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Le caratteristiche individuali nella genesi dello stress lavoro correlato

Le caratteristiche individuali nella genesi dello stress lavoro correlato
Massimo Servadio

Autore: Massimo Servadio

Categoria: Rischio psicosociale e stress

17/03/2015

Il ruolo delle caratteristiche individuali nel processo che porta all’insorgenza dello stress occupazionale.: caratteristiche demografiche e disposizionali. A cura di Massimo Servadio.

Le caratteristiche individuali nella genesi dello stress lavoro correlato

Il ruolo delle caratteristiche individuali nel processo che porta all’insorgenza dello stress occupazionale.: caratteristiche demografiche e disposizionali. A cura di Massimo Servadio.

 
Più volte è stato posto l’accento sul ruolo dei fattori di rischio psicosociale nella genesi dello stress lavoro-correlato che, come è noto, possono essere riconducibili al contesto o al contenuto dell’attività lavorativa. Nonostante tali fattori svolgano senza ombra di dubbio il ruolo principale di agenti causali, anche le caratteristiche individuali possono esercitare un effetto non trascurabile nel processo che porta all’insorgenza dello stress occupazionale. In prima battuta è possibile differenziare le caratteristiche demografiche (incluse quelle etniche e culturali) da quelle disposizionali, le quali sono ritenute tratti relativamente stabili della personalità. Queste ultime, a loro volta, possono essere differenziate in “fattori di vulnerabilità” e “fattori protettivi”, a seconda del ruolo che rivestono rispetto al possibile esito positivo o negativo nell’interfaccia con gli stressors legati al luogo di lavoro e non solo. Nello specifico, le caratteristiche individuali possono essere concettualizzate come fattori in grado di mediare la relazione tra stressors ed esiti di strain.
 

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Per quanto concerne le “caratteristiche demografiche”, è bene non sottovalutare il peso delle seguenti:
- “Genere biologico”: sembrano sussistere differenze di genere sostanziali per ciò che concerne alcuni esiti emotivi tipici dello stress; se le spiegazioni che tirano in ballo le differenze biologiche (ormonali e genetiche) non hanno avuto grandi riscontri, le spiegazioni disposizionali e dovute a fattori esterni sono molto più plausibili. Un fattore come la “doppia carriera” casa/azienda sperimentata dalla maggior parte delle donne potrebbe rivestire un ruolo importante nel determinare differenze di esito. Un modo per integrare la dimensione del genere nella valutazione dei fattori di rischio legati allo stress potrebbe quindi essere quello di valutare se vi siano differenze significative tra uomini e donne, nell’organizzazione valutata, per ciò che concerne l’esposizione ai fattori di rischio psicosociale considerati e se le condizioni di salute delle donne risultano significativamente peggiori di quelle degli uomini. Alla luce dei risultati emersi potranno essere progettati e condotti degli interventi preventivi ad hoc.
- “Età”: nonostante la maggiore attenzione rivolta alle condizioni di lavoro e di salute delle fasce di età più estreme, per ciò che riguarda gli esiti psicologici del processo dello stress si evidenzia come siano i lavoratori di mezza età quelli che riportano le condizioni peggiori (Warr, 2007).
- “Caratteristiche etniche e culturali”: nel nostro Paese i lavoratori immigrati sembrano essere esposti a condizioni di lavoro più sfavorevoli. Lavoro a turni, compiti monotoni e fisicamente impegnativi, orario di lavoro più lungo, remunerazione più bassa, relazioni interpersonali sul lavoro peggiori, lavoro in nero, sono tutti fattori che potrebbero acuire la vulnerabilità.
 
In relazione invece alle “caratteristiche disposizionali” potenzialmente in grado di incrementare la vulnerabilità dell’individuo:
- “Comportamento di tipo A”: a elevati livelli, il comportamento di tipo A, caratterizzato da ambizione, competitività, spinta al successo, impazienza, aggressività, rabbia/ostilità, senso di urgenza del tempo, che si contrappone al comportamento di tipo B (affrontare la vita e gli impegni in maniera più rilassata, minore competitività, ambizione e ostilità), potrebbe concorrere ad una più probabile insorgenza di stress lavorativo.
- “Overcommitment e Workaholism”: la prima fa riferimento all’ipercoinvolgimento nel lavoro, la seconda alla dipendenza da esso. Nel workaholism, la persona rimane impegnata nell’attività lavorativa più di quanto richiesto o necessario, di conseguenza trascura altre sfere della vita. Inoltre è interessata da cognizioni e sentimenti quali ritenere di essere obbligata a lavorare, sentirsi colpevoli quando si prende del tempo libero.
- “Affettività negativa/nevroticismo”: individui con elevata affettività negativa potrebbero percepire la realtà esterna in maniera congruente con il tono del loro umore, “falsando” quindi la descrizione riportata dell’ambiente di lavoro; in sostanza sembrerebbero sovrastimare ed essere più suscettibili agli stressor e ai loro effetti.
 
Infine, è necessario porre l’accento sulle caratteristiche disposizionali che, al contrario, sono in grado di proteggere la persona:
- “Hardiness”: il termine indica una costellazione di caratteristiche di personalità che agisce come risorsa di resistenza individuale nei confronti di eventi di vita stressanti, nonché la motivazione a fronteggiare le situazioni stressanti; tali caratteristiche sono il commitment (in situazioni stressanti, rimanere coinvolti con l’ambiente circostante piuttosto che isolarsi), la percezione di controllo (percezione di poter influenzare a proprio vantaggio gli eventi esterni e non solo di subirli) e l’accettazione delle sfide (sfida come opportunità per crescere piuttosto che una minaccia).
- “ Resilienza”: simile alla hardiness, è la capacità di mostrarsi “flessibili” nelle proprie espressioni emotive in relazione al contesto, nel riuscire a stabilire in maniera adeguata quando è possibile perseverare e quando invece è il caso di rinunciare nel perseguimento di un obiettivo; riguarda inoltre un senso di controllo personale, la tendenza all’ottimismo, la propensione a vedere il lato positivo anche degli insuccessi e una certa stabilità emotiva.
 
E’ una caratteristica, quest’ultima, rispetto alla quale l’organizzazione può essere in grado di agire direttamente attraverso interventi, per esempio, a carattere formativo che facilitino la crescita in questa direzione. Oltre a sviluppare un orientamento alla prevenzione e alla proattività, caratteristiche proprie dell’organizzazione resiliente, secondo questa prospettiva si potrebbe agire per migliorare le competenze relazionali, comunicative e comportamentali del lavoratore, lavorando sulle cosiddette “non-technical skills” o competenze non-tecniche. In ambito aziendale è dimostrato che il lavoratore resiliente gestisce e affronta lo stress in modo sano cercando di mettere in atto tutte le sue risorse personali.
 
Altri aspetti da tenere in considerazione relativamente alle variabili personali potrebbero essere le strategie di coping adottate dalla persona, l’alimentazione e la gestione del tempo (se il tempo diventa nemico, produce e rinforza lo stress in un circolo senza fine). In conclusione, come sottolineato da Fraccaroli e Balducci (2011), cercare di comprendere come agiscono le caratteristiche individuali nel processo dello stress non ha valenza solo teorica: permette infatti di individuare gruppi di lavoratori che potrebbero essere maggiormente vulnerabili in generale o relativamente a certi fattori di rischio, rendendo possibile l’elaborazione in maniera progressivamente più accurata e mirata delle strategie di prevenzione.
 
Massimo Servadio
Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni
 
Riferimenti bibliografici:
Fraccaroli, F., & Balducci, C. Stress e rischi psicosociali nelle organizzazioni. Bologna: Il Mulino.
Sarchielli, G. Psicologia del lavoro. Bologna: Il Mulino.
Warr, P. B. Work, Happiness, and Unhappiness. New York: Routledge



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