Safety e security: come gestire l’emergenza rapina
Ospitiamo un articolo tratto da PdE, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente, che propone un intervento realizzato da Teresa Cammara.
GESTIONE DELL’EMERGENZA RAPINA
“Mani in alto, questa è una rapina!”. Almeno una volta nella vita ognuno di noi ha scherzosamente recitato la parte del rapinatore mascherato che, pistola in pugno, tenta di arraffare il bottino contenuto all’interno del caveau di una immaginaria banca.
In casi come questo appena citato, il contesto ludico - immaginativo ci aiuta, o ci ha aiutati, a rimanere ben lontani dalle implicazioni emotive che un evento inaspettato come una rapina può offrire.
Ma cosa accade quando, svestendo i panni del furbo rapinatore, si passa ad indossare quelli del rapinato, in una meno immaginata realtà?
Da tempo, all’interno di differenti contesti bancari, in materia di sicurezza viene proposto l’innovativo percorso formativo “Emergenza Rapina”: esso si inserisce all’interno dell’articolato quadro della formazione prevista in riferimento al governo di situazioni di emergenza, laddove vi siano fattori di rischio per l’elemento umano coinvolto.
L’ evento rapina presenta infatti delle peculiarità che lo rendono differente rispetto ai tradizionali rischi presenti sul lavoro. L’imprevedibilità e l’inevitabilità sono di certo le più evidenti fra caratteristiche che contraddistinguono la RAPINA, inalienabili da qualunque preventivo processo di previsione del rischio; questo implica necessariamente un diverso andamento delle iniziative formative, che non hanno infatti come scopo quello di prevedere l’accadimento specifico, ma di individuare elementi e fattori di prevenzione che possano aiutare i lavoratori/attori - soprattutto gli addetti agli sportelli - ad affrontare l’evento critico mettendo in atto una linea comportamentale adattiva che protegga da eventuali traumi e rischi anche molto gravi.
La GRAVITÀ è infatti da considerarsi il principale indicatore della significatività del rischio e della necessità di interventi di sicurezza. Per poter scegliere le misure più idonee tra quelle disponibili occorre conoscere, almeno a grandi linee, i fattori di rischio soggettivi e oggettivi.
Proviamo dunque ad immaginare come si potrebbe vivere una rapina vista con gli occhi della vittima. È davvero possibile prepararsi ad un evento inaspettato? Quali sono gli elementi traumatici che interverrebbero e come si possono ridimensionare le conseguenze sul piano psicologico? Come affrontare il flusso emotivo che ne consegue?
Domande lecite, con risposte che possono essere più o meno rassicuranti per i fruitori dei percorsi formativi succitati. Ciò accade perché l’obiettivo delle sessioni formative è, da una parte, quello di offrire un’opportunità di conoscenza delle procedure previste dal Sistema di Gestione Aziendale del Rischio - Misure di sicurezza, protocolli di collaborazione con le Forze dell’Ordine, procedure operative di sicurezza e organizzazione aziendale; ma, dall’altra, è soprattutto quello di proporre spunti di riflessione e osservazione della propria dimensione emotiva, comportamentale e relazionale.
Le statistiche dimostrano che la rapina è uno dei reati contro il patrimonio che negli ultimi dieci anni ha subito il più alto tasso di incremento.
Il rapinatore è da considerarsi generalmente più violento e meno intelligente del tradizionale ladro professionista, occorre pertanto tenere in considerazione la possibilità che egli faccia uso delle armi in qualsiasi momento e che non sappia gestire adeguatamente il carico di stress che ne deriva.
La scelta delle misure di prevenzione deve perciò essere fatta tenendo conto di questo importante aspetto, dando priorità alla protezione della vita umana e di salvaguardia dell’ambito psico-fisico della vittima.
Essendo “l’elemento caratterizzante l’evento rapina un atto di intrusione/violenza, in virtù del quale, si crea la rottura di un equilibrio precedente, quindi di cambiamento rispetto ad un “prima”, che, di per sé, pone l’individuo in una condizione di incertezza, indecisione e disorganizzazione nell’attesa del ripristinarsi di un equilibrio”, risulta fondamentale mettere gli attori nelle condizioni di prepararsi all’eventualità che questo possa accadere: di concerto, diventa essenziale cercare di acquisire strumenti che possano rendere meno traumatico un evento di per sé imprevedibile nei tempi e nelle modalità.
Vagliare possibilità, considerare differenti scenari, confrontarsi con esperienze proprie e altrui, esplicitare eventuali credenze personali, può essere utile per dissipare i dubbi più comuni, acquisendo strategie comportamentali e mappe cognitive che permettano di non trovarsi impreparati davanti all’evento temuto e aiutino quindi a ridurre i possibili effetti violenti che questo potrebbe avere sulle persone coinvolte.
Il nostro cervello infatti, abituato a computare migliaia e migliaia di dati, ha la necessità di “mettere ordine” e definire degli schemi comportamentali che possano essere attivati in situazioni ben precise o analoghe fra loro.
L’area della psicologia che studia i comportamenti umani nelle emergenze, insegna infatti che la reiterazione e la consapevolezza dell’esistenza di ipotizzabili scenari, più o meno prevedibili, aiutano a mettere in atto comportamenti adattivi ed efficaci fondamentali per la propria e altrui salvaguardia.
La via preferenziale per la definizione di buone pratiche e procedure efficaci che abbiano come obiettivo la tutela delle persone, vero “tesoretto” delle organizzazioni, si articola attraverso alcuni semplici processi, quali:
- predisporre tutte le procedure e i protocolli preventivi
- prendere in considerazione l’eventualità che un evento violento e imponderabile accada - rifuggendo la comune illusione che “a me non succede”
- istituire dei momenti in cui ci si possa confrontare a livello organizzativo, personale e relazionale.
Trovarsi con davanti uno sconosciuto che ti punti un’arma addosso, non è una circostanza auspicabile ed è di certo una situazione che impone un confronto e un’osservazione attenta e puntuale del bagaglio di risposte emotive di cui disponiamo.
All’interno della cornice descritta, la sorpresa e la paura diventano inevitabilmente le principali protagoniste.
Entrambe emozioni primarie, inscritte nel nostro patrimonio genetico e facilmente riconoscibili attraverso chiari ed evidenti segnali corporei, presentano “colorazioni” differenti.
La sorpresa, che gioca un ruolo essenziale nell’interazione aggressore-vittima, ma anche nel determinare i conseguenti vissuti di quest’ultima, è di per sé un’emozione neutra, il cui andamento verso un polo più o meno gradevole, è stabilito dall’evento che la provoca.
Si può dire che “traghetti” l’individuo verso altre emozioni, gradevoli come la gioia, meno gradevoli come la rabbia, il disgusto o, nel caso specifico, la paura.
Quest’ultima, più veloce del pensiero, fondamentale a livello evolutivo, temuta e malfamata, in realtà è necessaria alla sopravvivenza, perché induce le risposte adattative di allarme di fronte all’incombere di un pericolo.
Si può affermare che il delitto di rapina, connotato e contraddistinto per il suo elevato allarme sociale, così come per il suo particolare disvalore nei confronti della società civile, può commettersi mediante l’uso della violenza o della minaccia, che alimentano la paura della vittima: occorre evitare il verificarsi del meccanismo opposto, dove la paura della vittima alimenti violenza e minaccia dell’offensore.
Riflessioni di questo genere, completate dai racconti e dalle esperienze vissute dagli attori, facilitano la possibilità di assumere elementi di base, di conoscere strategie di riconoscimento e gestione emotiva, di assumerne una padronanza sufficientemente buona da poter mettere in pratica, anche nei momenti più complicati e stressanti, le procedure virtuose acquisite.
La formazione dovrebbe quindi assicurare durante i momenti più complessi - in cui il livello di consapevolezza è fortemente ridotto - l’attivazione di comportamenti individuali e collettivi adatti e “trasformare” i dipendenti di ogni filiale da una sommatoria di individualità in un gruppo funzionante come un sistema in grado di “autoproteggersi” nelle situazioni di crisi determinate dall’emergenza.
L’essere vittima di un reato rappresenta un evento che produce ripercussioni sia fisiche, che psicologiche. Queste ultime dipenderebbero dal contesto, dalla resilienza individuale e dalle caratteristiche del gesto criminale, che influirebbe prevalentemente sull’intensità delle conseguenze.
Uno studio evidenzia che dal 10 al 30% delle vittime di scippo e rapine presentano dei sintomi post traumatici acuti. Soffrono maggiormente: le donne, gli anziani, le persone con problemi di salute, con traumi pregressi e quelle più sole.
Un valido progetto formativo deve quindi mirare ad offrire strumenti di valutazione del contesto intra e inter personale, favorendo un naturale processo di coesione del gruppo.
Il fenomeno dell’UNIONE, preesistente alla nostra specie, è fondamentale per la sopravvivenza dell’individuo, per aiutarsi e sostenersi a vicenda, per condividere emozioni e per perseguire un obiettivo comune. Tale obiettivo condiviso tra più persone, costituisce la linfa vitale che alimenta e mantiene vivo il gruppo.
Ogni sforzo individuale crea una forza all’interno del gruppo.
In conclusione, la prevenzione e la formazione rappresentano l’unica attività programmabile a fronte di ciò che non è prevedibile. Attività come quella citata - Emergenza Rapina - chiariscono in ultimo, la necessità di coinvolgere nei processi formativi aziendali non solo le figure che tradizionalmente si occupano di gestione del rischio, ma anche e soprattutto professionisti competenti e formati che possano offrire importanti spunti di riflessione sui temi in questione.
BIBLIOGRAFIA
Oliviero Ferraris A., 2013. Psicologia della paura. Prefazione
Materiale BPN, 2016. Gestione dell’emergenza rapina
Teresa Cammara
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