pertanto rigettati. La stessa ha avuto modo di rammentare che, nell'ambito della sicurezza sul lavoro, emerge la centralità del concetto di rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l'uomo si inserisce in un apparato disseminato di insidie. “Rispetto ad ogni area di rischio”. ha sottolineato la Corte di Cassazione, “esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il ‘garante’ è il soggetto che gestisce il rischio e, quindi, colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l'illecito, qualora l'evento si sia prodotto nell'ambito della sua sfera gestoria”. Nell'ambito della sicurezza sul lavoro, in particolare, il D. Lgs. n. 81 del 2008 ha consentito di individuare la genesi e la conformazione della posizione di garanzia, e, conseguentemente, la responsabilità gestoria che, in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale.

 

Contrariamente a quanto sostenuto nei motivi di ricorso, ha così proseguito la suprema Corte, i giudici di merito hanno sviluppato un percorso motivazionale congruo, logico e corretto in diritto, mediante il quale sono state ravvisate, previa individuazione delle aree di rischio delimitanti la posizione di garanzia dei ricorrenti, le loro specifiche condotte colpose causative dell'evento mortale oggetto del giudizio.

 

Quanto al titolare dell’impresa appaltatrice affidataria, sullo stesso gravavano gli obblighi di cui all'art. 97 del D. Lgs. n. 81/2008, che gli imponevano di verificare, tra le altre cose, anche l'applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento. Il datore di lavoro dell'impresa affidataria, inoltre, avendo subappaltato parte dei lavori, era tenuto a adottare i comportamenti previsti dall'art. 26 dello stesso decreto legislativo che come noto prescrive precisi obblighi di cooperazione all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro, imponendo il coordinamento di interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi interferenziali tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera. Nel caso in esame era risultato dimostrato che il subappalto non era stato totale, visto che la l’impresa affidataria aveva subappaltato solo una parte dei lavori di ristrutturazione del tetto rispetto all'intero piano di esecuzione delle opere di restauro da eseguire, sicché l’impresa stessa aveva mantenuto una posizione di ingerenza nella esecuzione dei lavori.

 

Era stato inoltre accertato che il titolare dell’impresa appaltatrice non aveva verificata la permanenza in cantiere delle prescrizioni previste dal piano di sicurezza e coordinamento in merito alla protezione adeguata del cavo aereo con tubi corrugati; conseguentemente i giudici di merito avevano plausibilmente affermato che se lo stesso avesse effettuato tale verifica, si sarebbe accorto che i tubi corrugati, in origine installati, non erano stati più riposizionati, circostanza che lo avrebbe dovuto indurre a sospendere i lavori o ordinarne l'immediata ricollocazione. Era stato appurato inoltre che la linea che alimentava il cavo luce della chiesa era sicuramente in tensione al momento dell'incidente, per cui non aveva assunto alcuna rilevanza la circostanza che in alcune occasioni la stessa linea si fosse dimostrata inerte: il cavo aereo doveva comunque essere messo in sicurezza a tutela dei lavoratori, come previsto dal piano di sicurezza e coordinamento.

 

Quanto alla posizione del titolare della ditta subappaltatrice alle cui dipendenze lavorava il lavoratore deceduto e del preposto oltre che RSPP, la Corte di Cassazione ha ribadito che i giudici di merito avevano adeguatamente individuato i profili colposi ad essi ascritti, causativi dell'evento mortale. È indubbio che gli stessi non hanno verificato in concreto i requisiti di sicurezza del cantiere dove era avvenuto l'incidente, caratterizzato da un ponteggio (o da due ponteggi distinti ma contigui, poco importa) ove passava a distanza pericolosamente ravvicinata una linea elettrica rivelatasi fatale per la persona offesa.

 

Sotto questo profilo, la sentenza del Tribunale aveva correttamente richiamato le disposizioni di cui agli artt. 83 e 117 del D. Lgs. n. 81/2008, che vietano l'esecuzione di lavori non elettrici (come nel caso in esame) in vicinanza di linee elettriche, con necessità, in tali casi, di adottare precise precauzioni, quali: la messa fuori tensione della linea e la messa in sicurezza delle parti attive o il posizionamento di ostacoli rigidi idonei ad impedire l'avvicinamento a parti attive. Gli stessi quindi dovevano adottare tutte le misure necessarie (anche ai sensi dell'art. 26 dello stesso decreto legislativo) affinché i lavoratori fossero salvaguardati da tutti i rischi di natura elettrica presenti in cantiere, in qualsiasi modo gli stessi potessero concretizzarsi. Ciò non era stato fatto, ed era stato appurato che il cavo elettrico in questione penetrava nell'area del ponteggio e nell'area del cantiere, si appoggiava su un montante del ponteggio e si poneva a ridosso dei luoghi in cui dovevano essere svolte le lavorazioni subappaltate.

 

Né si poteva, infine, sostenere, come avevano fatto il datore di lavoro e il preposto della ditta subappaltatrice, che il rischio concretizzatosi non afferiva ad una area di loro competenza trattandosi comunque di un rischio afferente alla complessiva area di cantiere ove dovevano essere eseguiti i lavori. Sotto questo profilo, la suprema Corte ha ribadito che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, con specifico riferimento all'esecuzione di lavori in subappalto all'interno di un unico cantiere edile predisposto dall'appaltatore, grava su tutti coloro che esercitano i lavori e, quindi, anche sul subappaltatore interessato all'esecuzione di un'opera parziale e specialistica, il quale ha l'onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro, sebbene l'organizzazione del cantiere sia direttamente riconducibile all'appaltatore, che non cessa comunque di essere titolare dei poteri direttivi generali.

 

Al rigetto dei ricorsi è quindi conseguito per legge la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 930 del 13 gennaio 2023 (u.p. 3 novembre 2022) - Pres. Piccialli – Est. Ranaldi - Ric. A.L., F.C. e M.M. - Per ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare. Il “garante” è il soggetto che gestisce il rischio e quindi a lui va addebitato un illecito prodottosi nell'ambito della sua sfera gestoria.





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Rispondi Autore: fausto pane - likes: 0
12/07/2023 (16:36:32)
Buonasera.
La Corte Suprema continua ad ignorare l'articolo 20 DLG 81/08, confermando condanne che non sarebbero mai esistite, solo i lavoratori e le lavoratrici avessero fatto quello che gli era stato detto, o solo avessero mantenuto un comportamento sicuro, come previsto dalla legge. Si continua ad esigere garanzia e tutela a senso unico, come se l'81/08 fosse solo stato scritto per Datori di Lavoro, Dirigenti, Preposti , RSPP, CSE, CSP, senza che i lavoratori debbano mai rispondere di un solo loro comportamento sbagliato. Partecipazione e responsabilizzazione: questo chiedono le direttive comunitarie. Ma noi no....
saluti
Fausto Pane

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