Il confine tra appalto di servizi e la somministrazione di manodopera
Lo scorso 14 giugno 2022 è stata pubblicata un’importante sentenza della Cassazione (Cassazione Penale, Sez. 4, 14 giugno 2022, n. 23137) dove è stata analizzato il caso di un infortunio in cui il confine non ben definito tra un appalto di servizi e la somministrazione di manodopera, aveva portato, nei primi due gradi di giudizio, alla condanna del datore di lavoro dell’azienda committente e del preposto dell’impresa subappaltatrice.
Situazioni simili a quella oggetto della pronuncia della Suprema Corte sono, purtroppo, piuttosto diffuse nel panorama produttivo italiano.
Le cause sono ampiamente note così come noto è l’immobilismo del legislatore che non è mai intervenuto con una strategia di ampio respiro in grado di incidere sulle variabili organizzative, economiche e fiscali che sono alla base della genesi di queste situazioni.
Andando alla disamina della pronuncia della cassazione, la Corte d'appello di Milano, in data 3 febbraio 2021, aveva confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Milano, il 19 marzo 2018, aveva condannato il legale rappresentante (C.C.) dell’azienda committente e il preposto della cooperativa in subappalto alla pena ritenuta di giustizia, nonché l’azienda appaltatrice alla sanzione pecuniaria da illecito amministrativo in relazione al delitto di lesioni personali colpose con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e, quanto all'anzidetta società, al connesso illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies comma 3, D.Lgs. 231/2001, contestato come commesso il 16 agosto 2013 in danno di un lavoratore di una cooperativa operante in subappalto dall’impresa appaltatrice.
Quest’ultimo incorreva in un infortunio sul lavoro nell'esecuzione di lavori di pulizia nella parte sottostante un nastro trasportatore, ubicato all'interno di un capannone, mentre il nastro era in movimento e non risultava protetto dalle griglie di protezione. In particolare, nel corso dell'attività di pulitura, la vittima si abbassava sotto il nastro trasportatore e, a un certo punto, urtava con il capo uno dei rulli di azionamento; istintivamente portava le braccia a protezione della testa e così il braccio destro rimaneva agganciato e veniva trascinato.
Il legale rappresentante dell’azienda committente aveva risposto del reato nella sua qualità di datore di lavoro di fatto dell’infortunato. Ciò perché l’azienda committente aveva affidato in appalto ad un’impresa la selezione dei rifiuti per la raccolta differenziata; questa, aveva a sua volta subappaltato l'esecuzione dei servizi, d'intesa con l’azienda committente, ad una società cooperativa consociata dalla quale formalmente dipendeva il lavoratore infortunato.
Per i giudici di merito, al di là dell’aspetto formale, la posizione del lavoratore infortunato era, nella realtà, quella di dipendente di fatto dell’azienda committente, con conseguente assunzione della posizione di garanzia di “datore di lavoro di fatto”, da parte del legale rappresentante dell’azienda committente atteso che quella della società cooperativa veniva qualificata come una prestazione di somministrazione di lavoro.
Gli addebiti mossi al datore di lavoro dell’azienda committente riguardavano la violazione degli obblighi dell’art. 71 e dell’art. 36 del D.Lgs. n. 81/2008 e, in particolare:
- il non aver messo a disposizione dei lavoratori, di fatto dipendenti dall’azienda committente, le attrezzature idonee sotto il profilo della sicurezza;
- l'avere omesso di assicurare agli stessi lavoratori un'adeguata formazione e informazione in materia di sicurezza.
Per quest’ultimo punto, infatti, era emerso che l’infortunato non conosceva la procedura specifica per la pulizia dell’impianto già in vigore prima dell’evento.
Per il preposto della cooperativa in subappalto, l’addebito riguardava l’aver fornito disposizioni all’infortunato, tramite un altro collaboratore, di effettuare le pulizie in corso di esecuzione al momento dell'incidente.
All’azienda committente, inoltre, era stato addebitato l’illecito amministrativo (art. 25-septies, comma 3, D.Lgs. n. 231/2001) in quanto l'esecuzione del servizio di pulizia con macchine in movimento aveva costituito un vantaggio per l'impresa, consistente nel risparmio derivante dall'omessa interruzione del funzionamento dell'impianto.
Un ulteriore vantaggio era stato ravvisato nella mancanza di formazione e di informazione dei lavoratori, di fatto sottoposti al potere direttivo dell’azienda committente.
La Corte d’appello di Milano, nel confermare la sentenza di primo grado, aveva respinto le doglianze del datore di lavoro dell’azienda committente riguardo l'attribuzione, in capo al medesimo, del ruolo di datore di lavoro di fatto e della correlata posizione di garanzia nei riguardi della persona offesa, nonché del fatto che quest'ultimo fosse a conoscenza delle procedure di pulizia vigenti presso la società, escludendo anche la natura abnorme del comportamento della vittima.
Per quanto riguarda la posizione del preposto della cooperativa in subappalto, la Corte d’appello aveva respinto le doglianze riguardo la posizione di “preposto di fatto” a lui attribuita, sul rilievo che questi, pur organico alla cooperativa, era il referente di quest'ultima presso l’azienda committente ed incaricato di trasferire gli ordini dell’azienda committente ai lavoratori della cooperativa.
Infine, anche le censure mosse dall’azienda committente riguardo la responsabilità da illecito amministrativo e, in specie, della configurabilità dell'addebito come collegato a un vantaggio che la società avrebbe ottenuto, sono state respinte evidenziando che, contrariamente a quanto sostenuto dalla società stessa, il requisito del vantaggio era nella specie configurabile, essendo ravvisabile ex post su base oggettiva e in relazione agli effetti che ne derivavano, essendo inoltre evidente il collegamento causale tra le carenze addebitate alla società e al suo titolare e l'evento lesivo verificatosi.
A fronte della conferma in appello della sentenza di primo grado, il datore di lavoro dell’azienda committente, il preposto della cooperativa subappaltatrice e la società committente avevano fatto ricorso in Cassazione.
Il datore di lavoro dell’azienda committente motivava il suo ricorso come segue:
- l’impresa appaltatrice operava in totale autonomia organizzativa e decisionale;
- non vi era alcun rapporto tra l’azienda committente e la cooperativa subappaltatrice in quanto questa si atteneva alle direttive fornite dall’impresa appaltatrice;
- la cooperativa subappaltatrice era dotata di piena capacità gestionale ed era il vero datore di lavoro della vittima, come emerso da una serie di prove raccolte in dibattimento;
- era stata vagliata l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa appaltatrice, leader del settore, a cui era stato affidato il servizio;
- non era stato adeguatamente motivato l’assunto secondo cui la cooperativa subappaltatrice forniva solo manodopera eterodiretta, a fronte dell'autonomia organizzativa e gestionale della stessa;
- le prestazioni della cooperativa dell’infortunato erano quelle di una vera e propria impresa subappaltatrice e non quelle di una somministrazione di lavoro in favore dell’azienda committente.
Pertanto, secondo la difesa, le violazioni attribuite al datore di lavoro dell’azienda committente, ivi comprese quelle relative all'omessa formazione e informazione dei lavoratori, partivano da una premessa errata e peraltro non veritiera, come risultava da alcune dichiarazioni testimoniali emerse in dibattimento.
Il ricorso della società committente, invece, era centrato sul confutare il ruolo datoriale di fatto attribuito alla stessa nei confronti dell’infortunato con le motivazioni evidenziate nel ricorso del datore di lavoro.
Il ricorso del preposto della cooperativa subappaltatrice era motivato come segue:
- le sue funzioni erano di natura contabile, senza alcuna responsabilità in tema di sicurezza sul lavoro ma con il compito di verificare le ore di lavoro del personale della cooperativa in funzione dell'esecuzione del contratto;
- l’ente di vigilanza che aveva effettuato le indagini non aveva formulato alcuna contestazione e non aveva emesso alcuna prescrizione nei suoi confronti;
- non aveva impartito l’ordine all’infortunato di eseguire la sua prestazione lavorativa nel contesto pericoloso in cui era avvenuto l’evento;
- era il solo infortunato a sostenere che tale ordine gli fosse stato impartito, tramite un collega, dal preposto;
- al momento dell’evento non era presente sul luogo di lavoro;
- non vi era alcun suo contributo causale all’evento avvenuto in quanto l’infortunio era avvenuto perché le porte d'accesso all'area sottostante all'impianto in movimento erano state aperte e l'operaio vi aveva fatto ingresso.
La Cassazione, esaminati i ricorsi presentati li ha respinti valutandoli come inammissibili.
Le motivazioni per cui il ricorso del datore di lavoro dell’azienda committente è stato respinto sono le seguenti:
- non è consentito, nel giudizio di cassazione, una rilettura del materiale probatorio essendo questo demandato al giudice di merito;
- è evidente sia l’assoluta logicità che la piena correttezza della valutazione resa dai giudici di merito nell'affermare che, di fatto, la manodopera fornita dalla cooperativa subappaltatrice era effettivamente eterodiretta dal personale dell’azienda committente e non poteva considerarsi come impresa subappaltatrice in esclusivo rapporto con l'impresa appaltatrice;
- nella sentenza di primo grado emerge palesemente dalle testimonianze che i lavoratori della cooperativa subappaltatrice ricevevano disposizioni di lavoro dai capiturno dell’azienda committente tramite i propri “capioperai” o che l'accesso all'area sottostante l'impianto, dove era avvenuto l’infortunio, poteva essere consentito solo dal capoturno dell’azienda committente, unico depositario delle chiavi per l’accesso.
- la cooperativa subappaltatrice, come evidenziato nelle motivazioni delle sentenze di primo grado e d’appello, erogava in realtà una vera e propria somministrazione di manodopera direttamente in favore dell’azienda committente, così creando una situazione di fatto assimilabile a quella del rapporto di dipendenza organica dei lavoratori della cooperativa subappaltatrice dall’azienda committente, dal cui personale essi prendevano ordini;
- stante questa situazione, il datore di lavoro dell’azienda committente aveva assunto la qualità di datore di lavoro di fatto e, dunque, di assuntore della correlata posizione di garanzia e dei connessi obblighi giuridici, ivi compresi quelli a lui contestati, a norma dell'art. 299, D.Lgs. n. 81/2008, in base al quale «Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti»;
- avendo assunto la qualità di “datore di lavoro di fatto”, il datore di lavoro dell’azienda committente doveva assumere, anche nei riguardi dell’infortunato, il debito di sicurezza correlato alla sua posizione datoriale (di fatto), sia con riferimento all'obbligo di impedire che egli venisse a operare a contatto con apparecchiature pericolose (perché in movimento e non debitamente comandate da griglie di protezione), sia con riferimento all'obbligo di fornire ai lavoratori la necessaria formazione e le necessarie informazioni a fini di sicurezza;
- all’infortunato, al momento dell’evento, non era stata fornita alcuna informazione contenuta nell’apposita procedura, elaborata in epoca antecedente l'incidente per la pulizia dell'impianto.
In merito al ricorso dell’azienda committente, la Cassazione ha evidenziato che benché questo fosse finalizzato a contestare la condanna per l'illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies comma 3, D.Lgs. n. 231/2001, era quasi identico a quello presentato per conto del datore di lavoro ed aveva in definitiva analoghe finalità, che si ponevano "a monte" della questione (non affrontata nel ricorso) del perseguimento dell'interesse o del vantaggio dell'ente (questione non toccata nel ricorso, ma che era stata correttamente affrontata e risolta dalla Corte d’appello), limitandosi a confutare la veste datoriale della società e l'inquadramento dell’infortunato alle dipendenze di fatto della stessa.
Ne consegue che anche il ricorso dell’azienda committente va dichiarato inammissibile, per ragioni del tutto analoghe a quelle viste per il ricorso del suo datore di lavoro.
La Corte di Cassazione ha giudicato inammissibile anche il ricorso del preposto della cooperativa subappaltatrice.
Le motivazioni sono le seguenti:
- la tesi sostenuta dal ricorrente, che contesta l'attribuzione della qualità di preposto ed allega l'esercizio di mansioni contabili estranee ad obblighi in tema di sicurezza del lavoro, è smentita dalle fonti di prova richiamate nelle due sentenze di merito, a cominciare dalla persona offesa, che ha dichiarato di avere ricevuto l'ordine di effettuare la pulizia dal ricorrente tramite suo altro collega incaricato di veicolare gli ordini dell’azienda committente ai lavoratori dell’impresa subappaltatrice anche con riguardo alle aree da pulire;
- lo stesso imputato aveva affermato di essere colui che faceva da referente per qualsiasi cosa tra l’azienda committente e la cooperativa trovandosi così in condizione di interposizione fra le disposizioni date dalla prima, anche con riguardo all'esecuzione delle pulizie, e i lavoratori della seconda, cui trasmetteva le predette disposizioni, così assumendo la veste di "preposto di fatto" in base al combinato disposto degli articoli 2, comma 1, lett. e), e 299 del D.Lgs. 81/2008;
- non è consentita in Cassazione la valutazione di attendibilità di un teste (nel caso specifico, l’infortunato) laddove nel ricorso si riferisce che era stato proprio il preposto della cooperativa appaltatrice, tramite un collega della stessa, a ordinargli di effettuare le pulizie nella parte sottostante il macchinario, così esponendosi al rischio successivamente concretizzatosi al momento dell'incidente;
- il contributo alla causazione dell’evento è ben evidente visto che, con esso, veniva ordinato all’infortunato di recarsi a effettuare pulizie nella parte sottostante a un macchinario che, in quella giornata doveva essere in movimento, oltreché situato in un'area che normalmente doveva essere interdetta ai lavoratori qualora l'impianto fosse attivo.
Preso atto di questo orientamento, del tutto condivisibile stante l’attuale legislazione, è opportuno concludere raccomandando, in particolare ai colleghi RSPP, la massima attenzione riguardo a situazioni simili di cui venissero a conoscenza all’interno delle aziende per cui svolgono tale incarico sia da dipendente che da consulente esterno, segnalando al datore di lavoro la non liceità dei rapporti contrattuali in atto e raccomandando una attenta revisione dei processi direttivi e decisionali intercorrenti nel rapporto tra committente e appaltatore/subappaltatore.
Carmelo G. Catanoso
Ingegnere Consulente di Direzione
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