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L’esorbitanza del lavoratore infortunato e la responsabilità del DdL
E’ il periodo questo in cui l’attenzione della giurisprudenza si accentra sulla individuazione del comportamento del lavoratore che ha subito un infortunio quando è da considerare esorbitante e tale da interrompere il nesso causale fra le violazioni in materia di salute e di sicurezza sul lavoro commesse dal datore di lavoro e l’evento lesivo. In particolare in tale circostanza si registra una diversità di vedute fra la Corte di Cassazione e quella di Appello avendo la suprema Corte annullata una sentenza di assoluzione emessa dalla Corte territoriale che aveva ritenuto esorbitante il comportamento di un lavoratore in occasione dell’infortunio dallo stesso subito per avere preso l’iniziativa di effettuare una operazione che non era di sua stretta competenza.
Il fatto e l’iter giudiziario
La Corte di Appello ha riformata una sentenza emessa dal Tribunale con la quale il datore di lavoro di una azienda era stato giudicato responsabile dell'infortunio sul lavoro occorso a un lavoratore dipendente ed era stato condannato alla pena ritenuta equa nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile. Contrariamente alle decisioni del Tribunale la Corte di Appello aveva infatti mandato assolto l'imputato dal reato ascrittogli.
I fatti, così come ricostruiti nei gradi di merito, sono risultati incontroversi. In un frantoio per la frantumazione di materiali inerti presso il quale era adibito il lavoratore infortunato si era verificato un intasamento, ovvero una marcia a vuoto degli organi della frantumazione (le 'mascelle'), dovuto alla presenza di due massi caduti nella tramoggia di carico. Il lavoratore ha provveduto quindi a spegnere l'impianto e, dopo essersi calato all'interno del frantoio, ha imbracato con delle cinghie uno dei due massi e quindi con l'utilizzo di una gru ha rimosso il masso riponendolo su un piano del frantoio. Mentre era intento a imbracare il secondo masso, il primo gli è rovinato addosso, procurandogli una frattura scomposta ed esposta alla gamba destra, con successiva inabilità ad attendere alle sue occupazioni per un tempo superiore a quaranta giorni.
La pronuncia di condanna da parte del Tribunale ha identificata una violazione cautelare attribuibile al datore di lavoro quale antecedente causale del sinistro. Lo stesso, infatti aveva omesso di valutare il rischio specifico derivante dall'evenienza 'intasamento', ordinaria nel funzionamento dell'impianto e non aveva inserito nei documenti aziendali di sicurezza previsioni che valessero a far ritenere soddisfatte le prescrizioni di legge. La Corte di Appello, per contro, ha ritenuto che tale documentazione avesse dato invece delle indicazioni sulle procedure di lavoro da osservare per il caso di intasamento della macchina e che tali procedure fossero rimaste non osservate dal lavoratore, il cui comportamento ha giudicato esorbitante rispetto alle mansioni attribuitegli, che non contemplavano l'intervento sul macchinario.
Il ricorso in Cassazione e le motivazioni
Avverso la decisione della Corte di Appello il lavoratore parte civile ha ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia adducendo diverse motivazioni. Con un primo motivo si è lamentato per avere la Corte di Appello dedotto erroneamente che l'azienda aveva adottato una procedura di disintasamento e che lo stesso tramite la consegna di alcuni documenti era stato adeguatamente istruito sulle modalità di intervento non essendo così invece in quanto era stata posta a suo carico la valutazione del rischio corso. Ha rimarcato, altresì, che la sentenza impugnata aveva a lui attribuito una violazione di norme comportamentali che non sono risultate documentate. Con altro motivo si è lamentato per il fatto che il suo comportamento era stato ritenuto esorbitante nonostante non fossero state precisate quali fossero le mansioni rispetto alle quali era stato formulato il giudizio di esorbitanza. La stessa Corte del resto, ha aggiunto il ricorrente, aveva dato atto del fatto che era previsto che il lavoratore dovesse intervenire con un'asta metallica per cercare di disintasare l'apparecchiatura restando così dimostrato che le mansioni dell'infortunato non si riducevano all'accensione e allo spegnimento dell'impianto per cui, essendo addetto al controllo dell'impianto, una sua condotta imprudente non poteva essere definita abnorme.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso riferito all’esorbitanza del comportamento del lavoratore è stato ritenuto fondato da parte della Corte di Cassazione. Il caposaldo sul quale si era poggiata la sentenza della Corte di Appello impugnata, ha fatto notare la Corte suprema, é rappresentato dalla qualificazione della condotta del lavoratore, sulla cui fisionomia non v'é discussione, quale condotta esorbitante dalle mansioni affidategli e pertanto causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento, secondo la previsione dell'art. 41 cpv. cod. pen.. Nel formulare il proprio giudizio la Corte di Appello che pure si è rifatta a principi più volte espressi dal giudice di legittimità, è incorsa, secondo la Sez. IV, in errore laddove ha assunto il concetto di mansioni, in termini tali da farlo coincidere con la singola operazione compiuta dal lavoratore. Infatti, la Corte distrettuale ha affermato che non rientrava tra le mansioni del lavoratore infortunato rimuovere le pietre bloccatesi nel frantoio e non ha considerato che il medesimo era invece effettivamente addetto all'impianto, essendo adibito alla sua alimentazione, e che, in caso di intasamento dell'apparecchio, la prima manovra prevista era proprio quella di utilizzare delle aste per tentare lo sblocco dell'impianto e solo in caso di insuccesso chiamare il capo cava per decidere se risolvere l'inconveniente aprendo le 'mascelle'.
E’ quindi risultato, ha così proseguito la Sez. IV, che al lavoratore era stato affidato anche il compito di provvedere al disintasamento della macchina, sia pure solo in prima battuta, e che “la indubbia imprudenza commessa dal lavoratore non si pone in rapporto di 'eccentricità' (per usare l'espressione della Corte territoriale) rispetto allo svolgimento delle mansioni affidategli ma anzi rappresenta una modalità di soluzione di un problema che si opponeva all'espletamento dei compiti; che in ipotesi fosse anche trasgressiva delle disposizioni impartite dall'impresa nulla toglie alla non abnormità di quel comportamento.
Per quanto sopra detto quindi la Corte di Cassazione ha annullata la sentenza impugnata ai fini civili con rinvio, per nuovo esame degli atti, al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Gerardo Porreca
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