Sull’obbligo di valutare i rischi e di redigere il DVR
Oggetto di questa breve sentenza della III Sezione penale della Corte di Cassazione, con riferimento in particolare all’applicazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., è l’obbligo della valutazione dei rischi nei settori di attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali, da individuare, secondo quanto indicato nel comma 6-ter dell’articolo 29 dello stesso decreto legislativo, sulla base di criteri e parametri oggettivi, desunti dagli indici infortunistici dell’INAIL e relativi alle malattie professionali di settore e specifiche della singola azienda, e da adottare con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, sulla base delle indicazioni della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
Imputato nel relativo procedimento penale è stato il titolare di un ristorante condannato dal Tribunale alla pena di 2000 euro di ammenda per avere omesso di effettuare la valutazione dei rischi e di elaborare il relativo documento di cui all’art. 17 comma 1 lettera a) del decreto citato nonché di avere effettuato scarichi in pubblica fognatura delle acque reflue derivanti dall’attività di ristorazione senza alcuna autorizzazione. L’imputato è ricorso alla Corte di Cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza e basando la sua richiesta sul fatto che quello da lui gestito era un piccolo ristorante condotto a livello familiare ubicato in un luogo di lavoro sicuro e sul fatto che aveva anche partecipato a un corso di formazione per Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, svolto ai sensi dell'art. 34 D. Lgs. n. 81 del 2008, e che aveva altresì presentato le apposite richieste per ottenere il DVR e l'autorizzazione agli scarichi.
La Corte di Cassazione ha dichiarato però inammissibile il ricorso e, con riferimento in particolare alla mancata valutazione dei rischi e alla mancata elaborazione del relativo documento, richieste dal legislatore per tutti i luoghi di lavoro indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda, ha precisato che la mancanza di rischi non deve precedere l'adozione del DVR ma costituire, semmai, frutto della valutazione di cui deve darsi conto nella redazione del documento e, in buona sostanza, che l'assenza di rischio non esonera comunque dalla redazione del DVR.
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le decisioni della suprema Corte.
Il titolare di un ristorante ha ricorso alla Corte di Cassazione per l'annullamento di una sentenza del Tribunale che l’aveva condannato alla pena (condizionalmente sospesa) di 2.000 Euro di ammenda per il reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., 55 D. Lgs. n. 81 del 2008 (capo A), 137 D. Lgs. n. 152 del 2006 (capo B) per avere omesso di effettuare la valutazione dei rischi e di adottare il documento di cui agli artt. 17, comma 1, lett. a), e 18 del D. Lgs. n. 81 citato, nonché per aver effettuato scarichi in pubblica fognatura delle acque reflue derivanti dall'attività di ristorazione senza alcuna autorizzazione.
Come primo motivo del ricorso l’imputato ha dedotto violazione di legge e vizio di mancanza di motivazione in ordine al reato di cui al capo A della rubrica, reato che ha affermato essere insussistente trattandosi di un piccolo ristorante che costituisce un luogo di lavoro sicuro, gestito a livello familiare da lui stesso che aveva anche partecipato a un corso di formazione per "Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione", svolto ai sensi dell'art. 34 D. Lgs. n. 81 del 2008, e per il quale aveva altresì presentato le apposite richieste per ottenere il DVR e l'autorizzazione agli scarichi.
Come altre motivazioni il ricorrente ha dedotto una erronea applicazione dell'art. 318-ter del D. Lgs. n. 152 del 2006, nonché la assimilabilità degli scarichi a quelli di natura domestica; ha lamentata la mancata esclusione della punibilità per speciale tenuità del fatto trattandosi di fatto non particolarmente grave ed avendo egli provveduto a chiedere il rilascio dell'autorizzazione agli scarichi e per ultimo il mancato riconoscimento della sopravvenuta prescrizione dei reati.
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile dal Collegio il quale ha ritenuto il primo motivo manifestamente infondato e contraddetto dalla stessa condotta postuma del ricorrente il quale, secondo quanto indicato in sentenza, si era dotato del documento di valutazione dei rischi solo dopo l'accertamento del fatto omissivo.
La valutazione dei rischi e la elaborazione del relativo documento di cui all'art. 28 del D. Lgs. n. 81 del 2008, ha precisato la Corte suprema, sono obblighi non delegabili del datore di lavoro (art. 17 del D. Lgs. n. 81 e Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn (nota come sentenza Thyissenkrupp), secondo cui in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l'obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D. Lgs. n. 81 del 2008, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Si tratta di obbligo applicabile a tutte le tipologie di rischio e a tutti i settori pubblici o privati, ha così proseguito la Corte di Cassazione, comprese le attività di ristorazione. Possono variare le modalità (art. 29 del D. Lgs. n. 81 del 2008) ma giammai l'an dell'obbligo della valutazione dei rischi, anche nei settori a basso rischio infortunistico di cui al comma 6-ter dello stesso art. 29. “La mancanza di rischi”, ha precisato in definitiva, “non deve precedere l'adozione del DVR ma costituire, semmai, frutto della valutazione di cui deve darsi conto nella redazione del documento. L'assenza di rischio, in buona sostanza, non esonera dalla redazione del DVR”.
Con riferimento alla assimilabilità degli scarichi a quelli di natura domestica il ricorso è stato ritenuto generico perché aspecifico in quanto sono da considerare scarichi industriali, oltre ai reflui provenienti da attività di produzione industriale vera e propria, anche quelli provenienti da insediamenti ove si svolgono attività artigianali e di prestazioni di servizi, quando le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche e ha citato in merito la sentenza n. 22436 del 03/04/2013 della III Sezione che ha definito reflui industriali gli scarichi provenienti da locale adibito ad attività di pasticceria e, nello stesso senso, la sentenza n. 36982 del 07/07/2011 della stessa Sezione III secondo cui lo scarico in pubblica fognatura, senza autorizzazione, tramite tubazione condominiale, di reflui provenienti da un locale adibito ad attività di pasticceria, bar e ristorazione, integra il reato di cui all'art. 137 del D. Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, trattandosi di reflui provenienti da un insediamento in cui viene svolta un'attività artigianale e di prestazione di servizi, aventi caratteristiche qualitative diverse da quelle delle acque reflue domestiche. Oltre tutto, ha precisato ancora la suprema Corte, la assimilabilità degli scarichi a quelli domestici è questione di fatto che non può essere devoluta per la prima volta in sede di legittimità; è piuttosto un dato assodato che il ricorrente, dopo il controllo, aveva chiesto l'autorizzazione allo scarico nelle pubbliche fognature.
Rigettati quindi gli altri motivi di ricorso riferiti alla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131-bis cod. pen. e al mancato riconoscimento della prescrizione dei reati, il ricorso è stato riconosciuto inammissibile dalla Corte di Cassazione e alla declaratoria di inammissibilità è conseguito, essendo essa ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7 - 13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata equitativamente nella misura di 3.000 euro.
Gerardo Porreca
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Rispondi Autore: Luisa Petruzzelli - likes: 0 | 04/11/2024 (20:06:53) |
Oramai dovrebbe essere acquisito che un azienda, di qualunque dimensione si tratti, deve valutare quelle condizioni interne che possono compromettere la vivibilità di un lavoratore in un determinato ambiente. Non si può più prescindere dall idea che il posto di lavoro sia una seconda casa per il lavoratore. Vanno create e garantite le condizioni migliori possibili affinché le persone possano sentirsi al sicuro, sia dal punto di vista fisico,ma, altrettanto,dal punto di vista psicologico. |