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La Cassazione sull’attendibilità delle testimonianze rese

Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

06/02/2012

Possono essere ritenute inattendibili le testimonianze rese da testi nel corso del procedimento e non credibili le argomentazioni della difesa se non trovano di fatto un riscontro probatorio in elementi acquisiti nel corso delle indagini. Di G. Porreca.

 
 
Commento a cura di Gerardo Porreca.
 
Non è illogica, secondo la Corte di Cassazione, la motivazione con la quale il Giudice di merito, con coerenza argomentativa, valuti le testimonianze rese dai testi nell’ambito di un procedimento penale allorquando le dichiarazioni rese dagli stessi e le argomentazioni addotte dalla difesa non trovano un riscontro di fatto in elementi probatori acquisiti nel corso delle indagini dagli ispettori della ASL nella immediatezza di un infortunio. La Corte suprema conferma in questa circostanza una sentenza di condanna inflitta dalla Corte di Appello ritenendo la decisione assunta dalla stessa ed impugnata dall’imputato del tutto in sintonia con gli elementi probatori  acquisiti e ritenendo altresì del tutto coerente l’iter argomentativo che aveva caratterizzato la motivazione.


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L’evento infortunistico e l’iter giudiziario.
Il Tribunale ha ritenuto un datore di lavoro colpevole del delitto di lesioni personali colpose gravi commesse, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio del fratello suo dipendente e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti sulle aggravanti contestate, lo ha condannato alla pena di un mese di reclusione concedendo allo stesso i benefici di legge. L’imputato è stato condannato, per colpa generica e specifica, consistita, quest'ultima, nella violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 10, comma 1, per non avere disposto che il lavoratore dipendente, esposto al rischio di caduta dall'alto, indossasse una cintura di sicurezza mentre era intento allo smontaggio di un ponteggio cagionando allo stesso gravi lesioni a seguito di una caduta da un'altezza di 9 metri.
 
La Corte d'Appello ha successivamente confermato la sentenza di primo grado ma ha tuttavia riformata la stessa sostituendo la pena detentiva inflitta dal primo giudice con la corrispondente pena pecuniaria e revocando il beneficio della sospensione condizionale della pena che ha dichiarato condonata ai sensi della Legge n. 241 del 2006.
 
Il ricorso in Cassazione e le decisioni della suprema Corte.
Avverso la decisione della Corte di Appello l'imputato ha fatto ricorso in Cassazione mettendo in evidenza in particolare la manifesta illogicità della sentenza impugnata in punto di affermazione della responsabilità ed una carenza di motivazione. La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso perché ritenuto infondato, ha fatto presente che la sentenza impugnata presentava al contrario una struttura argomentativa adeguata e coerente sotto il profilo logico. I giudici della corte territoriale, infatti,  riprendendo le linee argomentative tracciate dal primo giudice a sostegno della propria decisione, avevano ampiamente esaminato ogni questione sottoposta al loro giudizio e, dopo avere ricostruito i fatti, avevano adeguatamente motivato le ragioni del proprio dissenso rispetto alle argomentazioni ed osservazioni difensive presentate dal ricorrente.
 
Secondo la Sez. IV la Corte di Appello aveva ribadita la responsabilità dell’imputato, già individuata dal Tribunale, per non avere messo a disposizione del proprio dipendente una cintura di sicurezza benché esposto al rischio di caduta dall'alto durante le operazioni di smontaggio di un ponteggio, conclusione alla quale si era legittimamente pervenuti alla stregua di quanto dichiarato dai tecnici dell'ASL, intervenuti nell'immediatezza del fatto, i quali avevano esclusa la presenza in cantiere di cinture di sicurezza, benché dagli stessi ricercate con insistenza ed accuratamente, nonché della fune di sicurezza e delle guide di scorrimento. L'imputato, d'altra parte, così come risultato dagli atti, non aveva mai fornito le fatture attestanti l'acquisto di detti presidi di sicurezza.
 
La Corte territoriale peraltro, ha sostenuto la Sez. IV, non aveva omesso di esaminare le testimonianze sia della stessa vittima, che ha sostenuto di avere regolarmente utilizzato nella mattinata una cintura di sicurezza, che del committente dei lavori, il quale aveva confermato tale circostanza. Gli stessi testi, tuttavia, sono stati ritenuti dalla stessa Corte “inattendibili, a fronte della riscontrata oggettiva assenza in cantiere delle cinture e dei connessi attrezzi di sicurezza, in ragione del rapporto di parentela del primo con l'imputato, e della qualità di committente dei lavori del secondo, oltre che delle contraddizioni rilevate nella testimonianza di quest'ultimo”.
 
Non credibili, poi”, ha quindi proseguito la suprema Corte, “sono state ritenute le difese dell'imputato, che ha giustificato il mancato rinvenimento, da parte dei tecnici dell'ASL, delle cinture di sicurezza sostenendo che le stesse erano state nascoste tra il fogliame, per paura di possibili furti. Difese palesemente inconsistenti, tali giustamente considerate dai giudici del merito sul rilievo che, ove tali presidi di sicurezza fossero stati realmente presenti in cantiere, l'imputato si sarebbe affrettato, dopo l'incidente, a consegnarli o a farne rilevare la presenza agli stessi tecnici ovvero, quantomeno, di offrire in visione agli stessi le relative fatture di acquisto”.
 
Per quanto sopra detto in conclusione la Corte di Cassazione ha ritenuta la decisione della Corte di Appello impugnata del tutto in sintonia con gli elementi probatori acquisiti ed ha ritenuto, altresì, del tutto coerente l'iter argomentativo che aveva caratterizzata la motivazione.
 
 
 
 
 


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