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Riflessioni sui fattori di benessere e malessere nei luoghi di lavoro

Riflessioni sui fattori di benessere e malessere nei luoghi di lavoro

Autore:

Categoria: Rischio psicosociale e stress

19/07/2022

La seconda parte della presentazione di una tesi di laurea sugli ambienti di lavoro basati sui risultati come fattore di malessere e benessere. Le caratteristiche di un ambiente di lavoro basato sui risultati. A cura di Massimo Piovano.

 

Per favorire la riflessione su nuove strategie nella prevenzione la Fondazione AiFOS ha indetto il “ Premio tesi di laurea nell’ambito della salute e sicurezza sul lavoro e sostenibilità”, un Premio di cui PuntoSicuro è mediapartner.

 

In un precedente articolo abbiamo presentato, attraverso un contributo dello stesso autore Massimo Piovano, la tesi “Ambienti di lavoro basati sui risultati come fattore di malessere e benessere” (Università degli Studi di Torino - Dipartimento Culture, Politica e Società - Laurea Magistrale in Sociologia) premiata nel 2021.

 

Nella prima parte della presentazione sono state presentare le caratteristiche degli “ambienti di lavoro basati sui risultati” e si è parlato dei parla dei luoghi di lavoro come “oceani rossi” o “oceani blu”.

Questa seconda parte si sofferma sui principi di un ambiente di lavoro basato sui risultati e su alcune specifiche esperienze aziendali.

 

Attraverso il link finale è possibile visualizzare liberamente l’intera tesi.


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Ambienti di lavoro basati sui risultati come fattore di malessere e benessere – Seconda parte

 

I pilastri di un Ambiente di lavoro basato sui risultati

Utopia o realtà?

Bibliografia di riferimento

 

I pilastri di un Ambiente di lavoro basato sui risultati

I pilastri su cui si fonda un Ambiente di lavoro basato sui risultati sono: focalizzarsi sui risultati raggiunti e non sul tempo trascorso al lavoro; assumersi le proprie responsabilità; considerare il lavoro non un posto dove si va, ma qualcosa che si fa; lasciare completa autonomia al lavoratore di lavorare come meglio crede; considerare tutte le riunioni come facoltative.

 

Un Ambiente di lavoro basato sui risultati rappresenta una sfida non solo per i lavoratori, ma soprattutto per i dirigenti. Essi devono, infatti, guidare piuttosto che comandare.

 

Giunti a questo punto è opportuno chiedersi quali siano gli ostacoli che impediscono la piena realizzazione di un Ambiente di lavoro basato sui risultati. Un impedimento è quello relativo alla cultura del “Fango” ovvero l’abitudine che un po’ tutti hanno di criticare, giudicare e infangare il prossimo. Per implementare un Ambiente di lavoro basato sui risultati la strada è quella di imparare a non infangarsi vicendevolmente e per farlo bisogna ragionare, ancora una volta, sulle attività svolte e i risultati raggiunti. Il resto sono solo chiacchiere inutili.

 

Un altro elemento deleterio è quella che abbiamo chiamato “cultura del sospetto”, ovvero quella mentalità nella quale non ci si fida di nessuno. La chiave per passare da un oceano rosso a un oceano blu e lavorare in un Ambiente di lavoro basato sui risultati è la fiducia. Per fare questo è indispensabile trattare le persone da adulti responsabili e non come bambini da controllare.

 

Un Ambiente di lavoro basato sui risultati non si applica dalla sera al mattino. Richiede un cambiamento adattivo. Un cambiamento culturale che metta al centro la persona, i risultati che consegue e lasci in ombra altri elementi meno importanti come, ad esempio, il tempo e il luogo dove si lavora. Per esempio, l’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 ha imposto di applicare lo smart working. Le persone si sono perciò trovate, a loro insaputa, catapultate nel più grande esperimento di lavoro a distanza mai attuato né in Italia né nel resto del mondo. Afferma De Masi: «siamo stati dinnanzi al più grande role playing della storia del lavoro, un sociodramma e uno psicodramma complessivo, mondiale, globale che ha coinvolto, quasi simultaneamente, l’intero pianeta in una prova generale di antitaylorismo. Pochissimi l’avevano preparato con riflessioni frammentarie e sperimentazioni parziali sicché l’esperimento è iniziato di corsa, alla cieca, senza un paradigma teorico di riferimento» (De Masi 2020, p. 352). Una cosa è certa, il mondo del lavoro, anche quando cesserà questa emergenza sanitaria, non sarà più lo stesso. Le conseguenze psicologiche, sociali ed economiche sono ancora tutte da analizzare.

 

È bene precisare che il ROWE non significa assenza di regole o anarchia. Al contrario, questo metodo presuppone regole chiare, precise e condivise. È una sfida non solo per i lavoratori, ma soprattutto per i dirigenti che devono guidare piuttosto che comandare.

 

Utopia o realtà?

L’Ambiente di lavoro basato sui risultati non è solo teoria perché ha, come abbiamo già avuto modo di dire, un caso studio aziendale concreto. Si tratta del colosso americano Best Buy: il più grande rivenditore al dettaglio di elettronica al consumo che ha più di mille punti vendita dislocati per il mondo, circa 3.500 dipendenti. In questa realtà lavorativa, non si è semplicemente abolito l'obbligo di rispettare un orario e un luogo di lavoro, quanto piuttosto i concetti stessi di luogo e orario di lavoro. Ogni dipendente, infatti, ha i suoi compiti da svolgere, i suoi obiettivi da raggiungere, i suoi target da conseguire, i suoi indici di produttività da rispettare, ma l’azienda non è interessata a sapere se questi compiti saranno svolti alla sera, al pomeriggio, al mattino o in ufficio, a casa oppure in un parco pubblico. Quello che alla Best Buy interessa è che ciascun lavoratore esegua i suoi compiti con diligenza e che consegua i risultati concordati con i propri superiori nei tempi previsti.

 

Le ricerche che sono state effettuate presso la Best Buy dai sociologi del centro per il lavoro flessibile e il benessere dell’Università del Minnesota, facenti capo a Erin Kelly e Phyllis Moen, sono una riprova di quanto asserito. I risultati di queste analisi sono, infatti, molto incoraggianti poiché hanno messo a confronto due gruppi di lavoratori, ovvero coloro che avevano aderito al ROWE (Result-Only Work Enviroment) e chi non lo aveva ancora fatto (pre-ROWE) per un periodo longitudinale di sei mesi.

 

Sintetizzando questi dati, possiamo dire che l’Ambiente di lavoro basato sui risultati:

  1. ha ridotto il conflitto lavoro-famiglia facendo sì che nessuno (né uomini né donne) dovesse rinunciare al lavoro (opting out) per dedicarsi alla famiglia;
  2. ha contribuito a bilanciare i tempi di vita (life course-fit), non solo tra le donne o le madri, ma tra tutti i lavoratori indipendentemente dall’età e dal lavoro svolto;
  3. ha diminuito il turnover: un buon terzo di chi aveva aderito al ROWE era felice e motivato a lavorare alla Best Buy e non aveva intenzione di cambiare azienda;
  4. ha migliorato il benessere e la salute dei lavoratori in termini di ore di sonno; chi aveva aderito al ROWE dormiva di più rispetto a chi non lo aveva ancora fatto;
  5. ha permesso ai lavoratori di svolgere più attività fisica e di dedicarsi con maggiore cura al proprio corpo;
  6. c’era più probabilità di andare dal proprio medico curante in caso di malattia.

 

Ma i benefici non hanno riguardato solo i lavoratori, ma anche la stessa azienda che ha ridotto l’assenteismo, aumentato la produttività, migliorato il clima aziendale, ridotto i conflitti interpersonali; accresciuto la motivazione, la soddisfazione e soprattutto l’attaccamento verso l’azienda.

 

Analizzando in profondità queste ricerche ho però evidenziato che esistono in questo modello lavorativo punti di attenzione che meritano una sottolineatura. In particolare, ne ho evidenziati tre.

 

  1. Parcellizzazione del lavoro e circolarità delle conoscenze. Il passaggio della conoscenza, il flusso delle idee, la creatività non può prescindere dalla socializzazione informale che avviene tra colleghi e capi. Per esempio, come fa notare Alex Pentland (2014) nel suo libro dedicato alla “fisica sociale”, molte idee passano, ad esempio, tra le macchine del caffè o in sala mensa piuttosto che tra gli uffici. Non è la stessa cosa lavorare da casa o in azienda oppure in spazi condivisi come quelli del coworking. A questo proposito, però, abbiamo anche detto che lavorare in un Ambiente di lavoro basato sui risultati non significa necessariamente lavorare da casa come è avvenuto in questi mesi di pandemia con lo smart working. Lavorare con il ROWE significa che ciascuno è libero di lavorare dove, come, quando e come meglio crede. Per questo motivo l’Ambiente di lavoro basato sui risultati vuole mettere in discussione la retorica della socializzazione, secondo la quale i lavoratori sono obbligati a incontrarsi, relazionarsi e a parlarsi per otto ore al giorno per cinque giorni alla settimana con colleghi o capi con i quali spesso non si ha voglia di interagire. Con il ROWE non si vuole però mettere fine al lavoro di gruppo o alla socialità, ma piuttosto si vuole cercare di mitigare i rapporti sociali scontati e obbligati.
  2. L’auto-organizzazione del lavoro. Questo è possibile quando le persone sono in grado di auto-organizzarsi: creando ambienti nei quali si minimizzano le distrazioni, sapendo gestire i tempi e le attività con competenza. Questo ci porta a fare due considerazioni. La prima è relativa alla formazione. Le aziende, a mio avviso, non possono avere la pretesa che tutti i loro dipendenti siano ugualmente abili a lavorare per risultati. Per questo motivo, ho sottolineato l’importanza di offrire al lavoratore non solo un addestramento sull’uso delle tecnologie, ma anche una formazione trasversale utile a sviluppare in ciascuna risorsa il proprio sapere, saper fare e saper essere. La seconda considerazione riguarda il ruolo dei manager. A questo proposito, la vera sfida per attuare un Ambiente di lavoro basato sui risultati non è tanto tra i lavoratori, ma tra i manager, che dovranno saper comunicare con precisione quali sono i risultati attesi, motivare, sostenere e riprendere quando invece le situazioni si complicano. Anche in questo caso, il ROWE vuole mettere in dubbio un’altra retorica, quella della flessibilità e dell’autonomia, parole al vento e difficilmente attuabili (Maggi 2017), questo perché per praticarle non ci dovrebbero essere regole organizzative, il che sarebbe non auspicabile. Lavorare in un Ambiente di lavoro basato sui risultati, al contrario, non significa anarchia o assenza di regole. Ad esempio alla Best Buy il controllo sul lavoro c’è. Tutti i lavoratori hanno obiettivi chiari, precisi ed espliciti, concordati con il proprio capo e resi compatibili con quelli degli altri colleghi e degli altri settori dell’azienda. E sulla base di questi, e solo su questi, si viene valutati e conseguentemente premiati o puniti. In sostanza, alla base di un Ambiente di lavoro basato sui risultati c’è la fiducia reciproca, consapevoli del fatto che non ci sono più scuse, perché ciascun lavoratore è messo di fronte alle proprie capacità e alle proprie responsabilità.
  3. Un tempo per il lavoro e un tempo per la famiglia. Molti critici puntano il dito sul fatto che in un Ambiente di lavoro basato sui risultati, invece di liberare il lavoratore, lo si incateni ancora di più non consentendogli un distacco tra vita privata e lavoro, dal momento che nel mondo del lavoro attuale bisogna essere sempre connessi. La verità è che anche in questo caso siamo di fronte a un’altra retorica, quella relativa alla conciliazione tra lavoro e famiglia che l’Ambiente di lavoro basato sui risultati vuole mettere ancora una volta in discussione, perché di fatto il vantaggio implicito di questo sistema è enorme, incalcolabile: la libertà. Gestire sia il lavoro sia la propria vita privata non ha prezzo. Andare al parco con i propri figli, aiutarli nei compiti, cucinare, andare a fare la spesa, riprendere a studiare, essere d’aiuto ai propri genitori anziani e così via sono tutti aspetti che con questo metodo di lavoro sono conciliabili e attuabili.

 

In definitiva, l’Ambiente di lavoro basato sui risultati non vuole essere una panacea al malessere lavorativo, ma un’opportunità per ridare al lavoro e al lavoratore quelle connotazioni che si stanno sempre più perdendo: utilità e dignità.

 

Bibliografia di riferimento

  • Avallone F., Bonaretti M. (2003), Benessere organizzativo. Per migliorare la qualità del lavoro nelle amministrazioni pubbliche, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ).
  • Cetrulo A., Guarascio D., Virgillito M.E., Il privilegio del lavoro da casa al tempo del distanziamento sociale, 15 aprile 2020, https://www.eticaeconomia.it
  • De Masi D. (2020), Smart working. La rivoluzione del lavoro intelligente, Marsilio, Venezia
  • Goffman (1959), La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna
  • Maggi B. (2017), Smart working, le false promesse in Smart working: una prospettiva critica, a cura di Neri M., Bologna, TAO Digital Library, 2017, pp. 62-68.
  • Kim C. W., Mauborgne R. (2005), Strategia oceano blu. Vincere senza competere, Etas, Milano
  • Ressler C., Thompson J. (2008), Perché il lavoro fa schifo e come migliorarlo Elliot, Roma
  • Moen P., Kelly E., Hill. (2011), Does Enhancing Work-Time Control and Flexibility Reduce Turnover? A Naturally Occurring Experiment, in “Social Problems 58 (1)”, pp. 69-98.
  • Moen P., Kelly E., Tranby E., Huang Q. (2011), Changing Work, Changing Health: Can Real Work-Time Flexibility Promote Health Behaviors and Well-Being?, in “Journal of Health and Social Behaviors 52 (4)”, pp. 404-429.
  • Pentland A. (2014), Fisica sociale, Università Bocconi Editore, Milano
  • Piovano M. (2010), Basta rodersi il fegato, Anteprima, Torino

 

 

 

- fine della seconda e ultima parte –

 

 

Link alla prima parte della presentazione della tesi.

 

 

 

Massimo Piovano

 

 

 

 

Scarica la tesi di laurea:

Ambienti di lavoro basati sui risultati come fattore di malessere e benessere”, Università degli Studi di Torino - Dipartimento Culture, Politica e Società - Laurea Magistrale in Sociologia – Tesi di laurea: “Ambienti di lavoro basati sui risultati come fattore di malessere e benessere” – Relatore Prof. Luca Storti – Laureando Massimo Piovano - Anno accademico 2019 – 2020 (formato PDF, 4.99 MB)

 


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