La Cassazione spiega il valore giuridico dell’Accordo 21 dicembre 2011
Una recentissima sentenza della Cassazione Penale (Sez.III, 27 gennaio 2017 n.3898), che si segnala per il suo interesse, si è espressa sul valore giuridico e sulla funzione dell’Accordo Stato-Regioni 21 dicembre 2011 in materia di formazione dei lavoratori e più in generale sul valore e sulla funzione di questo tipo di Accordi e di Intese.
Il caso su cui si pronuncia la Corte in questa sentenza è piuttosto semplice: un datore di lavoro è stato condannato per il reato contravvenzionale - accertato nell’aprile 2012 - di cui all’articolo 37, comma 1, in relazione all’articolo 55, comma 5, lettera c), del D.Lgs.81/08 (mancata erogazione della formazione ai lavoratori).
In particolare, “il teste P., in servizio presso la Asl…, sezione sicurezza ambiente di lavoro, riferiva che in data 14 aprile 2012, all’esito di un sopralluogo effettuato presso i locali della ditta del ricorrente, come da prassi, aveva richiesto l’esibizione della documentazione attestante la formazione dei lavoratori. Tuttavia, in data 23 aprile, solo una parte della documentazione richiesta venne consegnata da un lavoratore, munito di apposita delega.”
Nello specifico, “erano stati consegnati agli ispettori solo i test di ingresso e, solo successivamente, documentazione inconferente con quanto richiesto dall’articolo 37 del decreto legislativo n. 81 del 2008 o comunque corsi di formazione della durata nettamente inferiore a quella richiesta dalla normativa vigente in materia.”
Come si diceva, il caso in sé non presenta particolare complessità. Ben più articolata e complessa è invece la questione normativo-giuridica che, attraverso il primo dei motivi di ricorso sollevati dal datore di lavoro in Cassazione e la articolata “risposta” di quest’ultima, si pone al centro della sentenza: ovvero se l’Accordo Stato-Regioni 21 dicembre 2011 rappresenti o meno una norma (secondaria) extrapenale integratrice della norma primaria penale (art.37 T.U., essendo l’Accordo Stato-Regioni attuativo dell’art.37 comma 2 T.U.), con tutte le conseguenze processuali del caso e le implicazioni legate all’accertamento dell’adempimento formativo che vedremo nel prosieguo.
Più in particolare, secondo il ricorrente tale Accordo - che regolamenta le modalità, la durata e i contenuti minimi della formazione rivolta ai lavoratori - sarebbe da considerarsi un atto “a contenuto normativo” avente “una portata generale ed astratta tale da concorrere a definire la norma penale “in bianco” costituita dal contenuto dell’articolo 37, comma 1”, con la conseguenza pratica - sempre secondo il ricorrente - che “siccome il contenuto di tale accordo deve essere utilizzato per vagliare la condotta che i soggetti obbligati hanno posto od omesso di porre in essere dall’8 gennaio 2012 in poi, in conformità al principio di carattere generale dettato dall’articolo 2 del codice penale, le modalità, i tempi ed i contenuti della formazione sulla sicurezza dei lavoratori individuati dall’accordo Stato-Regioni non potevano essere utilizzati per valutare le condotte anteriori alla sua entrata in vigore, con la conseguenza che il tribunale” avrebbe operato una “applicazione retroattiva del contenuto del richiamato accordo…” (tesi poi bocciata dalla Cassazione).
L’impostazione di questo ricorso fornisce dunque alla Corte l’occasione per una articolata (e in alcuni punti complessa) analisi della normativa primaria e secondaria in materia di formazione e degli intrecci tra le norme che la costituiscono.
Sotto la lente di ingrandimento, nell’analisi della Cassazione, vengono infatti posti l’art.18 c.1 lett.l) T.U., l’art.37 T.U., l’art.55 T.U. (quale norma che sanziona la violazione dell’articolo 37) e più di tutto il valore giuridico dell’Accordo Stato-Regioni 21 dicembre 2011 che è stato emanato in attuazione del secondo comma dell’art.37 D.Lgs.81/08 che - lo ricordiamo - prevede che “la durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione di cui al comma 1 sono definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottato, previa consultazione delle parti sociali, entro il termine di dodici mesi dall’entrata in vigore del presente decreto legislativo.”
La Cassazione dedica poi anche interessanti passaggi al valore e alla funzione delle Intese e degli Accordi Stato-Regioni in materia di formazione e anche più in generale nel sistema normativo.
Per esigenze di brevità, poiché la sentenza opera una vasta ed esaustiva ricognizione della normativa sulla formazione prendendo in esame nel dettaglio tutte le norme primarie e secondarie su ricordate e i rapporti tra le stesse, focalizziamo qui la nostra attenzione solo sull’aspetto legato al rapporto tra l’art.37 commi 1 e 2 e l’Accordo Stato-Regioni 21 dicembre 2011, che è poi la questione al centro del ricorso, rinviando alla lettura della sentenza integrale l’analisi specifica delle altre norme su richiamate e degli intrecci fra le stesse.
L’Accordo Stato-Regioni 21 dicembre 2011 ha la funzione di “precostituire modelli di formazione uniformi sull’intero territorio nazionale” e “non costituisce un atto normativo extrapenale”
La Corte rigetta il ricorso, affermando che “gli illeciti in materia di inosservanza degli obblighi informativi e formativi nei confronti dei lavoratori non possono rientrare tout court nella categoria delle norme penali in bianco […] e, in secondo luogo, perché l’Accordo, al quale si riferisce l’articolo 37, comma 2, d.lgs. n.81 del 2008, non costituisce un atto normativo extrapenale integrativo del precetto.”
Vediamo con quali argomentazioni.
Secondo la Cassazione, “la previsione del secondo comma dell’articolo 37 d.lgs. n. 81 del 2008 non si presta ad essere interpretata come funzionale ad integrare il precetto penale, già da ritenersi pienamente precisato dal primo comma, quanto piuttosto a richiedere che, attraverso l’attuazione del principio di leale collaborazione tra Stato-Regioni e Province autonome, con la collaborazione delle parti sociali (datoriali e sindacali) e quindi con il coinvolgimento di tutte le componenti interessate, fossero determinati gli standard minimi ed uniformi su tutto il territorio nazionale della formazione dei lavoratori e degli altri soggetti qualificati indicati dal d.lgs.n.81 del 2008 ed in ciò risolvendosi, di regola, la natura giuridica degli accordi in sede di conferenza permanente tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ossia in intese dirette a favorire la cooperazione tra l’attività dello Stato e quella delle Regioni e Province Autonome, costituendo la “sede privilegiata” della negoziazione politica tra le Amministrazioni centrali e il sistema delle autonomie regionali.”
La Corte aggiunge poi che, in una logica di continuità normativa tra il Testo Unico e la normativa precedente, “la ragione di precostituire modelli di formazione, uniformi sull’intero territorio nazionale, fonda sulla medesima ratio che informava l’articolo 22 d.lgs. n. 626 del 1994, il quale perseguiva la medesima finalità attraverso il raggiungimento di intese interministeriali che stabilissero i contenuti minimi della formazione dei lavoratori, tenendo anche conto delle dimensioni e della tipologia delle imprese.”
Ed “infatti, l’art. 22 del decreto legislativo n. 626 del 1994 - oltre a disporre, tra l’altro, che fosse erogata ai lavoratori una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute e a prevedere che la formazione dovesse essere reiterata e fornita in occasione di eventi particolari - stabiliva che i ministri del lavoro e della previdenza sociale e della sanità, sentita la commissione consultiva permanente, potessero stabilire i contenuti minimi della formazione dei lavoratori, tenendo anche conto delle dimensioni e della tipologia delle imprese. Fu varato quindi il decreto ministeriale 16 gennaio 1997 che individuava i contenuti minimi della formazione dei lavoratori, prevedendo (articolo 4) che fosse rilasciata l’attestazione dell’avvenuta formazione con onere di conservazione della stessa da parte del datore di lavoro.”
Dunque, conclude la Corte sul punto, “allo stesso modo, l’articolo 37 - dopo aver tipizzato, al comma 1, il fatto di reato con le note descrittive che valgono a precisarlo, consistendo la condotta vietata nel non assicurare che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con particolare riferimento ai concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza nonché con riferimento a rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda - ha previsto che la durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione siano definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano da adottare, previa consultazione delle parti sociali, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 81 del 2008.”
La funzione dell’Accordo Stato-Regioni 21 dicembre 2011 è una “funzione meramente processuale riservata al piano probatorio”, fermo restando il principio di effettività. La “presunzione di adeguatezza e sufficienza, salvo prova contraria”
Fatta tale premessa, la Corte sottolinea in un passaggio molto importante della pronuncia che “la funzione di tali “intese” è dunque quella di assicurare un livello minimo di affidabilità della formazione in maniera da salvaguardare in concreto la sicurezza nei luoghi di lavoro con una presunzione di adeguatezza e sufficienza dell’offerta formativa in tal modo garantita, cosicché il datore di lavoro che avesse impartito una formazione secondo le linee tracciate dal decreto ministeriale, prima, e dall’accordo, poi, può ritenersi esonerato, salvo prova contraria, da qualsiasi responsabilità al riguardo.”
In tal senso, prosegue la Cassazione, “l’Accordo, di cui al secondo comma dell’art.37, svolge pertanto una funzione meramente processuale riservata al piano probatorio, fermo restando che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, non rileva la mera ottemperanza di obblighi formali, incombendo sui titolari di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità dei lavoratori di impedire, purché il garante abbia i necessari poteri d’intervento, qualsiasi evento lesivo in concreto verificatosi, in quanto gli obblighi informativi e formativi non si esauriscono nell’informazione e nell’addestramento, in merito ai rischi derivanti dalle mansioni esercitate dal lavoratore, venendo così detti obblighi relegati ad una fase meramente statica del rapporto di lavoro, ma implicano che si tenga conto, per espressa previsione normativa, della fase dinamica del rapporto e perciò anche dei rischi derivanti dalla diretta esecuzione delle operazioni di lavoro.”
La norma primaria sanzionata (art.37 in comb.disp. art.55) e il grado di determinatezza dei concetti di “sufficienza e adeguatezza” della formazione
Dunque è convincimento della Cassazione che la “tesi pronosticata dal ricorrente, secondo la quale l’Accordo fungerebbe da normativa (secondaria) extrapenale integratrice del precetto tale da sterilizzare il precetto stesso sino alla entrata in vigore della stipulazione, sia ampiamente smentita dall’Accordo stesso che, all’allegato A punto 10 che detta le norme transitorie, precisa che “In fase di prima applicazione, non sono tenuti a frequentare i corsi di formazione di cui ai punti 4, 5 e 6 i lavoratori, i dirigenti e i preposti che abbiano frequentato - entro e non oltre dodici mesi dalla entrata in vigore del presente accordo - corsi di formazione formalmente e documentalmente approvati alla data di entrata in vigore dei presente accordo, rispettosi delle previsioni normative e delle indicazioni previste nei contratti collettivi di lavoro per quanto riguarda durata, contenuti e modalità di svolgimento dei corsi”.
Secondo la Corte “ciò, da un lato, conferma la preesistenza di una disciplina sostanzialmente sovrapponibile nella ratio a quella varata con il secondo comma dell’art.37 ma soprattutto rende chiara, dall’altro, l’autosufficienza del precetto penale in materia di repressione dell’inosservanza degli obblighi informativi e formativi rispetto a fonti extrapenali (peraltro di dubbia valenza normativa), con la conseguenza che la norma penale precettiva non aveva e non ha alcuna necessità di essere ab externo [dall’esterno, n.d.r.] integrata, risolvendosi sul piano probatorio la questione dell’adeguatezza e sufficienza o meno degli obblighi informativi e formativi impartiti.”
Chiudiamo questa analisi con un passaggio della sentenza che risulta centrale e che ha ad oggetto la valutazione da parte della Corte del livello di determinatezza (tenendo conto che si parla di una norma penale) dei concetti di “sufficienza” e “adeguatezza” utilizzati dall’art. 37 del D.Lgs.81/08 e il rapporto che tutto ciò ha con l’Accordo Stato-Regioni 21 dicembre 2011.
La sentenza precisa che “certo la Corte non ignora alcune critiche che, sotto il profilo della precisione e determinatezza della fattispecie, sono state mosse nei confronti della formulazione della norma incriminatrice, laddove sono utilizzati i segni linguistici della sufficienza e dell’adeguatezza.
Tuttavia le note descrittive dell’illecito non si risolvono nei soli concetti di adeguatezza e/o sufficienza dell’informazione o della formazione ma tanto la prima (informazione che deve essere adeguata) quanto la seconda (formazione che deve essere adeguata e sufficiente) sono parametrate rispetto a una serie di indici precisi e dettagliatamente descritti, di settori, di eventi pericolosi, di rischi derivanti dall’espletamento dell’attività lavorativa da parte del lavoratore stesso o di altri lavoratori in maniera che, essendo l’apparato normativo finalizzato a prevenire gli infortuni nell’espletamento del lavoro, la legge penale consente di distinguere chiaramente la sfera del lecito da quella dell’illecito, ponendo un’indicazione normativa che, attraverso l’impiego di termini intellegibili e precisi, consente di orientare la condotta dei destinatari, descrivendo fatti che sono suscettibili di essere provati ed accertati nel processo attraverso i criteri messi a disposizione dalla scienza e dalle regole di esperienza, essendo tale ultimo aspetto facilitato dalla formulazione di Accordi istituzionali finalizzati a realizzare linee guida da seguire quanto a durata, contenuti minimi e modalità della formazione, la cui esatta osservanza rende, sulla base di una presunzione iuris tantum [presunzione legale che ammette una prova contraria, n.d.r.], conforme a diritto l’offerta e l’obbligo formativo a carico del datore di lavoro.”
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
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Rispondi Autore: Franco Rossi - likes: 0 | 09/02/2017 (10:19:46) |
Cara Anna, leggendo l'articolo mi è venuta in mente la discussione di questi giorni sulla conoscenza dell'italiano da parte dei nostri giovani. Insomma: non è possibile scrivere in questo modo (mi riferisco ai giudici, evidentemente)assolutamente incomprensibile! Come diresti tu, potremmo difenderci sostenendo che "nemo ad impossibilia tenetur"! |