La normativa antinfortunistica si applica ai terzi estranei
La Sentenza
Cassazione Penale, Sez. 4, 11 aprile 2016, n. 14775 - Abbattimento alberi e infortunio mortale di un estraneo. La normativa antinfortunistica non si applica solo ai lavoratori subordinati. Fattispecie relativa al decesso di estraneo a seguito di abbattimento di albero a causa dell’effetto di “rimbalzo” del tronco, la Suprema Corte nega che tale effetto possa costituire evenienza imprevedibile, trattandosi anzi di situazione non “eccentrica rispetto al rischio” che il garante è chiamato a governare in queste ipotesi.
La Massima
In tema di violazione di normativa antinfortunistica, per “ambiente di lavoro” deve intendersi tutto il luogo o lo spazio in cui l’attività lavorativa si sviluppa ed in cui, indipendentemente dall’attualità dell’attività, coloro che siano autorizzati ad accedere nel cantiere e coloro che vi accedano per ragioni connesse all’attività lavorativa, possono recarsi o sostare anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro (Sezione IV, 19 febbraio 2015, Bartoloni ed altri).
“Mentre è del resto parimenti pacifico che la normativa antinfortunistica si applica non solo ai lavoratori subordinati, ma anche ai soggetti ad essi normativamente equiparati, tra i quali rientrano i soci anche di fatto che prestino la loro attività per conto della società; e si applica altresì per garantire la sicurezza anche delle persone estranee che possano trovarsi occasionalmente nei luoghi di lavoro e, potenzialmente, nella situazione di pericolo”.
“Proprio dal fatto che le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell’interesse di tutti, finanche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell’Impresa, consegue che, in caso di lesioni e di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l’evento dannoso un legame causale, il quale ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile alla inosservanza delle norme stesse secondo i principi dettati dagli articoli 40 e 41 c.p.: in tale evenienza, quindi, dovrà ravvisarsi l’aggravante di cui agli articoli 589, comma 2, e 590, comma 3, c.p., nonché il requisito della perseguibilità d’ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex articolo 590, ultimo comma, c.p., anche nel caso di soggetto passivo estraneo all’attività ed all’ambiente di lavoro, purché la presenza di tale soggetto nel luogo e nel momento dell’infortunio non abbia tali caratteri di anormalità, atipicità ed eccezionalità da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la condotta inosservante e purché, ovviamente, la norma violata miri a prevenire incidenti come quello in effetti verificatosi” .
Il Commento
In tema di prevenzione nei luoghi di lavoro, per ambiente di lavoro deve intendersi tutto il luogo o lo spazio in cui l'attività lavorativa si sviluppa ed in cui, indipendentemente dall'attualità dell'attività lavorativa, coloro che siano autorizzati ad accedervi per qualunque motivo e coloro che vi accedano per ragioni connesse all'attività lavorativa, possono recarsi o sostare anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro. In tal senso rientra nei luoghi "di passaggio", quale parte integrante dell'ambiente di lavoro in cui devono essere operanti le misure antinfortunistiche, il locale destinato a spogliatoio del personale, potendo in esso i lavoratori dipendenti sostare per il tempo necessario a soddisfare esigenze del tutto momentanee, i corridoi, le vie di circolazione aziendale ecc..
L’ambiente di lavoro è tale non solo se vi è un attività lavorativa in atto ma anche se in quel momento il lavoratore è in pausa, riposa o vi è una sospensione del lavoro.
Con la sentenza Cass. Pen., Sez. IV, 11 aprile 2016, n. 14775, la Corte di Cassazione si sofferma sulla nozione di “ambiente di lavoro”, precisando in quali casi ed a quali condizioni il lavoratore o altri terzi estranei che occasionalmente, ma causalmente, si trovi in tale ambiente, è “coperto” dalla garanzia prevista dalla disciplina prevenzionistica.
La Cassazione, incanalandosi ancora una volta in un orientamento giurisprudenziale consolidato, non solo ribadisce il principio che estende la tutela prevenzionistica anche nei confronti di terzi estranei che causalmente od occasionalmente entrino in contatto con l’ambiente di lavoro, ma ha soprattutto chiarito che è “ambiente di lavoro” – e dunque ove l’infortunio ivi si verifichi, trova applicazione la normativa in tema di infortuni sul lavoro con le correlative garanzie e tutele nonché con l’aggravante specifica in materia di infortuni di cui agli artt. 589 e 590 del codice penale – non solo quel luogo in cui sia in corso di svolgimento un’attività lavorativa, ma deve intendersi come tale anche quel luogo destinato ai lavoratori dal datore di lavoro ai momenti di pausa, riposo, svago o sospensione dell’attività, o di passaggio, anche di terzi estranei, in quanto non debitamente delimitato e/o recintato dal datore di lavoro responsabile di detto ambiente.
La Corte di Appello riconosceva colpevole l’imputato del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche, per avere, quale titolare della ditta omonima, provocato, per colpa, la morte di un estraneo.
L'incidente era avvenuto durante le operazioni di taglio di un albero e l'addebito di colpa, pur non essendo stato provato che il deceduto fosse un lavoratore dipendente dell'imputato, era stato ravvisato nel fatto che questi, nell'avere predisposto l'attività di abbattimento di alberi, non aveva curato la messa in sicurezza delle operazioni, sì da evitare la presenza nel sito di persone estranee [quale doveva ritenersi il deceduto, non essendo stata provata la sua qualità di lavoratore] in un momento pericoloso quale doveva ritenersi l'operazione del taglio: per l'effetto, durante l'abbattimento ne era derivato che l'albero nel cadere finiva con il colpire a causa dell’effetto rimbalzo addosso all’infortunato. procurandogli lesioni mortali.
La Corte d’appello escludeva la responsabilità del lavoratore chiamato all'abbattimento - per il quale manteneva la soluzione liberatoria adottata dal primo giudice - ritenendo assorbente la circostanza che comunque la causa dell'evento era da ricondursi alla inosservanza in materia prevenzionale addebitata all'imputato. In particolare la causa dell'incidente - pur nella difficoltà di una ricostruzione esatta della dinamica dell'incidente - era ricollegata alla caduta dell'albero e all'effetto "rimbalzo" in terra dello stesso: evenienza possibile e prevedibile e non certo eccezionale. E in quanto tale sicuramente prevenibile, secondo la corte.
Contro la sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, lamentando, tra l’altro, la pretesa difformità tra la contestazione [basata sulla qualifica di lavoratore del deceduto e quindi sull'omessa osservanza della normativa cautelare posta a tutela dei lavoratori] e la condanna [il deceduto, mancando prova certa della sua qualità di lavoratore, si è ritenuto essere un estraneo trovatosi sul luogo di lavoro, con addebito al datore di lavoro per inosservanza dell'obbligo di impedire l'accesso al sito di persone diverse dai lavoratori].
La Cassazione, nell’affermare i principi di cui alla massima, ha respinto il ricorso.
La Suprema Corte ha ritenuto corretta l'affermazione di responsabilità articolata pur in assenza di prova del rapporto di dipendenza del deceduto. E ha ribadito che per ambiente di lavoro deve intendersi tutto il luogo o lo spazio in cui l'attività lavorativa si sviluppa ed in cui, indipendentemente dall'attualità dell'attività, coloro che siano autorizzati ad accedere nel cantiere e coloro che vi accedano per ragioni connesse all'attività lavorativa, possono recarsi o sostare anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro, inclusi gli estranei.
Le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell'interesse di tutti, finanche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'Impresa. Da ciò consegue [e nel caso specifico assume particolare rilevanza per contrastare l’invocata prescrizione] che, in caso di lesioni e di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale, il quale ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile alla inosservanza delle norme stesse secondo i principi dettati dagli articoli 40 e 41 c.p.
Già sotto la vigenza dei decreti degli anni ’50 si definiva ambiente di lavoro quello che circonda l'operaio, essendo del tutto indifferente che esso sia delimitato dallo steccato di un cantiere o abbia invece una collocazione in aperta campagna (Cass. pen., Sez. V, n. 1349 del 26/08/1969, M., in CED Cass., n. 112529).
Si era in seguito affermato che in tema di infortunistica l'ambiente di lavoro va inteso in senso non già restrittivo, bensì in modo da comprendere l'intera zona in cui si svolge l'attività lavorativa anche se intrapresa da prestatore di opera di propria iniziativa (Cass. pen, Sez. IV, n. 4739 del 9/07/1974, T., in CED Cass., n. 127369).
L’ampliamento della nozione di ambiente di lavoro risulta chiara laddove si sottolinea che l'ambiente di lavoro non va inteso non in senso restrittivo; invero tale è l'intera fase in cui si svolge l'attività lavorativa ed in essa sono compresi anche i luoghi in cui i lavoratori debbano recarsi per incombenze di qualsiasi natura (Cass. pen., Sez. IV, n. 11550 del 6/11/1980, T., in CED Cass., n. 146509).
La giurisprudenza ha ritenuto che i luoghi "di passaggio" (art. 354 DPR 27 aprile 1955), sono parte integrante dell'ambiente di lavoro, in cui devono essere operanti le misure antinfortunistiche, il locale destinato a spogliatoio del personale, potendo in esso i lavoratori dipendenti sostare per il tempo necessario a soddisfare esigenze del tutto momentanee (Cass. pen., Sez. IV, n. 3209 del 6/03/1990, T., in CED Cass., n. 183579).
Rolando Dubini, avvocato in Milano
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