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Dalle definizioni riportate si evince la complessità e la genesi eterogenea del fenomeno, talvolta mirato agli effetti, talvolta ai fattori causali o a quelli di mediazione; comunque tale da richiedere un approccio multidisciplinare integrato, e che possa trovare una sintesi efficace in un’ampia prospettiva che comprenda tutti i saperi specialistici presenti in essa.
Un contesto di lavoro che presenta elementi di rischio chiama in causa, quindi, sia elementi organizzativi che sociali, facendo emergere la complessità della definizione di rischio psicosociale, ancor più se consideriamo quanto la pandemia abbia cambiato gli scenari socioeconomici e quale impatto notevole abbia avuto sulle condizioni di benessere nei luoghi di lavoro.
Nell’ottobre 2021, nel corso di uno specifico seminario, l’Istituto Sindacale Europeo ha affrontato proprio il tema dell'aumento dei rischi psicosociali durante la crisi del Covid-19. In particolare, sembra che la pandemia abbia messo in luce le disuguaglianze e aggravato i rischi esistenti, al punto che si è ritenuto necessario sollecitare una direttiva dell'UE, affinché la materia venisse affrontata come una questione di carattere generale a livello europeo. Da uno studio dell'OCSE ed Eurofound sulla salute mentale durante la pandemia è emerso che nel 2020 essa è peggiorata in tutti i paesi dell'OCSE; tra i principali disturbi vi sono l’ansia e la depressione, seguono il burnout, l’insonnia, l’affaticamento psicofisico e i sintomi da stress post-traumatico. In particolare, sembra che la pandemia abbia messo in luce le disuguaglianze e aggravato i rischi esistenti, al punto che si è ritenuto necessario sollecitare una direttiva dell'UE, affinché la materia venisse affrontata come una questione di carattere generale a livello europeo.
I lavoratori del settore sanitario e dell'assistenza sociale sono stati tra i gruppi professionali più esposti ai rischi psicosociali, proprio per una combinazione sfavorevole di fattori organizzativi, gestionali, sociali ed economici. Hanno contribuito all'aumento dei rischi l’iniziale carenza di dispositivi di protezione individuale, il pesante carico di lavoro e di responsabilità – considerato anche la natura dell’impegno lavorativo legato all’assistenza e alla cura – e gli orari di lavoro prolungati e turni irregolari.
Altro tema importante nell’ambito dei rischi psicosociali nei luoghi di lavoro riguarda il fenomeno delle violenze e delle molestie, alle quali le donne sono maggiormente esposte. Da un'indagine condotta da UNI Europa è emerso che le donne sono le più fortemente colpite dalla violenza sia sessuale, sia economica, considerando i loro salari più bassi e le loro forme di lavoro più precarie. In generale, il rischio di esposizione alle molestie sessuali è superiore alla media per le donne di età compresa tra i 18 e i 29 anni e tra i 30 e i 39 anni. Più di una donna su tre (38 %), di età compresa tra 18 e 29 anni, ha subito almeno una forma di molestia sessuale nei 12 mesi precedenti l’intervista, così come quasi una donna su quattro (24 %) di età compresa tra 30 e 39 anni.
Da fonte Istat, sono un milione 404 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Rappresentano l’8,9% per cento delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione. Nei tre anni precedenti all’indagine, ovvero fra il 2013 e il 2016, hanno subito questi episodi oltre 425 mila donne (il 2,7%).
Si ipotizza che tale problema abbia a che fare con i contesti lavorativi e con culture in cui si collude direttamente o in modo drammaticamente inconsapevole con i comportamenti abusanti. Se un fenomeno si presenta mediante ripetuti eventi, difficilmente può essere definito come semplice effetto di una sommatoria di tanti episodi isolati, che prescindono dal contesto.
Il contesto organizzativo, la sua cultura ed i fattori che lo compongono sono parte del fenomeno stesso.
Inoltre, dato il numero crescente di segnalazioni da parte delle vittime, emerge un quadro preoccupante riguardante i maggiori rischi di violenza domestica durante la pandemia di COVID-19: è molto probabile che un numero considerevole di donne che lavorano a distanza abbiano subito e subiscano violenza domestica.
Lavorare a distanza durante la pandemia ha reso, per di più, ancora più difficile denunciare e cercare aiuto per le violenze domestiche subite dal partner, (soprattutto se la vittima non è in grado di uscire di casa per recarsi al lavoro o svolgere altre attività di routine).
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Un nuovo quadro dei rischi psicosociali
Pubblichiamo un estratto del documento "Rischi psicosociali nei luoghi di lavoro: quali obiettivi per le organizzazioni e quali prospettive d’intervento per la psicologia del lavoro" realizzato dall'ordine degli psicologi del Lazio.
Analisi dello scenario e del contesto: un nuovo quadro dei rischi psicosociali
Alla luce di quanto riportato nella premessa (leggi articolo "Prospettive di cambiamento del lavoro nell'era digitale") e considerati i processi di trasformazione digitale che stanno coinvolgendo il mondo del lavoro e, più in generale, tutta la società nel suo complesso, si apre una profonda riflessione sul concetto di rischio psicosociale e sulla sua gestione all’interno dei luoghi di lavoro.
Tra i rischi lavoro correlati, ricoprono un ruolo sempre più importante quelli psicosociali, legati principalmente a modalità inadeguate di progettazione, organizzazione del lavoro e di gestione delle risorse umane. Alcune definizioni riportate nella letteratura specialistica internazionale possono aiutare a comprenderne la specifica natura.
Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO, 1986) si definiscono “ rischi psicosociali” quei rischi che sono generati da “una interazione sfavorevole tra contenuto del lavoro, gestione, organizzazione del lavoro, condizioni ambientali e organizzative rispetto alle competenze e alle esigenze dei lavoratori”.
Anticipando alcuni contenuti, che troveremo più nel dettaglio nei paragrafi successivi, riportiamo alcune definizioni di rischi psicosociali elaborate dall'ISO (International Organization for Standardization) contenute nel documento redatto dal Comitato Tecnico ISO/TC 283. Sono quei rischi che riguardano sia la salute e la sicurezza psicologiche, sia la salute, la sicurezza e il benessere sul lavoro in senso più ampio. Ai rischi psicosociali sono anche associati i costi economici per le organizzazioni e la società.
Inoltre: I rischi psicosociali possono verificarsi in combinazione tra loro e possono influenzare ed essere influenzati da altri rischi. Il rischio psicosociale si riferisce al potenziale di questi tipi di rischi di causare diversi tipi di esiti sulla salute, sicurezza e benessere individuali e sulle prestazioni organizzative e sostenibilità. È importante che i rischi psicosociali siano gestiti in modo coerente con altri rischi per la SSL, attraverso un sistema di gestione per la SSL, e integrati nei più ampi processi aziendali dell'organizzazione.
I rischi psicosociali riguardano il modo in cui è organizzato il lavoro, i fattori sociali sul lavoro e gli aspetti dell'ambiente di lavoro, le attrezzature e le attività pericolose. I rischi psicosociali possono essere presenti in tutte le organizzazioni, in tutti i settori e in tutti i tipi di attività lavorative, attrezzature e modalità di lavoro.
Cox e Griffith (1995) descrivono i rischi psicosociali come “quegli elementi legati alla progettazione del lavoro, all’organizzazione e gestione del lavoro, nonché ai rispettivi contesti ambientali e sociali, che possono potenzialmente arrecare danni fisici o psicologici”
Secondo l’EU-OSHA (2014) i rischi psicosociali rappresentano gli effetti negativi in termini psicologici, fisici e sociali derivanti da una gestione inadeguata di aspetti rilevanti dell’organizzazione e dei contesti di lavoro, come ad esempio:
Tra i rischi lavoro correlati, ricoprono un ruolo sempre più importante quelli psicosociali, legati principalmente a modalità inadeguate di progettazione, organizzazione del lavoro e di gestione delle risorse umane. Alcune definizioni riportate nella letteratura specialistica internazionale possono aiutare a comprenderne la specifica natura.
Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO, 1986) si definiscono “ rischi psicosociali” quei rischi che sono generati da “una interazione sfavorevole tra contenuto del lavoro, gestione, organizzazione del lavoro, condizioni ambientali e organizzative rispetto alle competenze e alle esigenze dei lavoratori”.
Anticipando alcuni contenuti, che troveremo più nel dettaglio nei paragrafi successivi, riportiamo alcune definizioni di rischi psicosociali elaborate dall'ISO (International Organization for Standardization) contenute nel documento redatto dal Comitato Tecnico ISO/TC 283. Sono quei rischi che riguardano sia la salute e la sicurezza psicologiche, sia la salute, la sicurezza e il benessere sul lavoro in senso più ampio. Ai rischi psicosociali sono anche associati i costi economici per le organizzazioni e la società.
Inoltre: I rischi psicosociali possono verificarsi in combinazione tra loro e possono influenzare ed essere influenzati da altri rischi. Il rischio psicosociale si riferisce al potenziale di questi tipi di rischi di causare diversi tipi di esiti sulla salute, sicurezza e benessere individuali e sulle prestazioni organizzative e sostenibilità. È importante che i rischi psicosociali siano gestiti in modo coerente con altri rischi per la SSL, attraverso un sistema di gestione per la SSL, e integrati nei più ampi processi aziendali dell'organizzazione.
I rischi psicosociali riguardano il modo in cui è organizzato il lavoro, i fattori sociali sul lavoro e gli aspetti dell'ambiente di lavoro, le attrezzature e le attività pericolose. I rischi psicosociali possono essere presenti in tutte le organizzazioni, in tutti i settori e in tutti i tipi di attività lavorative, attrezzature e modalità di lavoro.
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Cox e Griffith (1995) descrivono i rischi psicosociali come “quegli elementi legati alla progettazione del lavoro, all’organizzazione e gestione del lavoro, nonché ai rispettivi contesti ambientali e sociali, che possono potenzialmente arrecare danni fisici o psicologici”
Secondo l’EU-OSHA (2014) i rischi psicosociali rappresentano gli effetti negativi in termini psicologici, fisici e sociali derivanti da una gestione inadeguata di aspetti rilevanti dell’organizzazione e dei contesti di lavoro, come ad esempio:
-carichi di lavoro eccessivi
-mancanza di chiarezza sui ruoli con conseguenti richieste contrastanti
-poco coinvolgimento o scarso potere d’influenza nei processi decisionali
-insufficiente gestione dei cambiamenti organizzativi
-precarietà
-comunicazione scarsa e/o inefficace
-mancanza di sostegno da parte dei colleghi o dei superiori
-molestie psicologiche e sessuali, violenza da parte di terzi.
Dalle definizioni riportate si evince la complessità e la genesi eterogenea del fenomeno, talvolta mirato agli effetti, talvolta ai fattori causali o a quelli di mediazione; comunque tale da richiedere un approccio multidisciplinare integrato, e che possa trovare una sintesi efficace in un’ampia prospettiva che comprenda tutti i saperi specialistici presenti in essa.
Un contesto di lavoro che presenta elementi di rischio chiama in causa, quindi, sia elementi organizzativi che sociali, facendo emergere la complessità della definizione di rischio psicosociale, ancor più se consideriamo quanto la pandemia abbia cambiato gli scenari socioeconomici e quale impatto notevole abbia avuto sulle condizioni di benessere nei luoghi di lavoro.
Nell’ottobre 2021, nel corso di uno specifico seminario, l’Istituto Sindacale Europeo ha affrontato proprio il tema dell'aumento dei rischi psicosociali durante la crisi del Covid-19. In particolare, sembra che la pandemia abbia messo in luce le disuguaglianze e aggravato i rischi esistenti, al punto che si è ritenuto necessario sollecitare una direttiva dell'UE, affinché la materia venisse affrontata come una questione di carattere generale a livello europeo. Da uno studio dell'OCSE ed Eurofound sulla salute mentale durante la pandemia è emerso che nel 2020 essa è peggiorata in tutti i paesi dell'OCSE; tra i principali disturbi vi sono l’ansia e la depressione, seguono il burnout, l’insonnia, l’affaticamento psicofisico e i sintomi da stress post-traumatico. In particolare, sembra che la pandemia abbia messo in luce le disuguaglianze e aggravato i rischi esistenti, al punto che si è ritenuto necessario sollecitare una direttiva dell'UE, affinché la materia venisse affrontata come una questione di carattere generale a livello europeo.
I lavoratori del settore sanitario e dell'assistenza sociale sono stati tra i gruppi professionali più esposti ai rischi psicosociali, proprio per una combinazione sfavorevole di fattori organizzativi, gestionali, sociali ed economici. Hanno contribuito all'aumento dei rischi l’iniziale carenza di dispositivi di protezione individuale, il pesante carico di lavoro e di responsabilità – considerato anche la natura dell’impegno lavorativo legato all’assistenza e alla cura – e gli orari di lavoro prolungati e turni irregolari.
Altro tema importante nell’ambito dei rischi psicosociali nei luoghi di lavoro riguarda il fenomeno delle violenze e delle molestie, alle quali le donne sono maggiormente esposte. Da un'indagine condotta da UNI Europa è emerso che le donne sono le più fortemente colpite dalla violenza sia sessuale, sia economica, considerando i loro salari più bassi e le loro forme di lavoro più precarie. In generale, il rischio di esposizione alle molestie sessuali è superiore alla media per le donne di età compresa tra i 18 e i 29 anni e tra i 30 e i 39 anni. Più di una donna su tre (38 %), di età compresa tra 18 e 29 anni, ha subito almeno una forma di molestia sessuale nei 12 mesi precedenti l’intervista, così come quasi una donna su quattro (24 %) di età compresa tra 30 e 39 anni.
Da fonte Istat, sono un milione 404 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Rappresentano l’8,9% per cento delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione. Nei tre anni precedenti all’indagine, ovvero fra il 2013 e il 2016, hanno subito questi episodi oltre 425 mila donne (il 2,7%).
Si ipotizza che tale problema abbia a che fare con i contesti lavorativi e con culture in cui si collude direttamente o in modo drammaticamente inconsapevole con i comportamenti abusanti. Se un fenomeno si presenta mediante ripetuti eventi, difficilmente può essere definito come semplice effetto di una sommatoria di tanti episodi isolati, che prescindono dal contesto.
Il contesto organizzativo, la sua cultura ed i fattori che lo compongono sono parte del fenomeno stesso.
Inoltre, dato il numero crescente di segnalazioni da parte delle vittime, emerge un quadro preoccupante riguardante i maggiori rischi di violenza domestica durante la pandemia di COVID-19: è molto probabile che un numero considerevole di donne che lavorano a distanza abbiano subito e subiscano violenza domestica.
Lavorare a distanza durante la pandemia ha reso, per di più, ancora più difficile denunciare e cercare aiuto per le violenze domestiche subite dal partner, (soprattutto se la vittima non è in grado di uscire di casa per recarsi al lavoro o svolgere altre attività di routine).
L'articolo è tratto da:
Ordine degli psicologi del Lazio - Rischi psicosociali nei luoghi di lavoro: quali obiettivi per le organizzazioni e quali prospettive d’intervento per la psicologia del lavoro - Isabella Corradini, Shalom Addari, Franco Amore, Elisa Corsa, Luigia Cusano, Roberto Domanico, Sara Giorgi, Roberto Ibba, Gaetana Pennacchio, Giulia Tunzi. (pdf)
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