La Cassazione sulla rimozione od omissione di cautele antinfortunistiche
Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in cassazione
La Corte di Appello ha parzialmente confermata la sentenza con la quale il Tribunale ha condannato due consiglieri di una società, delegati per la sicurezza, dichiarati responsabili del reato di cui all'art. 590 commi 1, 2 e 3 del codice penale in quanto, in violazione delle norme antinfortunistiche, avevano cagionato, per colpa, gravi lesioni a un lavoratore dipendente. Tale lavoratore, addetto alla macchina accoppiatrice e in particolare al posizionamento di bobine di cartoncino sulla macchina stessa, accortosi che una bobina di cartone si stava esaurendo, si accingeva ad arrestare l'impianto al fine di effettuare il cambio. Nel compiere detta operazione però lo stesso aveva notato che la leva che fungeva da fermo degli ingranaggi del cilindro di stampa non era in posizione e nel cercare istintivamente di riportarla al suo posto, aveva spinto con la mano sinistra un ingranaggio sul rullo della macchina ancora in funzione per cui un guanto che indossava era rimasto impigliato nell'ingranaggio e la mano sinistra era stata trascinata all'interno del macchinario, con il conseguente schiacciamento degli apici delle dita e amputazione della falange del secondo, terzo e quarto dito (lesioni da cui era derivata una malattia di durata pari a 70 giorni).
Agli imputati era stato altresì contestato il reato di cui all'art. 437, comma 1, del codice penale per aver rimosso il carter di protezione della zona degli ingranaggi degli alberi di stampa nonché manomesso il macchinario, in quanto il microinterruttore di sicurezza posto nel carter di protezione era stato disattivato. La Corte territoriale ha assolto dal reato di cui all'art. 437 del codice penale uno dei consiglieri in quanto lo stesso non esercitava la propria attività presso lo stabilimento in cui l'infortunio si era verificato. La Corte di Appello ha ritenuto, altresì, che non vi fosse stato alcun comportamento imprudente del lavoratore nell'utilizzo del macchinario poiché era emerso, contrariamente a quanto dedotto dagli imputati, che il macchinario stesso non era in fase di collaudo, ma, al contrario che vi erano stati vari problemi di malfunzionamento, il che rafforzava l'obbligo di vigilanza e protezione facente capo agli imputati. La Corte territoriale ha anche disattesa la prospettazione difensiva secondo la quale la sentenza impugnata sarebbe stata nulla per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, essendo stato contestato un comportamento commissivo ( manomissione del macchinario) laddove la condotta riconosciuta quale addebitabile agli imputati era ben diversa da quella contestata, trattandosi di condotta omissiva consistente nel non aver provveduto tempestivamente al ripristino dei dispositivi di sicurezza di cui la macchina risultava priva.
La sentenza della Corte di Appello è stata impugnata da entrambi gli imputati per il tramite del propri difensori di fiducia. Uno dei consiglieri ha dedotto un vizio di violazione e falsa applicazione dell'art. 437 del codice penale. Lo stesso ha sostenuto, infatti, che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che non fosse necessario, ai fini della fattispecie penale, che un numero indeterminato di lavoratori possa essere attinto da infortunio a seguito della rimozione dei dispositivi di sicurezza ed aveva affermato altresì, in contrasto con le risultanze processuali, che "altri operai avrebbero potuto essere adibiti alla macchina accoppiatrice", essendo invece stato acclarato che vi era addetto il solo lavoratore infortunato..
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto rigettato. La stessa, con riferimento al fatto che la contestazione aveva riguardato la rimozione dei dispositivi antinfortunistici mentre, in esito al giudizio, la condanna era stata inflitta per l’omissione del ripristino dell'apparecchiatura destinata a prevenire infortuni sul lavoro, ha fatto osservare che, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, non sussiste radicale diversità ed eterogeneità tra le condotte in quanto entrambe non solo sono ricomprese nella stessa fattispecie incriminatrice ma risultano altresì caratterizzate dai medesimi elementi, ossia la volontà dolosa, la compromissione della funzione antinfortunistica, ed il riferimento al medesimo oggetto (ossia, il medesimo macchinario industriale, privo del carter di protezione che era stato rimosso e di regolare dispositivo di interblocco collegato a carter, che era stato manomesso). Non provvedere al ripristino di un dispositivo antinfortunistico esistente, ha così proseguito la Corte suprema, costituisce una condotta minore, contenuta in quella di rimozione del medesimo dispositivo di prevenzione. Né può revocarsi in dubbio l'effettivo esercizio della facoltà difensiva da parte dell’imputato, atteso che dall'istruttoria espletata in sede di indagine era chiaramente emerso come la parte offesa avesse più volte rappresentato allo stesso imputato la assoluta necessità di montare il carter di protezione mancante nel macchinario e di riparare i dispositivi di interblocco collegati al carter.
La Corte suprema ha ritenuto infondato anche il motivo legato all’erronea applicazione o violazione dell'art. 437 del codice penale. E' infatti incontrastato, ha sostenuto la stessa, che, pur trattandosi di un delitto contro l'incolumità pubblica e segnatamente di un reato di pericolo, il riferimento all'"infortunio" legittimi l'integrazione della fattispecie anche laddove il pericolo si sia verificato solamente per un singolo lavoratore, come accaduto nel caso in esame. La norma di cui all'art. 437 del codice penale, ha sostenuto ancora la Sez. IV, è infatti diretta alla tutela della pubblica incolumità contro eventi lesivi che possono verificarsi nello specifico ambiente di lavoro, per effetto di omissioni, rimozioni o danneggiamenti di apparecchi antinfortunistici, e comprende tra gli anzidetti eventi lesivi non solo il disastro, ma anche il semplice infortunio individuale poiché “in materia di prevenzione degli infortuni il concetto della pubblica incolumità è caratterizzato dall'indeterminatezza delle persone e non dal numero rilevante di esse che si possono trovare in una situazione di pericolo, la tutela concerne anche gli operai di una piccola fabbrica ed il delitto deve considerarsi realizzato anche nel caso in cui la situazione di pericolo possa coinvolgere la sola persona che si trovi ad essere addetta alla macchina priva di dispositivi e congegni atti a prevenire gli infortuni”.
La Corte di Cassazione ha sottolineato, infine, che la fattispecie in esame è fattispecie a dolo generico e che l’imputato era consapevole della destinazione prevenzionistica dei dispositivi in quanto era stato più volte avvisato dal lavoratore addetto al macchinario della carenza dei dispositivi stessi e, ciononostante, aveva con coscienza e volontà consentito il proseguimento dell'ordinario processo produttivo.
Gerardo Porreca
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