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La responsabilità per gli infortuni dei lavoratori dovuti a loro imprudenze

La responsabilità per gli infortuni dei lavoratori dovuti a loro imprudenze
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

21/10/2024

L'errore del lavoratore è un fattore di rischio che rientra tra quelli di cui il datore deve farsi carico, poiché la normativa antinfortunistica mira a tutelare l'incolumità dei lavoratori anche dai rischi derivanti da sue disattenzioni e imprudenze.

Viene richiamato e ribadito in questa sentenza della Corte di Cassazione il principio di diritto secondo il quale anche l'errore del lavoratore è un fattore di rischio che rientra tra quelli di cui il datore deve farsi carico, poiché il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità dei lavoratori anche dai rischi derivanti da sue disattenzioni, imprudenze e gesti simili. In applicazione di tale principio la Corte suprema ha infatti considerato inammissibile il ricorso presentato da un datore di lavoro e da un dirigente di una azienda che erano stati condannati perché ritenuti responsabili dell’infortunio subito da un lavoratore il quale, durante alcuni lavori in una galleria era stato colpito alla testa mortalmente da un sasso caduto dalla volta della stessa galleria a riforma della sentenza del Tribunale secondo il quale l’accaduto si era verificato per un errore fatto dal manovratore di un macchinario con il quale si stava agganciando la base di una centina; si era verificato un urto del macchinario stesso con la volta della galleria con la conseguente caduta del masso per cui era quindi venuto meno sostanzialmente il nesso causale tra l'infortunio e i profili di colpa ipotizzati in capo agli imputati.

 

Durante l’istruttoria si era discusso su tre possibili ipotesi alternative sulla causa dell’evento, una legata a un urto della centina che si stava installando nella galleria con la volta dello stesso, una a un urto con la volta stessa di un martellone e una alla caduta naturale del sasso dalla volta che aveva colpito il lavoratore. La Corte di Appello, alla quale avevano fatto ricorso le parti civili, aveva ribaltata la sentenza emessa dal Tribunale dando più credibilità a una delle cause appena descritte e non a un errore umano. La Corte di Cassazione ha infine dichiarati inammissibili i ricorsi presentati dagli imputati con il quale avevano richiesto l’annullamento della sentenza di primo grado e ha evidenziato che quella territoriale, andando al di là dell’ipotesi dell’errore umano fatta dal Tribunale, ha aveva giustamente applicato appunto il richiamato principio secondo cui anche l’errore fatto da un lavoratore è un fattore di rischio che il garante della sicurezza deve prendere in considerazione poiché il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità dei lavoratori anche dai rischi derivanti da sue disattenzioni, imprudenze e gesti simili.


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Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.

La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza, appellata dalle parti civili, con la quale il Tribunale, all'esito del dibattimento, aveva assolto il datore di lavoro il dirigente della ditta esecutrice dei lavori nonché la società di appartenenza dal reato di omicidio colposo, con violazione della disciplina antinfortunistica (fatto contestato come commesso in cooperazione colposa tra loro ex art. 113 cod. pen.) con la formula perché il fatto non costituisce reato, ha dichiarato non responsabile la società per azioni dell'illecito amministrativo alla stessa ascritto, e ha attribuito invece la responsabilità, ai fini civili, al datore di lavoro e al dirigente condannandoli al risarcimento dei danni, da liquidarsi dal giudice civile.

 

L'infortunio di cui al procedimento era accaduto durante i lavori di scavo di una galleria lungo il percorso di una strada statale a seguito del quale era deceduto un operaio dipendente della ditta incaricata dello svolgimento dei lavori da un ente pubblico. Al momento dell’infortunio erano in corso i lavori per la installazione nella galleria di una centina metallica arcuata (opera di carpenteria impiegata nel corso della costruzione di volte o di gallerie) che veniva movimentata con un macchinario.

 

Mentre il lavoratore, insieme ad altri due colleghi, stava agganciando la base della centina con una catena, è stato colpito al capo, pur protetto da elmetto, da un sasso staccatosi dalla volta della galleria in costruzione provocandogli gravi fratture cranio-encefaliche che, nonostante i soccorsi, lo avevano condotto a morte. Il malcapitato era stato colpito al capo in una parte di esso (regione frontale e zigomatica destra) non protetta dall'elmetto.

 

Il Pubblico Ministero aveva addebitato profili di colpa (oltre che al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione) al datore di lavoro per negligenza nell'obbligo di adeguata formazione del personale delle squadre impegnate nello scavo e nella redazione del POS con riferimento all'allegato n. 15 al D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, e per omessa indicazione delle misure protettive in fase di posa delle catene al piede della centina; aveva addebitato profili di colpa anche al dirigente dell'impresa esecutrice dei lavori per non avere dato disposizioni affinché lo scavo fosse condotto in modo adeguato alla natura del terreno, e affinché fosse impedita la caduta dei massi dalla volta dello scasso e venissero rimossi ovvero consolidati i massi resi instabili dalla esplosione effettuata in precedenza (c.d. disgaggio).

 

Ad avviso del Tribunale, delle tre cause possibili, la prima risalente al distacco e alla caduta naturale del sasso, non provocato quindi da azioni meccaniche, la seconda all’urto della centina sulla volta, con conseguente distacco del sasso e la terza all’urto contro la volta del macchinario soprannominato "martellone" guidato da un operaio con conseguente caduta della pietra, quella che aveva determinato l'infortunio era stato un errore, stimato imprevedibile ed imprevenibile, dell'operaio che guidava il macchinario, con conseguente interruzione del nesso causale tra l'infortunio e i profili di colpa ipotizzati in capo agli imputati. Il Tribunale aveva quindi esclusa la sussistenza dei profili di colpa ipotizzati dal P.M. e aveva altresì esclusa la responsabilità dell'ente.

 

 La Corte di Appello, in riforma dell'assoluzione, premesso di dover nel caso di specie statuire agli effetti civili in base al criterio del "più probabile che non" e non già secondo il più rigoroso giudizio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", aveva invece ritenuto maggiormente probabile la ricostruzione dei distacco della pietra, fenomeno naturale conseguente alla esplosione e non direttamente provocato dall'urto con il macchinario che era condotto dal collega, ritenendo, comunque, che l'eventuale errore del manovratore, evenienza che, tuttavia, non aveva ritenuto verificata, non avrebbe escluso il nesso causale perché gli errori umani, sempre possibili, devono essere "governati" dal datore di lavoro e da chi ha la posizione di garanzia e non costituiscono fattore eccezionale.

 

La Corte di merito aveva affermato essere sussistenti tre profili di colpa in capo ad entrambi gli imputati: 1) non avere dato disposizioni affinché fosse distribuita sulla superficie interna della roccia una dose più abbondante di quella in concreto impiegata di "pre-spritz" e di qualità diversa, cioè un materiale con funzione impermeabilizzante ed anche tale da impedire il distacco, ove "fibrorinforzato" (facendo così propria la Corte territoriale la tesi dei consulenti del P.M.); 2) non avere predisposto la apposizione di un "tettuccio", cioè una tettoia robusta, che sicuramente avrebbe impedito che il masso giungesse sulla testa della vittima; 3) non avere curato adeguatamente la formazione dei lavoratori, non ritenendo dirimente al riguardo, difformemente da quanto ritenuto dal Tribunale, né la pur consolidata esperienza degli stessi nel settore né la circostanza che non era ancora scaduto il termine per fare frequentare i corsi ai dipendenti.

 

Ciò premesso, il datore di lavoro e il dirigente dell’azienda hanno ricorso per la cassazione della sentenza tramite un medesimo ricorso curato dal comune difensore di fiducia, affidandosi a delle motivazioni con le quali erano state denunziate violazione di legge e vizio di motivazione. In particolare la Corte di Appello, secondo la difesa dei ricorrenti, si sarebbe limitata, con una motivazione stimata assai generica, a ritenere preferibile la ricostruzione incentrata sul distacco "naturale" della pietra, avvenuta per effetto delle sollecitazioni in precedenza subite dalla roccia ma non già per diretta conseguenza di una condotta umana, senza confrontarsi in sostanza con l'attenta ricostruzione del Tribunale e comunque senza adottare una motivazione munita di forza persuasiva maggiore di quella che andava a riformare. Secondo la difesa, infatti, per la riforma di una pronuncia assolutoria non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado, caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella del primo giudice, ma occorre, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio per cui ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione ha ritenuti infondati i ricorsi e pertanto li ha rigettati. In riferimento in particolare al motivo con il quale era stata contestata la asserita mancanza di motivazione rafforzata a sostegno della riforma in peius ai fini civili, la suprema Corte ha rilevato come, dal confronto tra le motivazioni delle due sentenze, è emerso che, in effetti, la decisione di riforma è assistita da maggiore forza argomentativa con la precisazione che, dei tre profili di colpa ritenuti sussistenti dalla Corte territoriale, i primi due logicamente sembrano fare maggiore, anche se non esclusivo, riferimento alla posizione del responsabile dell'impresa esecutrice dei lavori per non avere dato disposizioni affinché fosse distribuita sulla superficie interna della roccia una dose più abbondante di quella in concreto impiegata di "pre-spritz" e di qualità diversa, cioè un materiale con funzione impermeabilizzante ed anche tale da impedire il distacco, ove "fibrorinforzato", per non avere avere predisposto la apposizione di un "tettuccio", cioè una tettoia robusta, che avrebbe impedito che il masso giungesse sulla testa della vittima, mentre l'ulteriore (ossia non avere curato adeguatamente la formazione dei lavoratori, data la prevedibilità, nel concreto contesto dato, della precipitazione di un masso dall'alto, quantomeno nella zona interessata dai pericolosi lavori di movimentazione della gabbia metallica) si riferisce ad entrambi gli imputati.

 

La Corte di Appello, ha così concluso la suprema Corte,  aveva comunque "superato" il ragionamento svolto dal Tribunale, secondo il quale la causa dell'infortunio era da rinvenire nell'errore dell'operaio che guidava il macchinario, con conseguente ritenuta interruzione del nesso causale tra l'infortunio e la condotta delle figure di garanzia rappresentate dagli imputati, richiamando il condivisibile principio di diritto già citato secondo il quale “anche l'errore del lavoratore è un fattore di rischio che rientra tra quelli di cui il datore deve farsi carico, poiché il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità dei lavoratori anche dai rischi derivanti da disattenzioni, imprudenze, ripetitività dei gesti aut similia”.

 

E’ conseguito quindi il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento delle spese processuali. Non sono state invece riconosciute le spese delle parti civili per non avere le stesse fornito con la loro memoria contributi utili alla decisione.

 

 

Gerardo Porreca

 



Corte di Cassazione Sezione IV penale - Sentenza n. 31661 del 2 agosto 2024 (u. p. 18 aprile 2024) -  Pres. Di Salvo  – Est. Cenci – Ric. omissis. - L'errore del lavoratore è un fattore di rischio che rientra tra quelli di cui il datore deve farsi carico, poiché la normativa antinfortunistica mira a tutelare l'incolumità dei lavoratori anche dai rischi derivanti da sue disattenzioni e imprudenze.




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Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0
21/10/2024 (08:29:48)
Diciamo che che né la Corte di Appello è né la Cassazione hanno capito nulla della genesi di questo evento.
Chi aveva capito era il Giudice di prime cure.
Innanzi tutto, il pre-spritz era fibrorinforzato visto che le fibre, come dimostrato al processo, erano state aggiunte non all'impianto di confezionamento ma alla macchina in galleria prima della applicazione.
Lo spessore di pre-spritz era quello previsto dal progettista (assolta in primo grado).
L'uso del famoso tettuccio, pensato nelle NIR, e ben poco utilizzato anche nelle gallerie della AC/AV e della Variante di Valico, avrebbe costituito un rischio aggiuntivo durante la sua movimentazione.
In merito, alla causa della caduta del sasso, chi ha visto la volta della galleria ed ha qualche conoscenza di base di geotecnica, il distacco in una roccia come la gonfalonite lombarda, dopo aver effettuato il disgaggio dopo aver eseguito l'abbattimento con esplosivo, può avvenire solo a seguito di una azione meccanica.
Comunque, la decisione della Cassazione è stata questa e le sentenze si rispettano.

Per quanto riguarda il CSE, di cui il sottoscritto era il CT, la nostra tesi difensiva era stata pienamente accolta in primo grado e con tali motivazioni da renderla inattaccabile.
Rispondi Autore: FABIO GANZ - likes: 0
24/10/2024 (13:53:00)
in riferimento al commento pubblicato è possibile conoscere la "storia" del CSE?
grazie infinite

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