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Buona memoria ed occhi attenti possono essere preziosi!

Buona memoria ed occhi attenti possono essere preziosi!
Adalberto Biasiotti

Autore: Adalberto Biasiotti

Categoria: Security

26/08/2024

Offriamo di seguito ai lettori una affascinante storia di un furto e della successiva riconsegna al legittimo proprietario, basata sulla attenta osservazione di una fotografia scattata 100 anni fa.

 

Un archeologo del museum of fine arts-MFA, in Boston, stava studiando i documenti afferenti ad un cofano egizio, di 3000 anni fa; un’attenta lettura dei documenti disponibili destò le sue perplessità.

 

Tra i documenti era presente una lettera di un artista svedese, che spiegava in dettaglio come egli avesse scavato questo reperto nel 1937; in allegato a questa lettera vi era una conferma della autenticità dell’oggetto, rilasciata da un professore di egittologia. Ma l’archeologo del museo aveva recentemente visto una fotografia di un cofano, che sembrava straordinariamente simile a quello ospitato nella collezione del museo. Quest’ultimo cofano era stato scavato da un archeologo britannico del 1920. Questa contraddizione fece lanciare un’indagine approfondita ed ecco i risultati. La foto era stata scattata più di 100 anni fa, ma proprio grazie ad essa il cofano è stato adesso restituito al museo dell’Università di Uppsala, il museo Gustavianum.

 

Ecco come l’archeologo ha raccontato ai mezzi di comunicazione di massa lo svolgimento della sua indagine.


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Una prassi assai diffusa, in tempi antecedenti alla diffusione di Internet, era quella di richiedere ai venditori di un reperto archeologico di firmare una dichiarazione, nella quale venivano indicate le modalità con cui l’oggetto era giunto in possesso dei venditori. In questa dichiarazione veniva riportata una lunga e stravagante storia sulle modalità con cui il cofano era giunto dall’Egitto alla Svezia; i sospetti legati a questa dichiarazione portarono ad un approfondimento della stessa.

 

I sospetti dall’archeologo erano stati accresciuti anche dal fatto che egli aveva già una lunga esperienza su situazioni anomale, verificatisi in passato e non approfondite a sufficienza.

 

Le indagini poterono accertare che il cofano in realtà era stato scavato dal cosiddetto padre della archeologia egizia, sir Flinders Petrie. Egli fu uno dei primi a documentare la sua attività con appropriate fotografie. Durante uno scavo in Egitto, nel 1920, egli scavò questo reperto e fotografò il cofano, che risale al 1295 prima di Cristo.

 

Il cofano finì in Svezia e rimase qui per decadi. Ma nel 1985, un agente, basato in California, che dichiarava di rappresentare l’artista svedese Eric Stahl, lo vendette al MFA di Boston. Non è stato possibile capire come questo reperto sia stato trasportato dalla Svezia in California. L’esame della dichiarazione rilasciata dall’artista svedese Erich Stahl mostrò che essa era piena di dichiarazioni anomale, che non fecero che aumentare i sospetti degli investigatori. In particolare, l’artista svedese dichiarò di aver trovato personalmente questo reperto, durante una spedizione in Egitto nel 1937. La dichiarazione a supporto di un egittologo dichiarava che questo reperto era stato trovato da Erich Stahl ben trent’anni prima.

 

A questo punto l’investigatore era certo che qualche cosa non funzionasse.

 

Anche se Eric Stahl era un artista, non venne reperita alcuna traccia del fatto che egli avesse mai fatto parte di scavi archeologici in Egitto. L’investigatore di Boston prese contatto con la sua controparte nel museo di Uppsala, che avviò le indagini interne. La controparte confermò che quell’oggetto faceva parte della collezione del museo fino dal 1922 ed era stato regolarmente registrato nell’archivio. L’oggetto era sparito nel 1970.

 

L’oggetto adesso è coinvolto in un ulteriore contestazione, in quanto il governo dell’Egitto ritiene che dovrebbe essere riportato non al museo di Uppsala, ma nella terra di provenienza.

 

Ancora una volta, una buona memoria ed occhi attenti possono essere preziosi per aiutarci a salvaguardare unici reperti archeologici.

 

 

 

Questa rara fotografia venne utilizzata dall’archeologo di Boston, attento investigatore, per confermare che l’oggetto in questione era stato rubato dal museo in Svezia nel 1970. Per gentile concessione del Petrie Museum, UCL

 

Adalberto Biasiotti

 

 

 




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