La posizione di garanzia del CSE ancora sotto la lente della Cassazione
Un’altra sentenza questa in commento lunga e complessa e che, pur riguardando la figura di un committente condannato dal Tribunale e poi assolto dalla Corte di Appello, ha finito con l’occuparsi del ruolo di un coordinatore per la sicurezza e della sua eventuale responsabilità per un infortunio accaduto ad alcuni lavoratori in un palazzetto dello sport e dovuto al crollo di una struttura metallica, denominata ground support, durante l’allestimento di un palcoscenico necessario per il concerto di un artista.
Il committente era stato condannato per disastro e omicidio colposi per non avere nominato un coordinatore per la sicurezza e per non avere quindi indirettamente impedito che il fatto potesse accadere proprio per non avere provveduto a fare tale nomina. La diversa decisione presa dal Tribunale e dalla Corte di Appello è risultata legata a una diversa interpretazione sulla natura del rischio che aveva portato all’infortunio dei lavoratori, ritenuto di tipo interferenziale da parte del Tribunale e quindi di competenza del coordinatore per la sicurezza e invece specifico dell’impresa appaltatrice secondo la Corte di Appello in quanto concretizzatosi nella fase di montaggio della struttura metallica alla stessa assegnata.
La Corte di Cassazione, alla quale hanno fatto ricorso sia il Procuratore Generale che le parti civili, ha trovato ancora una volta lo spunto in questa occasione di ribadire tutti gli indirizzi dalla stessa forniti in passato in merito al ruolo ricoperto dalla figura del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione e alle sue eventuali responsabilità per gli infortuni di lavoratori che dovessero accadere nei cantieri edili dove stanno svolgendo la loro attività. La stessa Corte suprema, non avendo comunque ritenuto che la Corte di Appello avesse fornito sufficienti e logiche motivazioni per invertire la decisione del Tribunale di condannare l’imputato, ha provveduto ad annullare la sentenza dallo stesso emessa e di rinviare gli atti del procedimento alla Corte di Appello di provenienza affinché provvedesse ad emettere un nuovo giudizio affidandolo ad altra Sezione.
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Il fatto, l’iter giudiziario, i ricorsi per cassazione e le motivazioni.
La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza del Tribunale con la quale il legale rappresentante di una società era stato condannato alle pene ritenute di giustizia perché ritenuto responsabile dell’omicidio e lesioni colpose di alcuni lavoratori dipendenti di un’impresa incaricata della fornitura e posa in opera di una struttura metallica denominata ground support necessaria per l’allestimento di un palcoscenico per il concerto di un artista rimasti infortunati per il crollo della struttura stessa nel mentre erano intenti in mansioni di facchinaggio in zona sottostante ad essa, ha assolto l'imputato al quale quei reati erano stati contestati. Il crollo della struttura si era verificato in conseguenza di un errore di calcolo nella progettazione da parte del progettista, già condannato, per cui l'attenzione, nella specifica sede, era stata concentrata sul ruolo del committente e segnatamente sugli obblighi su di esso gravanti in base alla normativa antinfortunistica.
I giudici del doppio grado avevano ritenuto che la posizione dell’imputato fosse discesa dal contratto di appalto stipulato tra la società rappresentata dallo stesso e un’altra società che, a sua volta, aveva nominato il tecnico al quale era stato addebitato l'errore di calcolo causa dell'evento. Gli stessi giudici avevano ritenuto che nel caso in esame trovasse applicazione la normativa antinfortunistica di cui al D. Lgs. n. 81/2008 e l'obbligo da parte del committente di designare il coordinatore per l'esecuzione dei lavori normativamente previsto dall’art. 90 dello stesso decreto. La condotta omissiva contestata all'imputato nella qualità di committente (vale a dire, l'omessa nomina del coordinatore), era stata esaminata dalla Corte del merito alla stregua di una sequenza causale, nella quale la verifica in termini predittivi aveva riguardato il coordinatore (e non il committente, la cui responsabilità sarebbe stata per così dire mediata dalla figura del garante non nominato), onde accertare la idoneità di un suo intervento a scongiurare gli eventi offensivi dell'integrità fisica dei lavoratori coinvolti nel sinistro.
L'affermazione di responsabilità dell'imputato era, dunque, passata attraverso l'accertamento di una doppia omissione: quella direttamente attribuita al committente e la seconda riferibile al coordinatore, quest'ultima solo virtuale, imputabile al committente in ragione della prima. Tale impostazione ha determinato, come ovvia conseguenza, che il giudizio si è incentrato sul ruolo del coordinatore e sui suoi poteri inibitori, onde verificare sul piano logico il necessario collegamento etiologico tra l'omissione del committente e l'evento, con la conseguenza che l'attenzione dei giudici del merito si è incentrata sulla verifica dell'obbligo d'intervento del coordinatore. Ed è sul punto specifico che la Corte territoriale ha dissentito rispetto al primo giudice.
I giudici di Appello, infatti, hanno affermato che al coordinatore non spetta un controllo generale sulle lavorazioni, richiamando il concetto di concretizzazione del rischio per spiegare che l'evento è imputabile al soggetto solo ove rappresenti, per l'appunto, la concretizzazione di quel rischio specifico, mentre, ove il fatto attribuito all'imputato consista in una condotta estranea all'area di rischio coperta dalla posizione di garanzia, la sua inerzia, anche ove naturalisticamente accertata, non può produrre responsabilità, difettando la violazione di uno specifico obbligo di attivarsi.
Fatta questa premessa, la Corte di Appello ha ritenuto quantomeno dubbio che, tra i compiti del coordinatore, rientrasse quello di vigilare sull'innalzamento della struttura crollata, egli avendo solo compiti di alta vigilanza, inerenti alla generale configurazione delle lavorazioni che comportano un rischio interferenziale, ma non anche quelli di un puntuale controllo delle singole attività lavorative, demandato ad altre figure operative, fatto salvo l'obbligo di cui al D. Lgs. n. 81 del 2008, art. 92, lett. f), di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni sino alla verifica degli avvenuti adeguamenti. In altri termini, la Corte territoriale ha ritenuto che il coordinatore nella fase dell'esecuzione non possa essere considerato un controllore del datore di lavoro, ma il gestore di un rischio diverso, per l'appunto quello interferenziale, cosicché può esser chiamato a rispondere solo di infortuni che siano riconducibili a carenze organizzative generali di immediata percepibilità. I giudici del gravame hanno ritenuto che il rischio interferenziale introduca un pericolo nuovo, ulteriore rispetto a quello connesso alla singola lavorazione svolta da ciascuna impresa, essendo l'area di rischio gestita ben distinta rispetto a quella gestita dal datore di lavoro.
Muovendo da tali premesse giuridiche, il giudice d'appello ha ritenuto che il rischio evoluto nella produzione dell'evento concernesse la fase del montaggio della struttura metallica che competeva alla ditta appaltatrice e aveva escluso che il pericolo inerente al montaggio e alla solidità statica della struttura fosse riconducibile all'area di rischio di competenza del coordinatore. Le cause del crollo sono state ravvisate nell'errore del progettista e nella mancata fornitura, da parte del datore di lavoro, di un componente previsto nel manuale d'uso dell'opera. In entrambi i casi, il rischio, secondo il decidente, era inerente alla fase della fornitura e del montaggio della struttura, attività che presuppongono competenze specifiche e i relativi rischi sarebbero stati diversi rispetto a quelli derivanti dalla compresenza sul luogo di lavoro di più imprese. La Corte territoriale inoltre, sotto altro profilo, ha ritenuto che l'errore di calcolo nel progetto rappresentasse un vizio occulto, nel senso che solo un tecnico avrebbe potuto rilevarlo, essendosi i segnali di pericolo verificati dopo l'innalzamento della struttura e durante la fase del suo allestimento. Solo in questa fase, infatti, la comparsa della cosiddetta “freccia”, aveva determinato l'allertamento del progettista che, però, aveva ritenuto il fenomeno normale e invitato a proseguire il lavoro.
La Corte territoriale infine, pur riconoscendo che il coordinatore ha l'obbligo di adeguare il POS all'evoluzione dei lavori e di attivare i poteri inibitori in caso di pericolo grave e imminente, ha ritenuto che il dovere di sospendere i lavori derivi da un pericolo constatato personalmente dal coordinatore e da esso immediatamente percettibile, situazioni che, in ogni caso, andrebbero sempre coordinate con l'area di rischio che il coordinatore è chiamato a gestire, non potendo essere investito di un dovere di costante presenza nel cantiere. Nella specie, il vizio non è stato ritenuto immediatamente percettibile e il Tribunale, secondo la Corte territoriale, aveva invertito tale prospettiva, assegnando al coordinatore un obbligo compatibile solo con una costante presenza in cantiere, la gestione del rischio non trovando in tal modo la sua fonte nella presenza di più imprese, ma nelle singole lavorazioni, altresì osservando come fosse emerso dall'istruttoria che un altro soggetto era stato indicato per risolvere imprevisti tecnici (il direttore della produzione), soggetto che lo stesso consulente del pubblico ministero aveva ritenuto investito di un ruolo essenziale di coordinamento.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni
Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello ha proposto ricorso, formulando un unico motivo con il quale ha dedotto contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla valutazione della penale responsabilità dell’imputato. Lo stesso ha rilevato che la Corte territoriale avrebbe correttamente ritenuto la qualifica soggettiva di committente in capo all’imputato e il suo conseguente obbligo di nomina del coordinatore per la fase di esecuzione dei lavori ma ha però escluso che il coordinatore fosse il soggetto al quale spettava la gestione del rischio concretizzatosi nell'evento, con la conseguenza che la sua mancata nomina avrebbe costituito violazione di una norma non correlata all'infortunio.
Il Procuratore Generale, inoltre, in merito al rischio ritenuto occulto dalla Corte di Appello, ha fatto presente che già il Tribunale aveva accertato che i segnali di cedimento della struttura erano stati avvertiti dalle maestranze nella mattinata del crollo, allorquando la struttura era ancora in fase di innalzamento, e che le stesse avevano allertato invano il progettista; il vizio sarebbe stato percepibile dal coordinatore, ove nominato, senza che, a tal fine, ne fosse richiesta una presenza costante in cantiere: era la delicata fase di "carico" della erigenda struttura a costituire una fase estremamente pericolosa dell'intera realizzazione dell'opera appaltata ed essa imponeva una verifica e una presenza del coordinatore proprio a causa della interferenza tra le varie attività lavorative, rischio connesso anche alla frenesia delle attività in corso, alla presenza di maestranze diverse, dipendenti da ditte diverse, all'approntamento di impianti, alla costruzione di palchi e quant'altro.
Anche la parte civile costituita ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore formulando alcune motivazioni. La stessa ha posto in evidenza che il crollo non era stato improvviso, poiché la vicenda aveva avuto un suo decorso nell'arco della stessa mattinata nella quale si è verificato, richiamando il contributo dichiarativo testimoniale alla stregua del quale era emerso che i lavoratori si erano accorti dell’anomalia della "freccia" sin dalle prime ore della giornata mentre il crollo era accaduto tra le 13 e le 13.30 della stessa giornata; la Corte territoriale invece aveva ritenuto il vizio contraddittoriamente occulto pur avendo descritto che la flessione della struttura si era manifestata al punto tale da spingere i lavoratori a interpellare il progettista. Incongruamente, inoltre, la Corte territoriale aveva ritenuta necessaria una specifica competenza tecnica per percepire il pericolo in quanto di esso si erano accorti anche soggetti non aventi le competenze del progettista condannato.
Secondo la parte civile inoltre, il coordinatore, ove nominato, dati i suoi maggiori poteri, avrebbe potuto agire diversamente, mediante un intervento inibitorio; lo stesso, infatti, pur non avendo l’obbligo di essere presente costantemente ha il dovere di recarsi in cantiere con periodicità proprio per valutare eventuali pericoli che, nella specie, erano da ricollegarsi alla fase più delicata della realizzazione dell'opera e cioè quella in cui dall'innalzamento si passava al suo allestimento. Con riferimento poi alla natura del rischio che ha portato all’infortunio, la parte civile ha sottolineato che lo stesso era un rischio di tipo interferenziale che il coordinatore è chiamato a gestire e non un rischio collegato a una singola lavorazione per la compresenza di più ditte, proprio nel momento in cui si stava procedendo all'appendimento, e per la sovrapposizione sullo stesso manufatto di attività diverse affidate a diversi soggetti. Secondo il parere del consulente del pubblico ministero infatti, nell'occorso, ciascuna impresa non si era preoccupata di informare quelle sopraggiunte di quanto era a sua conoscenza, nonostante fossero stati firmati più contratti aventi a oggetto attività diverse (quello per il noleggio della struttura e quelli aventi a oggetto il sub appalto per l'approntamento degli impianti audio, luci, video e delle scenografie, la costruzione dei palchi e delle opere accessorie).
La Corte di Appello, ha evidenziato ancora la ricorrente, non avrebbe chiarito alcunché a tal proposito, contrariamente al Tribunale che aveva affrontato il tema specifico. In definitiva, quindi, nel caso concreto la mancata nomina del coordinatore per l'esecuzione dei lavori ha impedito, secondo la ricorrente, la realizzazione delle cautele e delle verifiche rientranti nel dovere di alta vigilanza che un professionista diligente avrebbe dovuto porre in essere a fronte della pericolosità inerente alla fase dell'appendimento dei carichi sulla struttura in corso di realizzazione.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
I ricorsi sono stati ritenuti fondati in parte dalla Corte di Cassazione. La stessa ha in premessa sottolineato che le decisioni di primo e secondo grado sono risultate convergenti quanto al riconoscimento della qualifica di committente in capo all’imputato e alla accertata violazione da parte dello stesso dell'obbligo di cui all’art. 90, comma 4, del D. Lgs. n. 81/2008 di designazione di un coordinatore per l'esecuzione dei lavori. La divergenza aveva invece riguardato le conclusioni sulla penale responsabilità dello stesso, avendo i giudici del gravame sovvertito il verdetto di condanna, a seguito di un giudizio controfattuale operato sul presupposto che il coordinatore, anche ove il committente lo avesse nominato, non avrebbe avuto l'obbligo di attivarsi, atteso che il rischio concretizzatosi non era collegato ai suoi doveri di alta vigilanza, bensì a un vizio occulto, non percepibile da parte di un soggetto dotato di comuni conoscenze.
Ciò premesso, la Corte di Cassazione ha ritenuto di richiamare i principi dalla stessa più volte affermati, sia con specifico riferimento al rischio interferenziale, dalla cui ricorrenza discende l'obbligo di nomina del coordinatore in capo al committente, che ai suoi obblighi e poteri ma anche di precisare il significato della locuzione "alta vigilanza" cui sovente si ricorre per definire i compiti di tale figura di gestore del rischio in tema di infortuni sul lavoro.
Quanto al rischio interferenziale, ha precisato la suprema Corte, ai fini della verifica della ricorrenza dello stesso, occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro (contratto d'appalto, d'opera o di somministrazione) ma all'effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano sul medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte. Per quanto riguarda invece i compiti del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, va ribadito che tale figura è titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, in quanto gli spettano, per l'appunto, compiti di "alta vigilanza", consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS.
Va pure precisato che detta funzione di alta vigilanza ha ad oggetto esclusivamente il rischio cosiddetto generico, relativo cioè alle fonti di pericolo riconducibili all'ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attività, alle procedure lavorative ed alla convergenza in esso di più imprese per cui ne consegue che il coordinatore non risponde degli eventi riconducibili al cosiddetto rischio specifico, proprio dell'attività dell'impresa appaltatrice o del singolo lavoratore autonomo e ha citato come riferimento le sentenze n. 3288 del 23/1/2017 Sezione IV, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “La vigilanza del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione” e n. 14179 del 15/4/2021 Sezione IV, pubblicata e commentata nell’articolo "L’area di rischio di competenza del CSE e delle imprese".
La suprema Corte ha inoltre ritenuto di ribadire che la legge ha delineato sul coordinatore per la sicurezza una funzione peculiare, rispetto al generale compito di alta vigilanza che, come sopra già precisato, grava su tale figura della sicurezza; egli infatti svolge una autonoma funzione di alta vigilanza sulla generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale e, sebbene non sia tenuto a un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, demandato ad altre figure operative, “mantiene l'obbligo di attivarsi, in caso di sussistenza di un pericolo nei termini di cui allo stesso art. 92, comma 1, lett. f). Tale ultimo obbligo, tuttavia, non è correlato alla natura del rischio interferenziale che è chiamato a gestire, poiché egli risponde per colpa in omissione, allorquando versi in condizioni di avvedersi o essere informato dell'esistenza di un pericolo grave e imminente e rimanga inerte, a prescindere dal fatto che il pericolo sia correlato a un rischio interferenziale”. Tale interpretazione discende direttamente dalla lettera e) della norma richiamata, con la quale il legislatore ha previsto che il coordinatore, allorquando riscontri la violazione di obblighi assegnati ad altre figure della sicurezza, proponga la sospensione dei lavori al committente o al responsabile dei lavori, ove nominato, previa contestazione delle violazioni ai lavoratori autonomi o alle imprese. La successiva ipotesi di cui alla lett. f), invece, non è correlata al riscontro di specifiche violazioni da parte delle altre figure di gestori del rischio, ma direttamente ed esclusivamente alla riscontrata esistenza di un pericolo grave e imminente. Pertanto, a tal fine, diventa rilevante la verifica del momento del manifestarsi di inequivocabili segnali di sussistenza di tale pericolo e della sua imminenza, ma anche quella della prevedibilità in capo al coordinatore medesimo, sul quale, come sopra ricordato, non grava l'obbligo di una presenza costante in cantiere.
Trattasi, dunque, ha precisato la Corte di Cassazione, di una vera e propria norma di chiusura che, al di là degli obblighi di alta vigilanza previamente indicati dalla lett. a) alla lett. d), questi sì direttamente correlati al rischio di interferenze tra le diverse realtà lavorative, impone comunque al coordinatore un obbligo più generale di sospensione delle lavorazioni ogni qualvolta abbia contezza di una siffatta situazione di pericolo.
Nel caso in esame, secondo la Sez. IV, la Corte di Appello ha escluso in maniera apodittica che l'evento fosse stato conseguenza del concretizzarsi di un rischio interferenziale, derivandone così l'assenza di un obbligo di attivazione del coordinatore. Tuttavia, ha omesso di confutare in maniera puntuale il rilievo che il Tribunale aveva assegnato, sul punto specifico, al momento nel quale gli eventi si erano prodotti (individuato nella fase di passaggio dall'innalzamento della struttura a quella del suo allestimento), tenuto anche conto dell'accertata compresenza di maestranze impegnate in lavorazioni diverse e della evidenziata delicatezza di quello specifico passaggio tra le lavorazioni, ritenuto particolarmente rilevante quanto al rischio di interferenze tra di esse, omettendo di considerare l'ulteriore obbligo del coordinatore, previsto dall’art. 92, comma 1, lett. f) del D. Lgs. n. 81/2008 comunque sganciato dalla sussistenza di un rischio interferenziale.
La Corte territoriale ha altresì sostenuto, in maniera contradditoria, che, anche a voler ipotizzare nel caso in esame l'esistenza di un rischio interferenziale, il coordinatore non avrebbe potuto rendersi conto del pericolo grave e imminente di crollo, posto che lo stesso era stato conseguenza di un errore di calcolo del progettista e che il rischio evoluto nella produzione dell'evento aveva riguardato la fase del montaggio della struttura che competeva alla ditta appaltatrice salvo poi affermare, subito dopo nella sentenza impugnata, che solo un ingegnere con le competenze del progettista avrebbe potuto rendersi conto, verificando il progetto e gli schemi di montaggio, della presenza dell'errore e soprattutto del fatto che la flessione si era delineata solo nel corso dell'allestimento.
Secondo la Corte di Cassazione, in conclusione, i giudici d’appello sono venuti meno all'obbligo di fornire una motivazione puntuale e rigorosa rispetto al ribaltamento di valutazione, a fronte di una decisione, con la quale il Tribunale aveva lungamente argomentato sull'evidenza del cedimento, percepito sin dall'alba della giornata lavorativa dalle maestranze impegnate in cantiere. La Corte suprema pertanto ha annullata la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di provenienza alla quale ha demandata anche la regolamentazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
Gerardo Porreca
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Rispondi Autore: Eugenio Roncelli - likes: 0 | 20/11/2023 (11:19:03) |
Mi risulta difficile comprendere queste sentenze. La colpa, sembra di capire, sarebbe da attribuire al CSE, che non era stato nominato: cioè, se fosse stato nominato, forse, avrebbe sospeso le lavorazioni a rischio. Ma già il mancato adempimento all'obbligo di nomina del CSE è colpa sufficiente alla condanna del DdL. Se il Dlgs 81/08 prevede tale nomina, è perché si ritiene che tale coordinatore sia utile ai fini della sicurezza: non c'è bisogno che lo dica un giudice, sulla base di argomentazioni varie. I giudici, e gli avvocati, devono capire che le leggi si applicano, non si interpretano, altrimenti il nostro lavoro è sempre sottoposto a valutazioni personali. |
Rispondi Autore: Luca - likes: 0 | 20/11/2023 (11:25:47) |
Mi sembra una sentenza valida non solo dal punto di vista giuridico ma anche da quello della ragionevolezza. Non si limita a ribadire che i CSE, perlomeno in alcuni frangenti, devono intervenire anche quando non si tratta strettamente di rischio interferenziale (convinzione molto diffusa) ma entra nel merito delle tempistiche in cui si è evoluto l’incidente (fondamentali per comprendere se un eventuale CSE avrebbe dovuto intervenire o meno in quanto su questo si gioca la determinazione del vizio occulto). |
Rispondi Autore: Luca - likes: 0 | 20/11/2023 (11:34:56) |
Credo che il ragionamento sul CSE sia questo: se vi era l’obbligo di nominare il CSE e si riesce a dimostrare che l’incidente è avvenuto anche a causa dell’assenza del CSE, che se nominato avrebbe dovuto segnalare e fermare l’attività, anche il committente (non avendo nominato il CSE) è responsabile in quanto non si è attivato per creare il sistema idoneo di prevenzione (appunto, la nomina del CSE). |
Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0 | 20/11/2023 (12:57:17) |
Lo scorso 8 novembre, sempre su Puntosicuro, avevo già commentato questa sentenza evidenziando anche le potenziali ricadute se strumentalmente mal interpretata. Riporto qui parte di quanto scritto riguardo il rischio di far passare il CSE per un tuttologo. Premesso che le motivazioni con cui la Cassazione Penale ha accolto il ricorso sono condivisibili, tutto ciò non va strumentalmente collegato, come già stanno facendo coloro che hanno sempre considerato il CSE come un controllore aggiunto oppure un UPG onorario o supplente, ad un ruolo di questa figura che per poter avere contezza del pericolo debba presidiare con continuità le attività in cantiere. Infatti, basta ricordare che il p.2.3.3 dell’Allegato XV già identifica i momenti in cui risulta necessaria la presenza del CSE: 2.3.3. Durante i periodi di maggior rischio dovuto ad interferenze di lavoro, il coordinatore per l'esecuzione verifica periodicamente, previa consultazione della direzione dei lavori, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi interessati, la compatibilità della relativa parte di PSC con l'andamento dei lavori, aggiornando il piano ed in particolare il cronoprogramma dei lavori, se necessario. Questo aspetto, e cioè la presenza del CSE durante le fasi di lavoro a maggiore criticità è stato confermato dalla Cassazione nelle motivazioni con cui è stato accolto il ricorso. Inoltre, è importante chiarire che non si può neanche lontanamente pensare che il CSE debba essere un tuttologo con competenze professionali pari a quelle, ad esempio, di progettisti strutturali, impiantistici, ecc., in modo da sopperire ad eventuali errori commessi da questi avvedendosi di qualunque tipologia di pericolo derivante dalle mancanze commesse da questi professionisti. Infatti, il caso in esame, invece, fa riferimento ad un pericolo avvertito dal personale addetto al montaggio alcune ore prima dell’accadimento dell’evento e comunicato al progettista strutturale. Pertanto, è sostenibile pensare che, se il committente avesse designato il CSE, questi anche se non necessariamente presente ma avvertito da chi operava in cantiere, si sarebbe attivato con un immediato sopralluogo per verificare la situazione segnalata e procedere, nella fattispecie, alla sospensione della lavorazione per pericolo grave e imminente vista la palese situazione di pericolo di crollo della struttura facilmente percepibile dalla visibile progressiva deformazione della struttura. In conclusione, la pronuncia della Cassazione va letta all’interno del perimetro caratterizzato dal caso specifico, dove la situazione di pericolo grave e imminente si era manifestata con chiarezza da alcune ore prima dell’evento senza che ciò comporti, come conseguenza, un illogico ampliamento degli obblighi e delle responsabilità del CSE da cui derivi la richiesta dell’adozione di una condotta penalmente e logicamente inesigibile in quanto caratterizzata da una presenza continua in cantiere e da competenze in ogni ramo dell’ingegneria attribuendogli così un ruolo da tuttologo ad honorem. |
Rispondi Autore: Luca - likes: 0 | 20/11/2023 (18:40:34) |
Assolutamente d’accordo con quanto scritto dal Dott. Catanoso. Ho lodato la sentenza in questione perché entra nel “dettaglio” dell’orario delle segnalazioni delle maestranze e del periodo intercorso tra queste ed il crollo; fosse stato nominato un CSE sarebbe probabilmente intervenuto e forse avrebbe evitato o limitato i danni. Concordo anche sui limiti di responsabilità e competenze della figura del CSE, a tal proposito, quando si entra in questo tipo di discussione mi piace sempre fare l’esempio del CSE in un cantiere ove si utilizza la talpa con frese rotanti, cioè un macchinario enorme e complesso di cui pochi conoscono nel profondo i rischi. In una situazione del genere ma anche in altre simili, come si potrebbe pretendere da un CSE di analizzare e vigilare puntualmente? In questi casi il CSE deve “solo” affidarsi al POS dell’impresa addette alle lavorazioni e ragionare sulle interferenze. |
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0 | 20/11/2023 (20:47:00) |
Bene ha fatto l'ing. Catanoso a sottolineare un punto dell'allegato XV di grandissima rilevanza, laddove scrive che " basta ricordare che il punto .2.3.3 dell’Allegato XV già identifica i momenti in cui risulta necessaria la presenza del CSE": "2.3.3. Durante i periodi di maggior rischio dovuto ad interferenze di lavoro, il coordinatore per l'esecuzione verifica periodicamente, previa consultazione della direzione dei lavori, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi interessati, la compatibilità della relativa parte di PSC con l'andamento dei lavori, aggiornando il piano ed in particolare il cronoprogramma dei lavori, se necessario. Questo aspetto, e cioè la presenza del CSE durante le fasi di lavoro a maggiore criticità è stato confermato dalla Cassazione nelle motivazioni con cui è stato accolto il ricorso" |