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I rischi organizzativi e psicosociali nelle strutture ospedaliere
Alba/Bra, 30 Dic – In questi mesi PuntoSicuro presentando i rischi degli operatori sanitari - attraverso quanto riportato dal Servizio di Prevenzione e Protezione dell’ Azienda Sanitaria Locale Cn2 Alba-Bra nello spazio web dedicato ai “ Principali rischi in ambiente ospedaliero” - ci siamo soffermati sui rischi chimici e biologici, sui rischi correlati alla movimentazione manuale dei carichi e dei pazienti e agli agenti fisici e sui rischi infortunistici.
Tuttavia negli ambienti sanitari per poter valutare efficacemente i rischi e tutelare adeguatamente la salute e sicurezza dei lavoratori, non bisogna dimenticare anche la rilevanza dei rischi psicosociali e dei rischi organizzativi.
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A questo proposito il Servizio di Prevenzione e Protezione dell’ Azienda Sanitaria Locale Cn2 Alba-Bra, ricorda che in ambiente ospedaliero “sono frequentemente segnalate situazioni di stress psichico tra il personale. Le cause possono essere legate sostanzialmente a fattori di tipo individuale, organizzativo, sociale o culturale”.
Ad esempio si fa riferimento al “coinvolgimento emotivo richiesto talvolta dal paziente, l’impatto quotidiano con la sofferenza, il dolore o la morte, possono generare nel personale sanitario ed in particolare in quell’infermieristico sensazioni di fallimento e distacco personale”.
Inoltre si segnala che le condizioni dell’ambiente di lavoro prevedono molte volte “un sovraccarico di lavoro, mancanza di pianificazione, svalutazione della professionalità, burocratizzazione eccessiva”. Elementi che possono essere motivo di “perdita d’interesse alla professione e alla responsabilità nel proprio lavoro”.
Una adeguata prevenzione in ambito stress lavoro correlato dovrebbe, ad esempio, “prevedere una riduzione dei sovraccarichi di lavoro, il coinvolgimento dei lavoratori nell’organizzazione, la formazione costante del personale ed il suo sostegno psicologico finalizzato a sostenere angosce e ansie legate alla sofferenza, alle malattie e alla morte”.
Riguardo ai rischi organizzativi, il Servizio di Prevenzione e Protezione si sofferma in particolare sul lavoro notturno, con riferimento anche a quanto contenuto nel Decreto Legislativo n. 532 del 26 novembre 1999, recante “Disposizioni in materia di lavoro notturno, a norma dell'articolo 17, comma 2, della legge 5 febbraio 1999, n. 25”.
Il D.Lgs. 532/1999 definisce:
- lavoro notturno: ‘l’attività svolta nel corso di un periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l’intervallo fra la mezzanotte e le cinque del mattino’;
- lavoratore notturno: ‘qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga, in via non eccezionale, almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero’; ‘qualsiasi lavoratore che svolga, in via non eccezionale, durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro normale secondo le norme definite dal contratto collettivo nazionale di lavoro. In difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di 80 giorni lavorativi all’anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale’.
Riguardo alle conseguenze sui lavoratori si sottolinea che “l’alterazione delle condizioni di salute dei turnisti dipende oltre che dall’alterazione dei ritmi biologici (sfera biologica) anche dalle interferenze sulle abitudini alimentari e di sonno dei soggetti esposti (sfera lavorativa) e dalle eventuali interferenze sulla vita di relazione (sfera relazionale)”.
Il sonno è sicuramente il primo elemento a “subire modifiche dal lavoro a turni. Una riduzione delle ore di sonno si determina già nel corso del turno mattutino in relazione all’alzata precoce”. Inoltre nel turno notturno “la riduzione del sonno è più vistosa in presenza di situazioni familiari ed abitative sfavorevoli, che limitano la possibilità di recupero successivo”.
E comunque con il lavoro a turni ad alterarsi non è solo la quantità di sonno ma anche la sua qualità “a causa della perturbazione delle fasi del sonno che riducono i periodi di sonno profondo e di sonno REM”: “ciò determina un minor effetto ristoratore del sonno che si accentua quando si dorme di giorno”. E con l’età si assiste ad “un’accentuazione delle alterazioni quantitative e qualitative del sonno. Si pensa che i lavoratori turnisti abbiano un più precoce invecchiamento funzionale rispetto a quelli non in turno anche a causa di tale fattore”.
Veniamo ai problemi alimentari.
Questi problemi sono “legati alla anomala sequenza dei pasti ed all’interferenza sui pasti operata dal sonno: i turnisti – anche se si alimentano normalmente – per effetto del turno spostano la sincronizzazione socio-ambientale dei pasti:
- il turno mattutino di solito interferisce con l’orario del pranzo ed induce uno spostamento del pasto di due o tre ore;
- allo stesso modo il turno pomeridiano ha un effetto sulla cena;
- durante il turno di notte, anche se gli orari dei pasti si mantengono, si modifica la qualità dei cibi consumati (prevalentemente freddi e preconfezionati) ed aumenta l’incremento di bevande stimolanti (caffè e tè) e di tabacco”.
E dunque nei turnisti può registrarsi “un incremento delle malattie dell’apparato digerente (gastroduodenite, ulcera peptica, colonpatie funzionali)”.
L’Asl Cn2 ricorda poi che un altro problema rilevante nel lavoro a turni è “l’incidenza dei disturbi psichici (disturbi comportamentali, sindromi ansiose e depressive) e neurologici (fatica cronica, insonnia). I lavoratori a turni, pertanto, spesso assumono psicofarmaci e ricorrono al ricovero in luoghi di cura con maggior frequenza della restante popolazione attiva”.
Vengono poi brevemente presentati alcuni risultati di studi sulla salute dei turnisti.
Ad esempio con riferimento a:
- aumento del rischio per le malattie cardiovascolari (indagini effettuate nei paesi scandinavi). “Esposizione a problemi cardiaci (angina, infarto) da due a tre volte più spesso dei lavoratori con turni solo di mattina. Tale rischio è indipendente dall’età e dal consumo di tabacco”;
- aumento del colesterolo e dei trigliceridi “a prescindere dall’uso o dall’abuso di tabacco e dall’anzianità anagrafica; si è riscontrato infine un maggiore incremento del LDL ed una riduzione del HDL durante il lavoro notturno. Le alterazioni dell’assetto lipidico appaiono indipendenti dall’obesità e dalle abitudini alimentari”;
- nelle lavoratrici “irregolarità mestruali, un minor numero di gravidanze, ed un incremento d’incidenza di minacce d’aborto e di aborti spontanei rispetto alle donne che lavorano soltanto la mattina”.
Rimandando ad una lettura integrale dello spazio dell’Asl Cn2 dedicato ai rischi in ambiente ospedaliero, che si sofferma anche su recenti studi dell’Eurispes e sulla disciplina normativa, , riprendiamo le conclusioni del Servizio di Prevenzione e Protezione sul lavoro notturno.
Occorre infatti “valutare sotto una nuova ottica le implicazioni che il lavoro a turni determina sulla vita e sulla salute dei lavoratori”.
I lavoratori turnisti, se non già soggetti a controllo periodico obbligatorio da parte di un Medico Competente, “dovrebbero esser periodicamente sottoposti a visita sanitaria allo scopo di evidenziare il più precocemente possibile i segni ed i sintomi di alterazione”.
E sarebbe poi importante non solo avere specifiche indagini epidemiologiche sull’incidenza di tale rischio in ambito sanitario, ma anche “avviare un’indagine che approfondisca le implicazioni di tale organizzazione del lavoro sui diversi aspetti della vita relazionale e lavorativa dei turnisti e sulle ricadute che si determinano sulla loro salute”.
“ Principali rischi in ambiente ospedaliero”, spazio online a cura del Servizio di Prevenzione e Protezione dell’Azienda Sanitaria Locale Cn2 Alba-Bra.
Tiziano Menduto
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