La non responsabilità del coordinatore per un infortunio in cantiere
E’ una vera e propria “lectio magistralis”, indirizzata soprattutto ai giudici di merito, sulle competenze del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione (CSE) nei cantieri temporanei o mobili e in particolare sulla corretta applicazione dell’art 92 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 che ha fissato gli obblighi posti a suo carico, quella che emerge dalla lettura di questa recente sentenza della Sez. IV della Corte di Cassazione che per la sua importanza merita un commento più approfondito del solito.
Tale sentenza ha annullata la condanna inflitta dai giudici di merito nei confronti di un CSE, ritenuto responsabile per l’infortunio occorso a un lavoratore dipendente di una ditta appaltatrice caduto dalla copertura di un capannone durante dei lavori di ampliamento dello stesso, per non avere fatto la Corte territoriale un approfondito esame sulla natura del rischio che aveva portato all’infortunio, e cioè se interferenziale o specifico, e per non avere verificato se riconducibile in concreto all'interferenza fra l'opera di più imprese o se, invece, inerente all'esclusiva attività della singola impresa. e di conseguenza per non avere verificato se la sua eliminazione rientrasse nell’ambito delle competenze del coordinatore o di quelle dell’impresa esecutrice.
Il coordinatore, infatti, ha ricordato la suprema Corte, deve eseguire l'analisi dei rischi presenti, con riferimento all'area e alla organizzazione del cantiere, alle lavorazioni, ad esclusione di quelli specifici propri dell'attività dell'impresa", e fra i rischi presenti individua quelli che formano oggetto delle prescrizioni di sua competenza e degli obblighi su di esso incombenti, ai sensi dell'art. 92 del D. Lgs. n. 81/2008. Volere addebitare al coordinatore una vigilanza e un mancato intervento per la mancata eliminazione di un rischio specifico di un’impresa che opera in cantiere può costituire un comportamento di interferenza che potrebbe avere l’effetto di sovrapporsi al datore di lavoro giuridico dell’infortunato e porlo in una situazione di datore di lavoro di fatto ai sensi dell’art. 299 del D. Lgs. n. 81/2008.
La sentenza in commento ha fatto seguito a un’altra recentissima sentenza della stessa Corte di Cassazione con la quale era stata sancita la non responsabilità di un coordinatore per la sicurezza per un infortunio accaduto in un cantiere sottoposto al suo controllo, la sentenza n 20828 del 15/5/2019 della Sezione IV della stessa Corte pubblicata e commentata nell’articolo “ La non responsabilità del CSE per l’infortunio”. Il CSE era stato condannato nei due primi gradi di giudizio perché ritenuto responsabile assieme al datore di lavoro, al capocantiere e al manovratore di una gru, per l’infortunio mortale accaduto ad un lavoratore dovuto alla caduta di un carico dalla gru dovuta a un malfunzionamento del gancio di sollevamento. La Cassazione, accettando le motivazioni addotte dal ricorrente, ha annullata senza rinvio la sentenza di condanna posta a suo carico per non avere commesso il fatto.
La citata sentenza pubblicata sul quotidiano del 4/11/2019 è stata oggetto di commenti abbastanza critici da parte di lettori nei confronti del PM e dei funzionari di P.G. che avevano condotte le relative indagini oltre che del consulente tecnico del P.M.. In merito lo scrivente, nell’ambito della sua attività di consulente tecnico nei procedimenti giudiziari, ha potuto constatare in effetti che più volte il giudice, così come indicato nei commenti, viene fuorviato nelle sue decisioni dalle conclusioni non proprio corrette alle quali sono pervenuti gli organi di vigilanza che hanno condotto le indagini e spesso anche lo stesso consulente tecnico del P.M. come ha potuto constatare, avendo come buona norma quella di citare nelle memorie depositate nei Tribunali gli indirizzi che la Corte di Cassazione ha fornito in materia, che non sempre gli stessi sono presi in considerazione dai giudici di merito.
Un altro indirizzo che emerge dalla lettura della sentenza in commento e che si ritiene di evidenziare è quello riguardante l'obbligo di cui all'art. 92, lett. f) del D. Lgs. n. 81/2008, in forza del quale il coordinatore per l'esecuzione dei lavori deve sospendere le lavorazioni, in caso di pericolo grave ed imminente direttamente riscontrato, fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate, obbligo che non opera allorquando il pericolo inerisca al rischio specifico del datore di lavoro. In caso contrario, ha osservato la suprema Corte, l'intervento del CSE costituirebbe un'ingerenza nella gestione di lavori estranei alla sua sfera di competenza, comportando la presa in carico di rischi specifici dell'impresa esecutrice. Il che implica, ai sensi dell'art. 299 dello stesso D. Lgs., l'assunzione della posizione di garanzia propria del datore di lavoro disponendo tale articolo che le posizioni di garanzia relative ai datori di lavoro, dirigenti e preposti gravano altresì su chi, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno di tali soggetti. D'altra parte, ha osservato la Cassazione, se l'assunzione da parte del CSE di rischi che non gli competono comporta che il medesimo risponda dell'evento lesivo conseguito alla violazione della normativa precauzionale, non può sostenersi che egli sia tenuto ad assumere direttamente un rischio, intervenendo su situazioni di pericolo non inerenti al suo ambito di intervento.
Il fatto e l’iter giudiziario
La Corte di Appello ha confermata la sentenza del Tribunale con la quale un coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione era stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 590, comma 3 cod. pen. perché, omettendo di verificare l'applicazione da parte di un’impresa appaltatrice dei lavori di ampliamento di un capannone industriale della disposizione contenuta nel Piano di sicurezza e coordinamento che prevedeva l'installazione, in ipotesi di lavori di svolgersi sopra i lucernai, di tavole riparatrici, nonché di verificare l'idoneità del Piano operativo di sicurezza (POS) rispetto al PSC in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle modifiche intervenute in corso d'opera, aveva cagionato a un lavoratore dipendente dell’appaltatore, per colpa consistita nella violazione dell'art. 92 comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008, lesioni gravi (politrauma con indebolimento permanente della funzione psichica e della funzione prensile) da cui era derivata l'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per 365 giorni.
In particolare nel corso dei lavori di ampliamento del capannone della società committente affidati alla ditta appaltatrice, non essendo stata interrotta l’attività lavorativa all'interno del capannone stesso nonostante lo smontaggio di pannelli verticali prefabbricati di tamponatura, era stato disposto da parte di un consulente della società committente, con incarichi 'di fatto’ dirigenziali, di porre a protezione delle aperture laterali dell'immobile alcuni teloni di plastica al fine di evitare l'esposizione delle attrezzature e delle lavorazioni agli agenti atmosferici ed alle polveri di cantiere. Alla stesura dei teloni avevano provveduto alcuni operai dipendenti della società committente fino alla fase conclusiva allorquando erano intervenuti a collaborare con l’impresa appaltatrice alcuni lavoratori della società committente.
Gli operai incaricati di accedere al tetto utilizzavano un cestello, assicurandosi al medesimo con le cinture di sicurezza che venivano sganciate nel momento in cui dovevano salire sulla copertura ove non c'era possibilità di utilizzarle. Il giorno del sinistro un dipendente della ditta appaltatrice era salito con il cestello, assicurato con la cintura, al fine di iniziare la stesura dei teli in un’ultima parte del capannone, mentre gli altri operai imbracavano i teli sulla gru per portarli in quota. allorquando ha calpestato un lucernaio in vetroresina, che si è sfondato, facendolo precipitare al suolo da un'altezza di circa sette metri procurandogli così le lesioni sopra indicate.
Successivamente la Corte territoriale, rigettando l'appello proposto dal coordinatore, ha confermata la sussistenza della condotta colposa dell'imputato consistita nella violazione degli obblighi di cui all'art. 92, comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008 ed in particolare, nell'omesso adeguamento del PSC in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle modifiche intervenute nello svolgimento delle opere e ciò, nonostante egli avesse potuto verificare nella medesima giornata del sinistro l'iniziativa assunta dalla committente consistente nella stesura dei teli di plastica a copertura dei pannelli laterali del capannone, non originariamente prevista. Essendo i lucernai posti sul tetto privi di capacità portante, ha sostenuto la Corte territoriale, gli stessi, al fine di evitare il pericolo di caduta avrebbero dovuto essere protetti con una rete permanente contro lo sfondamento o con tavole riparatrici del carico in caso di calpestio.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni
Avverso la sentenza della Corte di Appello il CSE ha proposto ricorso alla Cassazione avanzando alcune motivazioni. Come primo motivo il ricorrente ha messo in evidenza che anche se l’attività in corso al momento dell’infortunio non era prevista in appalto e era stata decisa autonomamente da un dirigente della società committente, che aveva impiegato anche dei dipendenti dell'appaltatrice illegittimamente, la previsione relativa ai rischi dei lavori in quota era contenuta nel PSC, così come nello stesso erano indicati i presidi di prevenzione da adottare. Lo stesso ha denunciata altresì la confusione emersa dall’esame di entrambe le sentenze di merito fra il ruolo del CSE
Come seconda motivazione il ricorrente ha lamentata una violazione della legge penale in relazione all'art. 92 del D. Lgs. n. 81/2008 nella parte in cui individuando i compiti del CSE li ha sovrapposti a quelli del datore di lavoro. Al coordinatore per l'esecuzione, ha precisato il ricorrente stesso, compete solo 'l'alta vigilanza' sulle lavorazioni in ordine alla verifica del rischio interferenziale fra le attività riconducibili ad imprese diverse e non il controllo continuativo sull'osservanza delle prescrizioni previste dal POS, che deve essere svolto a cura del datore di lavoro. Ha osservato, inoltre, il ricorrente che la lavorazione nel cui ambito si era verificato il sinistro non era stata contrattualmente prevista, così che, in assenza della prospettiva di un rischio interferenziale fra imprese diverse, non poteva esserci alcun onere a proprio carico quale coordinatore.
Con un terzo motivo il ricorrente ha segnalata una violazione di legge sempre con riferimento all'art. 92 del D. Lgs. n. 81/2008 ricordando che il dovere di 'alta vigilanza' del CSE consiste in azioni di coordinamento, di informazione e di verifica dell'adeguatezza sostanziale delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento e si realizza con l'identificazione di momenti topici delle lavorazioni, attraverso la mediazione delle attività delle imprese esecutrici, ma non nella diuturna presenza in cantiere e nell'esplicazione di un intervento diretto ed immediato, spettante a datore di lavoro, ed alle figure operative dei dirigenti e del preposto ma non al CSE. Quest’ultimo, infatti, agisce in modo formalizzato, a mezzo di procedure, governando la generale conformazione del cantiere, la configurazione delle lavorazioni, in presenza di un maggior rischio di infortuni dovuto alla contemporanea attività di più imprese e non presiedendo al controllo continuativo delle lavorazioni, né alla contingenza quotidiana dei rischi da queste derivanti. Nel caso in esame, quindi l'infortunio occorso, secondo il ricorrente, non ha costituito la realizzazione di un rischio interferenziale ma di un rischio specifico del datore di lavoro Ignorando siffatta distinzione fra le due competenze i giudici di merito avevano fondata l'affermazione di una sua responsabilità su un'interpretazione estensiva del ruolo del CSE, largamente superata dalla giurisprudenza più recente.
Come ulteriore motivazione il coordinatore ha contestata l’affermazione fatta nella sentenza impugnata di una omessa ottemperanza da parte sua dell'onere di aggiornamento del PSC quando invece il PSC avesse previsto espressamente i rischi inerenti ai lavori in quota ed in particolare sulle coperture ed i lucernai, chiarendo le cautele da adottare, individuati in primo luogo nell'accertamento della resistenza meccanica delle coperture ed indi, in ipotesi di dubbia resistenza, nell'apposizione di tavole sopra le orditure o sottopalchi, facendo uso, in ogni caso, delle cinture di sicurezza. I lavoratori erano dotati, altresì, di dispositivi di protezione individuali (DPI), utilizzati da tutti al momento dell’infortunio fuorché dalla persona offesa.
Il ricorrente, infine, si è lamentato che non era stato tenuto conto nella sentenza della Corte di Appello della condotta abnorme del lavoratore infortunato che non aveva utilizzato il cestello e non indossava le cinture di sicurezza nonostante la sua qualifica di capocantiere-preposto, e come tale tenuto ad assicurare la concreta sicurezza delle lavorazioni, attraverso direttive specifiche agli operai che attendono alle diverse mansioni. Rispetto al comportamento deliberatamente assunto dalla persona offesa non poteva configurarsi, secondo il ricorrente, alcuna responsabilità in capo a un CSE, la cui posizione di garanzia è limitata alla generale configurazione delle lavorazioni che implichino rischio interferenziale e non il puntuale controllo delle attività lavorative, spettante al datore di lavoro o per lui al preposto.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha esaminato le singole doglianze del ricorrente formulando per ognuna di esse delle osservazioni. Il ricorso presentato dall’imputato, ha osservato la stessa Corte, si è soffermato in modo particolare sulla differente funzione svolta dal CSE e dal datore di lavoro, sostenendo che le sentenze di merito ne avrebbero confuso e sovrapposto i compiti in quanto sono stati assegnati al primo doveri di intervento propri del secondo, senza neppure chiarire la natura interferenziale del rischio realizzatosi.
La suprema Corte, per dare una risposta a questa osservazione, senza dilungarsi su formule ampiamente condivise in giurisprudenza il cui contenuto però viene spesso disatteso in sede applicativa, ha ritenuto di limitarsi a richiamare la ricognizione normativa e l'evoluzione giurisprudenziale tratteggiata dalla stessa Cassazione sulla figura del CSE. Basta ricordarsi, ha sostenuto la Sez. IV, che il coordinatore per l’esecuzione nell'ambito dei cantieri temporanei o mobili che prevedano il concorso di più imprese esecutrici ricopre una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, spettandogli compiti di 'alta vigilanza', consistenti:
a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori;
b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza ( POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento;
c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS.
L'alta vigilanza, in altre parole, ha precisato la suprema Corte, riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non si deve confondere con quella operativa propria del datore di lavoro e delle figure che da esso ricevono poteri e doveri, quali il dirigente ed il preposto. Tanto è vero che il coordinatore articola le sue funzioni in modo formalizzato e solo laddove possa verificarsi un'interferenza fra le lavorazioni, cioè un contatto rischioso fra lavoratori appartenenti ad imprese diverse che operino nello stesso luogo di lavoro e pertanto occorre aver riguardo alla concreta interferenza tra le diverse organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori, e non alla mera qualificazione civilistica (contratto d'appalto o d'opera o di somministrazione) attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro in quanto la ratio della norma è quella di obbligare il datore di lavoro ad organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali attivando percorsi condivisi di informazione e cooperazione nonché soluzioni comuni di problematiche complesse.
Per distinguere fra l'area di rischio governata dal CSE e quella di competenza del datore di lavoro o dei soggetti da lui delegati, ha precisato la Sez. IV. si può fare riferimento all'ambito di intervento del CSE come delineato, ai sensi del disposto dell'allegato XV, dal piano di sicurezza e coordinamento, che ne determina le aree estendendole: ai rischi connessi all’area di cantiere (punto 2.2.1.), ai rischi connessi all’organizzazione del cantiere (punto 2.2.2.) e ai rischi connessi alle lavorazioni, nei quali sono compresi i rischi da interferenze (punto 2.2.3.). Sono, quindi, esclusi i rischi specifici 'propri' dell'attività di impresa. Il concetto di rischio specifico del datore di lavoro è, infatti, legato "alle competenze settoriali di natura tecnica, alla conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o all’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine" generalmente mancante in chi opera in settori diversi.
Ora, l'allegato XV al punto 2.2.3, stabilendo che al CSE spetti il compito di suddividere le singole lavorazioni in fasi di lavoro e, quando la complessità dell'opera lo richiede, in sottofasi di lavoro" al fine di eseguire "l'analisi dei rischi presenti, con riferimento all'area e alla organizzazione del cantiere, alle lavorazioni e alle loro interferenze, ad esclusione di quelli specifici propri dell'attività dell'impresa", individua alcuni fra i rischi che formano oggetto delle prescrizioni di competenza del CSE e degli obblighi sul medesimo incombenti, ai sensi dell'art. 92 d.lgs. 81/2008. Nondimeno, come è stato già sottolineato in altra occasione dalla stessa Sezione IV (Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016, Bellotti e altro, pubblicata e commentata nell’articolo “ La vigilanza del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione”) i rischi indicati al punto 2.2.3 dell'allegato XV, non sono necessariamente rischi generici di competenza del CSE, ben potendo detti rischi realizzarsi al di fuori degli ambiti di interferenza fra lavorazioni, qualora costituiscano espressione concreta di rischi specifici del datore di lavoro. Ciò che connota la specificità o la genericità del rischio, così individuandone anche il garante, infatti, è la sua derivazione dall'interazione delle lavorazioni nel cantiere (o comunque nello spazio lavorativo ove operi più di un'impresa). Laddove siffatta interazione non ci sia ed il rischio, pur elencato dal punto 2.2.3 dell'allegato XV, si realizzi all'interno della sfera di competenza del singolo datore di lavoro, inerendo alla sua attività, ai macchinari da lui usati, alle procedure seguite nella sua produzione, esso va qualificato come 'rischio specifico' estraneo all'ambito di intervento del CSE.
“Ecco, dunque che” e qui il prezioso insegnamento della Cassazione, “per determinare l'estensione della posizione di garanzia occorre prima inquadrare la natura del rischio, verificando in concreto se la sua realizzazione sia conseguenza di un'attività riconducibile all'interferenza fra l'opera di più imprese o se, invece, essa inerisca all'esclusiva attività della singola impresa”. Ebbene questa valutazione concreta, ha così concluso la Sez. IV, è mancata nel caso in esame da parte della Corte territoriale. Questa, infatti, senza approfondire la questione relativa all'inquadramento del rischio, ha sostanzialmente addebitato al CSE di non avere previsto che la società committente, una volta smontati i pannelli laterali, avrebbe dovuto o voluto continuare a lavorare, e che di conseguenza le lavorazioni sarebbero rimaste esposte agli agenti esterni ed alla polvere, se non si fosse provveduto a creare una barriera fisica. Da questa mancata previsione e dalla mancata predisposizione nel PSC di opportuni accorgimenti al riguardo, sarebbe derivato il rischio di soluzioni improvvisate, come quella escogitata dal dirigente (di fatto) della società che aveva comportato la necessità di far salire degli operai sulla copertura, per stendere i teli laterali, a protezione delle produzioni.
La decisione della Corte territoriale, ha così proseguito la Sez. IV, ha ascritto all'imputato non la mancata previsione di misure atte a prevenire gli infortuni per le opere previste, che comportino interferenze fra le attività di più imprese, ma la mancata previsione contrattuale delle opere da parte dei contraenti. Si è trattato di un'impostazione che non si è preoccupata della distinzione fra il rischio specifico e rischio generico e che è finita per attribuire alla sfera di competenza del CSE anche rischi non riconducibili ad attività per le quali si è fatto ricorso ad imprese esecutrici e che rientrano nella sfera di attività del datore di lavoro.
Nulla muta, ha sostenuto ancora la Corte di Cassazione, se si considera che il CSE aveva visto personalmente lo svolgimento dell'opera il giorno dell'infortunio. Ed invero, l'obbligo di cui all'art. 92, lett. f) del D. Lgs. n. 81/2008, in forza del quale il coordinatore per l'esecuzione dei lavori deve sospendere le lavorazioni, in caso di pericolo grave ed imminente direttamente riscontrato, fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate, non opera allorquando il pericolo inerisca al rischio specifico del datore di lavoro. In un simile caso l'intervento del CSE costituirebbe un'ingerenza nella gestione di lavori estranei alla sua sfera di competenza, comportando la presa in carico di rischi specifici dell'impresa esecutrice. Il che implica, ai sensi dell'art. 299 del D. Lgs. n. 81/2008, l'assunzione della posizione di garanzia propria del datore di lavoro. D'altra parte, se l'assunzione da parte del CSE di rischi che non gli competono comporta che il medesimo risponda dell'evento lesivo conseguito alla violazione della normativa precauzionale, non può sostenersi che egli sia tenuto ad assumere direttamente un rischio, intervenendo su situazioni di pericolo non inerenti al suo ambito di intervento.
La mancanza, in definitiva, nella sentenza impugnata dell'approfondimento essenziale sulla natura del rischio ha portato la suprema Corte ad annullare la sentenza stessa con il suo rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di provenienza per un nuovo esame.
Gerardo Porreca
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