L’obbligo di formazione dei lavoratori muniti di preparazione personale
Un’adeguata informazione e formazione dei lavoratori dipendenti è l’oggetto prevalente di questa sentenza della Corte di Cassazione chiamata a decidere su di un ricorso presentato da un datore di lavoro, condannato dal Tribunale e dalla Corte di Appello con una sentenza “conforme”, per avere provocato delle lesioni personali consistite in ustioni di 2° e 3°grado alle mani, agli avambracci e al volto a un ingegnere incaricato di mettere in funzione un inverter a seguito di un arco elettrico scoccato nel mentre lo stesso effettuava delle misurazioni e per non avere fornito allo stesso né le necessarie protezioni individuali né un’adeguata istruzione per effettuare le misurazioni elettriche medesime.
In tema di sicurezza sul lavoro, ha affermato la suprema Corte che ha richiamato le decisioni già assunte dalla stessa Sezione IV in una analoga precedente sentenza, la n. 22147 del 26/05/2016 pubblicata e commentata dallo scrivente sul quotidiano del 26/09/2016, l'adempimento degli obblighi di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro non è escluso né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro. Né il titolo di studio conseguito dal dipendente, ha aggiunto la Cassazione, facendo riferimento al caso in esame, può sostituire il formale riconoscimento di quelle specifiche qualifiche necessarie per operare sugli impianti sotto tensione. Da qui il rigetto del ricorso e la conferma della condanna dell’imputato.
Il fatto e l’iter giudiziario.
La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale, previa concessione all'imputato dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. in rapporto di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti, ha rideterminato la pena irrogata all’amministratore delegato di una ditta in quella di due mesi di reclusione, confermando la pronuncia di responsabilità in ordine al reato di lesioni colpose, commesso con violazione delle norme in materia di infortuni sul lavoro.
Al ricorrente era stato contestato, in qualità di datore di lavoro, di avere procurato delle lesioni gravi a un dipendente ingegnere, consistite in ustioni di 2° e 3° grado alle mani, agli avambracci e al volto, per colpa generica e con specifica violazione degli artt. 77, comma 3, 36, comma 2, 37 comma 1 e 82 comma 1 del D. Lgs n. 81/2008.
Secondo la ricostruzione dei fatti, contenuta nelle sentenze del Tribunale e della Corte di Appello, l’ingegnere, era stato incaricato di mettere in funzione un inverter (apparecchiatura che serve per trasformare la corrente continua prodotta dai moduli fotovoltaici in corrente alternata, idonea per alimentare la rete elettrica). La installazione e la messa in funzione di tale apparecchiatura avevano impegnato il dipendente per alcuni giorni per le difficoltà incontrate nell’eseguire tale operazione per problemi alla rete in media tensione del committente e per inconvenienti presentatisi sullo stesso inverter. La mattina dell’infortunio il dipendente era riuscito finalmente a individuare il problema nel circuito e, utilizzando un tester multimetro digitale, aveva deciso di eseguire le opportune misurazioni per verificare che arrivasse la tensione necessaria per la fase di precarica: si trattava in particolare di effettuare due misurazioni, una sui due terminali di ingresso e una sui due di uscita. Eseguita la prima misurazione (che dava la lettura di 623 volt), il tecnico aveva puntato i terminali del tester sugli altri due morsetti ed è a quel punto che è partito un arco elettrico che ha investito l'operatore cagionandogli le lesioni sopra indicate.
I profili di responsabilità individuati dai giudici di merito, avevano riguardato la mancata dotazione dei dispositivi di protezione previsti per l'esecuzione di lavoro sotto tensione e la mancata adeguata istruzione del dipendente in relazione all'attività che era stato chiamato a compiere.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni
Avverso la sentenza della Corte di Appello l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore ponendo in evidenza fra l’altro che i giudici avevano fatto riferimento nella loro decisione a quanto indicato nella normativa europea di settore (EN 501101) che, all'art. 5.3.1.3., stabilisce che «se vi è rischio di contatto con parti nude attive, il personale che esegue le misure deve fare uso di dispositivi di protezione individuale e prendere precauzioni contro lo shock elettrico, e contro gli effetti di cortocircuiti ed archi». Secondo il ricorrente la Corte di Appello sarebbe caduta in un evidente equivoco preliminare laddove aveva ritenuto che la semplice presenza di un flusso di corrente elettrica in un impianto qualificasse qualsiasi attività svolta come lavoro "sotto tensione" e allorquando ha affermato che non vi fosse dubbio che, essendo ormai l'inverter collegato alla rete, l’infortunato si trovasse a lavorare in un ambiente sotto tensione.
In realtà, la nota all'art. 3.4.4. EN 50110-1 ha chiarito che, il lavoro sotto tensione viene eseguito dal lavoratore quando entra a contatto con le parti attive nude (ossia a contatto diretto con i fili elettrici) per cui sulla base di tali elementi, l'attività che l’ingegnere era stato chiamato a svolgere, non poteva qualificarsi come lavoro "sotto tensione" atteso che si trattava di lavoro in bassa tensione che non prevedeva il contatto con parti nude attive dell'impianto. Allora, se si considera che l'ingegnere doveva svolgere una sola attività di misurazione la norma eventualmente da applicare, sarebbe dovuto essere l'art. 5.3.1.2. EN 50110-15 che, nell'ambito del rischio consentito, impone esclusivamente la dotazione di strumenti di misurazione adeguati e sicuri che nel caso in esame erano stati forniti all’ingegnere stesso.
Con riferimento poi alla contestazione relativa alla ritenuta mancata formazione ed informazione dell'ingegnere per svolgere il lavoro elettrico che gli era stato demandato, il ricorrente ha fatto presente che a norma dell'art. 82 del D. Lgs. n. 81/2008 «è vietato eseguire lavori sotto tensione. Tali lavori sono tuttavia consentiti quando, per tensioni nominali non superiori a 1000 V in corrente alternata e 1500 V in corrente continua l'esecuzione di lavori su parti in tensione deve essere affidata a lavoratori riconosciuti dal datore di lavoro come idonei per tale attività secondo le indicazioni della pertinente normativa tecnica». La normativa di settore, infatti, richiede che il tale tipo di lavoro venga svolto da Persona Esperta (PES) o Persona Avvertita (PAV). La Corte di Appello era giunta alla conclusione che l’ingegnere aveva una insufficiente preparazione sul piano della conoscenza di quello specifico apparecchio. Tale conclusione è stata ritenuta dalla difesa illogica e contraddittoria perché, riconoscendo che il tipo di lavoro svolto poteva essere effettuato sia da un PES che da un PAV, la Corte territoriale non ha tenuto in considerazione che l’ingegnere sarebbe potuto rientrare in tale categoria.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuti infondati i motivi dedotti in ricorso. La stessa, evidenziando di trovarsi al cospetto di una cd. "doppia conforme" in cui le motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado si integrano vicendevolmente formando un unico percorso logico-argomentativo, ha ritenuta congrua e adeguata oltre che giuridicamente corretta la decisione assunta dalla Corte territoriale.
I rilievi del ricorrente, ha precisato la suprema Corte, hanno proposto sostanzialmente le medesime questioni e giustamente la Corte territoriale ha tenuto presente che l’attività che la persona offesa era stata chiamata a compiere, non riguardava una semplice misurazione presso un impianto in esercizio, ma l'avviamento dell'inverter, che comportava il rischio di un lavoro sotto tensione. Il richiamo pertanto operato dalla difesa alla normativa di settore che non prevede l'uso dei dispositivi di protezione è stato ritenuto inconferente considerato il mandato ricevuto dal dipendente che lo ha esposto al rischio di operare con parti nude attive dell'impianto che, come specificamente illustrato nella sentenza impugnata, imponeva l'impiego degli appositi dispositivi di protezione.
La Sezione IV ha quindi sottolineato che la persona offesa, pur rivestendo la qualifica di ingegnere non aveva ricevuto alcuna formazione pratica rispetto al lavoro da compiere e non aveva un conoscenza precipua di quel macchinario e ha rammentato altresì che non vi è nessuna ragione di esclusione della responsabilità del datore di lavoro che possa essere fatta discendere dalle qualità del proprio dipendente (titolo di studio e pregresse esperienze maturate) né il livello di esigibilità degli obblighi di formazione e informazione si attenua in virtù del titolo di studio del lavoratore e della sua preparazione personale Quindi, citando una precedente sentenza della stessa Sezione IV, la n. 22147 del 26/05/2016, pubblicata e commentata dallo scrivente sul quotidiano del 26/9/2016, ha sentenziato che “In tema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, l'adempimento degli obblighi di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non è escluso né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro").
La suprema Corte, in conclusione, conformemente con quanto deciso dalla Corte territoriale, ha escluso che il titolo di studio conseguito dal dipendente potesse sostituire il "formale riconoscimento di quelle specifiche qualifiche necessarie per operare sugli impianti sotto tensione.
Gerardo Porreca
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