La mancata predisposizione in cantiere dei percorsi di circolazione
Sempre più ricorrenti, approfondite e complesse, oltre che piene di richiami a sue precedenti espressioni, sono le sentenze della Corte di Cassazione chiamata a decidere su ricorsi presentati da coordinatori per la sicurezza nei cantieri temporanei o mobili e sula loro responsabilità o meno per infortuni sul lavoro accaduti nei cantieri nei quali svolgono la loro attività di vigilanza sull’applicazione dei piani di sicurezza e di coordinamento e il controllo dei piani operativi di sicurezza redatti dalle imprese esecutrici.
Nella circostanza di cui alla presente sentenza il coordinatore era stato condannato nei due primi gradi di giudizio in cooperazione colposa con il datore di lavoro, per avere cagionato, con colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia e nella violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, delle lesioni personali a un escavatorista che, durante le operazioni di scavo e sbancamento di un’area di cantiere, manovrando una pala meccanica sul solaio di copertura di una cisterna sottostante il suolo, è sprofondato nella cisterna stessa, a causa del cedimento del solaio stesso dovuto al peso del mezzo. Al coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione delle opere era stato addebitato di avere omesso di verificare e controllare la corretta applicazione delle procedure di lavoro previste nel piano di sicurezza e coordinamento, con particolare riferimento alla predisposizione di percorsi di circolazione dei mezzi, non provvedendo altresì a delimitare, con apposita segnaletica e recinzione, la zona di cantiere non interessata allo scavo, così consentendo il transito dei mezzi pesanti sopra il solaio di copertura della cisterna.
Nel rigettare il ricorso presentato dal coordinatore la suprema Corte ha richiamate la normativa e l’evoluzione giurisprudenziale sulle figure del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione (CSP) e di esecuzione (CSE) citando le numerose sentenze precedenti che ne hanno tratteggiato le competenze. La stessa, facendo riferimento alla evoluzione giurisprudenziale, ha evidenziato altresì gli elementi fondamentali per distinguere l’area di rischio governata dal CSE e quelle di competenza del datore di lavoro o dei soggetti da lui delegati, facendo riferimento alle diposizioni di cui all’allegato XV del D. Lgs. n. 81/2008 sui contenuti minimi dei PSC. La Cassazione ha trovato anche l’occasione di sottolineare la differenza che esiste fra il concetto di rischio interferenziale che rientra nel campo di azione del CSE, e quello del rischio specifico “proprio” dell’attività di impresa citando anche qui i numerosi precedenti giurisprudenziali sul tema.
Il fatto e l’iter giudiziario
La Corte di Appello, dichiarando non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione, ha confermate le statuizioni civili di cui a una sentenza del Tribunale con cui il coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione di un cantiere era stato ritenuto responsabile, in cooperazione colposa con il datore di lavoro di un’impresa esecutrice, del reato di cui agli artt. 113, 590, commi l, 2 e 3 cod. pen., perché, con colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia e nella violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, aveva cagionato delle lesioni personali a un escavatorista dipendente dell’impresa stessa.
Al datore di lavoro era stato ascritto di non avere provveduto a valutare la natura del terreno dell'area contigua a uno scavo ed a delimitare, all'interno del cantiere nel quale dovevano essere svolte opere di splateamento e sbancamento a mezzo di escavatore, mediante opportune segnalazioni rimovibili, da riposizionarsi con la prosecuzione delle opere, l'area di scavo, separandola da quella adiacente ove era presente un pericolo preesistente, rappresentato dalla copertura di una fossa settica, così non impedendo a un escavatorista di operare nella zona non interessata dalle opere di scavo, oggetto dell'appalto, manovrando una pala meccanica proprio sopra il tetto del solaio che, a causa del peso, cedeva facendo sprofondare il mezzo nella sottostante cisterna.
Al coordinatore per la sicurezza per la progettazione e per l'esecuzione delle opere era stato invece addebitato di avere omesso di verificare e controllare la corretta applicazione delle procedure di lavoro previste nel piano di sicurezza e coordinamento, con particolare riferimento alla predisposizione di percorsi di circolazione dei mezzi, non provvedendo a delimitare, con apposita segnaletica e recinzione, la zona di cantiere non interessata allo scavo, così consentendo il transito dei mezzi pesanti sopra il solaio della cisterna.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni.
Avverso la sentenza della Corte di Appello il coordinatore ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del suo difensore. Lo stesso ha contestata la motivazione del giudice del Tribunale nella parte in cui aveva affermato che la zona del cantiere teatro dell'infortunio non era stata transennata, come previsto dal piano per la sicurezza ed il coordinamento dei lavori e ciò nonostante lo stesso non contenesse affatto la prescrizione di delimitazione dell'area ove è accaduto l'infortunio e nonostante non avesse indicato per quale ragione la zona avrebbe dovuto essere recintata, non essendo nota ad alcuno la presenza della cisterna e essendo state escluse nel PSC particolari situazioni di pericolosità nell'area di cantiere. Era del tutto insussistente, quindi, secondo il ricorrente, la violazione dell'art. 92, comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008, inerente alla mancata verifica dell'applicazione delle prescrizioni organizzative in tema di percorsi carrabili,
Secondo il ricorrente, inoltre, il giudice aveva elusa la censura relativa alla sua posizione di garanzia, non rientrando fra compiti del CSE. la sorveglianza specifica sui lavoratori, di competenza di altre figure professionali, quali il datore di lavoro, il responsabile della sicurezza ed il preposto. Inoltre, avendo il datore di lavoro omesso di verificare l'esistenza di sottoservizi nell'area ove era ubicata la cisterna coperta di cemento nella quale era precipitato il lavoratore, si sarebbe dovuta escludere la sua responsabilità incombendo al datore di lavoro ed al responsabile della sicurezza rappresentargli i pericoli dello stato dei luoghi, peraltro non interessati dallo scavo. Il ricorrente inoltre, dopo avere ricordato il contenuto dell'art. 92, comma 1 lett. a) D. Lgs. n. 81/2008, ha evidenziato come non rientrasse fra i compiti del CSE. la presenza assidua in cantiere e che, peraltro, come emerso dalla testimonianza dell'escavatorista stesso, la cisterna non era visibile, essendo coperta da erbacce e da oggetti vari ivi ammassati.
Le decisioni della Corte di Cassazione.
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile da parre della Corte di Cassazione. Con riferimento alla censura, con cui il ricorrente ha lamentato il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta violazione dell'obbligo di verificare l'applicazione delle prescrizioni organizzative contenute nel PSC, in relazione in particolare ai percorsi carrabili, la Corte di Cassazione ha evidenziata la necessità in premessa, per individuare le responsabilità, di verificare se gli obblighi che si assume che fossero stati violati rientrassero nelle competenze del coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione o se, come sostenuto dal ricorrente, i rischi che avevano portato all’infortunio fossero esclusi dalla sua gestione.
Per fare ciò la suprema Corte ha ritenuto di richiamare la normativa e l'evoluzione giurisprudenziale tratteggiata dalla Corte stessa sulle due figure ricoperte dall'imputato. Compito principale del coordinatore per la progettazione, ha così sottolineato la Sezione IV, è quello di redigere, ai sensi dell'art. 91 del D. Lgs. n. 81/2008, il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'art. 100, comma 1 del medesimo decreto legislativo, i cui contenuti sono dettagliatamente specificati nell'Allegato XV. Il PSC, infatti, deve contenere, ha ricordato, a) l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi e le procedure necessarie, gli apprestamenti e le attrezzature atti a garantire, per tutta la durata dei lavori, il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori nonché la stima dei relativi costi; b) le misure di prevenzione dei rischi risultanti dalla presenza simultanea o successiva di plurime imprese ovvero, laddove previsto, di lavoratori autonomi; e) la previsione, quando ciò risulti necessario, delle modalità di utilizzazione degli impianti comuni quali infrastrutture, mezzi logistici e di protezione collettiva.
Al coordinatore per l'esecuzione invece, la cui posizione di garanzia si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, spettano, ai sensi dell'art. 92 del D. Lgs. n. 81/2008 compiti di 'alta vigilanza', consistenti a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute e nella verifica dell'adeguamento delle imprese esecutrici ai rispettivi POS (citando le sentenze Sez. IV n. 45862 del 14/09/2017; Sez. IV n. 3288 del 27/09/2016 (pubblicata sul quotidiano del 15/05/2017); Sez. IV n. 44977 del 12/06/2013 (pubblicata sul quotidiano del 24/02/2014) .
L'alta vigilanza, in altre parole, ha così proseguito la suprema Corte, riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non va confusa con quella operativa propria del datore di lavoro e delle figure che da esso ricevono poteri e doveri, quali il dirigente ed il preposto (Sez. IV n. 18149 del 21/04/2010) tanto è vero che il CSE articola le sue funzioni in modo formalizzato e solo laddove possa verificarsi un'interferenza fra le lavorazioni, cioè un contatto rischioso fra lavoratori appartenenti ad imprese diverse che operino nello stesso luogo di lavoro.
Per distinguere fra l'area di rischio governata dal CSE e quella di competenza del datore di lavoro o dei soggetti da lui delegati, ha ricordato ancora la Cassazione, può farsi ricorso, secondo l'elaborazione giurisprudenziale (citando le sentenze Sez. IV n. 9167 del 01/02/2018 (pubblicata sul quotidiano del 02/07/2018) e da ultimo, nello stesso senso Sez. IV n. 1777 del 06/12/2018 (pubblicata sul quotidiano del 02/07/2018) e in precedenza Sez. IV n. 30557 del 07/06/2016; Sez. IV n. 44792 del 17/06/2015 (pubblicata sul quotidiano del 07/03/2016) all'ambito di intervento del CSE come delineato, ai sensi del disposto dell'allegato XV, dal piano di sicurezza e coordinamento, che ne determina le aree estendendole: ai rischi connessi all'area di cantiere (punto 2.2.1.); rischi connessi all'organizzazione del cantiere (punto 2.2.2.); ai rischi connessi alle lavorazioni, nei quali sono compresi i rischi da interferenze (punto 2.2.3.). Pertanto sono esclusi i rischi specifici 'propri' dell'attività di impresa.
Il concetto di rischio specifico del datore di lavoro è, infatti, legato "alle competenze settoriali di natura tecnica, alla conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o all'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine" generalmente mancante in chi opera in settori diversi (citando le sentenze Sez. IV n. 31296 del 17/05/2005 e Sez. IV n. 14440 del 05/03/2009). E', dunque, un rischio connesso alle competenze proprie del datore di lavoro in relazione al settore di appartenenza, come si evince dalle stesse parole del legislatore che già con l'art. 7 comma 3 del D. Lgs. n. 626/1994 ed ora con l'art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008, che nel delimitare il rischio interferenziale, ne ha escluso l'estensione "ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi".
Si è anche detto, ha ricordato la Cassazione, che il rischio specifico del datore di lavoro "è il negativo di quello affidato alle cure del coordinatore per la sicurezza" (citando la sentenza Sez. IV n. 3288 del 27/09/2016) (pubblicata sul quotidiano del 15/05/2017), in qualche modo individuando 'a contrario' il contenuto del rischio specifico, rispetto a quello generico, che inerisce solo all'interferenza fra attività lavorative facenti capo ad imprese e soggetti diversi che operano nello stesso spazio lavorativo (committente ed appaltatore o imprese diverse che svolgano la loro attività nel medesimo luogo, cantiere o sede aziendale).
Ciò premesso, con riferimento al caso in esame, la suprema Corte ha evidenziato che l'allegato XV al punto 2.2.3, stabilendo che al CSE spetti il compito di suddividere le singole lavorazioni in fasi di lavoro e, quando la complessità dell'opera lo richiede, in''sottofasi di lavoro" al fine di eseguire "l'analisi dei rischi presenti, con riferimento all'area e alla organizzazione del cantiere, alle lavorazioni e alle loro interferenze, ad esclusione di quelli specifici propri dell'attività dell'impresa", ha indicato alcuni fra i rischi che formano oggetto delle prescrizioni di competenza del CSE e degli obblighi sul medesimo incombenti, ai sensi dell'art. 92 del D. Lgs. n. 81/2008.
Nondimeno, come è stato già sottolineato in altra occasione ( Sez. IV n. 3288 del 27/09/2016) (pubblicata sul quotidiano del 15/05/2017), i rischi indicati al punto 2.2.3 dell'allegato XV, non sono necessariamente rischi generici di competenza del CSE, ben potendo detti rischi realizzarsi al di fuori degli ambiti di interferenza fra lavorazioni, qualora costituiscano espressione concreta di rischi specifici del datore di lavoro. Ciò che connota la specificità o la genericità del rischio, così individuandone anche il garante, infatti, è la sua derivazione dall'interazione delle lavorazioni nel cantiere (o comunque nello spazio lavorativo ove operi più di un'impresa). Laddove siffatta interazione non ci sia ed il rischio, pur elencato dal punto 2.2.3 dell'allegato XV, si realizzi all'interno della sfera di competenza del singolo datore di lavoro, inerendo alla sua attività, ai macchinari da lui usati, alle procedure seguite nella sua produzione, esso va qualificato come 'rischio specifico' estraneo all'ambito di intervento del CSE.
Ecco, dunque, ha così proseguito la Sez. IV, che per determinare l'estensione della posizione di garanzia occorre prima inquadrare la natura del rischio realizzatosi. Non vi è dubbio che nel cantiere di cui al caso in esame stessero operando più imprese e che proprio in relazione all'intervento di una pluralità di soggetti fosse stato predisposto il PSC. Parimenti è incontestato che fosse stata recintata l'intera area di cantiere su cui doveva essere realizzata l'opera, senza operare al suo interno alcuna suddivisione, posto che i mezzi utilizzati dall’impresa esecutrice avevano necessità di una zona di manovra. Occorre, nondimeno, distinguere, proprio al fine di individuare la specificità o genericità del rischio fra i rischi propri del cantiere, in quanto tale, ed i rischi generati dall'uso dei macchinari del datore di lavoro, incombendo i primi sia sul coordinatore per la progettazione, in quanto soggetto che deve provvedere alla loro individuazione, analisi e valutazione, che sul coordinatore per l'esecuzione, cui compete l'organizzazione del cantiere.
Ebbene è chiaro che l'individuazione di aree non praticabili all'interno dell'area di cantiere non può che rientrare negli obblighi di colui che ne deve pianificare l'organizzazione, individuando, fra l'altro, i percorsi carrabili, Nella sentenza di primo grado, inoltre, era stato sottolineata l'assenza di una verifica anche solo sommaria della natura del terreno all'interno del quale si svolgevano le opere, nonché dell'accertamento della presenza di sottoservizi, stante anche la visibilità della piattaforma in cemento che, seppure coperta di arbusti e masserizie varie, rappresentava comunque un elemento di discontinuità con il resto dell'area.
In definitiva la Cassazione ha ritenuta scevra dai vizi che le erano stati addebitati la sentenza che aveva ascritto all’imputato, nella sua duplice qualità di coordinatore per la progettazione e di coordinatore per l'esecuzione dell'opera, la responsabilità dell'infortunio per avere omesso di analizzare i rischi e di predisporre le necessarie cautele e ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato. All'inammissibilità del ricorso è conseguita quindi la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di 3000 euro in favore della cassa delle ammende.
Gerardo Porreca
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