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Ambienti di lavoro basati sui risultati come fattore di malessere e benessere

Ambienti di lavoro basati sui risultati come fattore di malessere e benessere

Autore:

Categoria: Rischio psicosociale e stress

07/07/2022

La prima parte della presentazione di una tesi di laurea sugli ambienti di lavoro basati sui risultati come fattore di malessere e benessere. I luoghi di lavoro come universo composto di oceani rossi e oceani blu. A cura di Massimo Piovano.

 

 

Per favorire la riflessione su nuove strategie nella prevenzione la Fondazione AiFOS ha indetto il “ Premio tesi di laurea nell’ambito della salute e sicurezza sul lavoro e sostenibilità”, un Premio di cui PuntoSicuro è mediapartner.

 

Per gli studenti premiati è possibile raccontare sul nostro giornale i loro lavori e oggi pubblichiamo la presentazione, che abbiamo diviso in due parti, della tesi “Ambienti di lavoro basati sui risultati come fattore di malessere e benessere” (Università degli Studi di Torino - Dipartimento Culture, Politica e Società - Laurea Magistrale in Sociologia). La tesi, scritta e presentata da Massimo Piovano, è stata premiata nel premiata nel 2021.

 

La tesi presenta le caratteristiche degli “ambienti di lavoro basati sui risultati”. Questi ambienti sono fonte di malessere o benessere per i lavoratori?

 

Nella prima parte la presentazione si sofferma su alcuni studi che parlano dei luoghi di lavoro come un universo composto da due tipi di oceani: gli “oceani rossi” e gli “oceani blu”, oceani basati su regole molto diverse. La seconda parte si soffermerà sui pilastri e i principi di un ambiente di lavoro basato sui risultati e su alcune specifiche esperienze aziendali.

 

Attraverso il link finale è possibile visualizzare liberamente l’intera tesi.

 



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Ambienti di lavoro basati sui risultati come fattore di malessere e benessere - Prima parte

 

Oceani rossi e oceani blu

Linguaggio da oceano rosso

Convinzioni da oceano rosso

Miti da oceano rosso

Dagli oceani rossi agli oceani blu

 

Un Ambiente di lavoro basato sui risultati è fonte di malessere o benessere per chi vi lavora? Questa è la domanda alla quale la mia tesi di Laurea Magistrale in Sociologia ha voluto rispondere.

Cosa si intende esattamente per Ambiente di lavoro basato sui risultati? Si tratta della traduzione italiana dell’acronimo ROWE (Results-Only Work Environment), strategia di gestione del lavoro sviluppata intorno al 2001 da Cali Ressler e Jody Thompson che ha come fine ultimo quello di lavorare senza orari e luoghi stabiliti dal management, in un ambiente collaborativo dove i colleghi e la dirigenza non controllano le attività o i tempi dedicati ad esse, ma i risultati raggiunti.

 

Nell’Ambiente di lavoro basato sui risultati i lavoratori continuano a svolgere sempre le stesse attività: parlare al telefono, lavorare al computer, leggere e inviare email, relazionarsi con i colleghi, superiori, incontrare clienti, scambiarsi idee, ma con una filosofia diversa volta a lasciare libero il lavoratore di organizzarsi, come e dove meglio crede. Anche se il ROWE non può essere applicato a tutti i settori d’attività, per molte professioni creative o impiegatizie può essere utilizzato. Secondo i ricercatori Amanda Cetrulo, Dario Guarascio e Maria Enrica Virgilitto (2020), circa 6,7 milioni di lavoratori italiani potrebbero lavorare con queste modalità.

 

L’Ambiente di lavoro basato sui risultati non è però sinonimo di telelavoro, orario flessibile o di smart working e questo perché non è sufficiente fornire ai lavoratori la tecnologia necessaria per lavorare da casa, se poi si chiede loro di rispettare un orario di lavoro e si esercita un controllo costante sulle attività svolte.

 

L’Ambiente di lavoro basato sui risultati non è pura fantasia o utopia, ma una realtà concreta applicata, ormai, da molte aziende, anche in Italia. In particolare, mi sono soffermato su un preciso caso aziendale di successo: Best Buy, il più grande rivenditore al dettaglio di elettronica di consumo negli Stati Uniti e tra le 500 compagnie di Fortune. Nello specifico, mi sono focalizzato sulle ricerche svolte da un’équipe di sociologi del centro per il lavoro flessibile e il benessere dell’Università del Minnesota, facenti capo a Erin Kelly e Phyllis Moen. I risultati sono molto incoraggianti, come avrò modo di documentare in questo articolo, anche se non mancano le criticità.

 

Quali sono le ragioni che mi hanno spinto a scrivere questa tesi? Le motivazioni che mi hanno spinto a occuparmi di questo tema di ricerca derivano, principalmente, dalla mia attività professionale e dai miei studi precedenti sulle Scienze della Comunicazione. Sono, infatti, giornalista pubblicista, RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione) e formatore sulla Salute e Sicurezza sui Luoghi di Lavoro da oltre vent’anni. In questi anni, dedicati a diffondere una cultura della sicurezza tra i lavoratori, i preposti, i dirigenti e i datori di lavoro, mi sono spesso imbattuto in ambienti di lavoro differenti e con stili organizzativi diversi (stabilimenti industriali, medie e piccole realtà produttive, enti pubblici, ecc.). Nonostante le diversità, ho potuto constatare un denominatore comune tra i miei partecipanti ai corsi: il desiderio di lavorare in un contesto sicuro e salutare. Dove per “salute” si intende «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o infermità» (OMS). Studi e ricerche sulle organizzazioni hanno dimostrato che le strutture più efficienti sono quelle con dipendenti soddisfatti, con un clima lavorativo sereno e partecipativo. La motivazione, la collaborazione, il coinvolgimento, la corretta circolazione delle informazioni, la flessibilità, il dialogo, il rispetto, la fiducia, l’autonomia sono indicatori di benessere. Al contrario, sono indici di malessere lo stress, l’assenteismo, il disinteresse per il lavoro, il desiderio di cambiare lavoro, la confusione organizzativa in termini di ruoli, compiti e così via (Avallone, Bonaretti 2003). In pratica essere in salute, in un contesto lavorativo, significa non solo non contrarre malattie professionali, ma stare bene sotto tutti i punti di vista: a livello fisico, mentale e sociale. Un obiettivo ambizioso, al quale nella realtà dei fatti non sempre si tende, come avrò modo di documentare nelle prossime pagine.

 

Oceani rossi e oceani blu

Pensiamo, per un momento, ai luoghi di lavoro come un universo composto da due tipi di oceani: gli oceani rossi e gli oceani blu (Kim e Mauborgne 2005). Gli oceani rossi rappresentano tutti i settori di lavoro oggi esistenti sia privati sia pubblici, nei quali si rispettano le stesse regole lavorative. Negli oceani rossi, infatti, i contratti di lavoro si basano principalmente su un orario di lavoro giornaliero e settimanale prestabilito; un luogo fisico dove recarsi al lavoro; permessi, ferie e riposi stabiliti; una retribuzione commisurata alla quantità e qualità del lavoro svolto; una organizzazione più o meno rigida del lavoro, ecc. Negli oceani rossi vivono numerosi “squali”, pronti a tutto pur di avanzare nella propria carriera, compiacere i superiori e i clienti. In questi contesti la maggior parte dei lavoratori lotta, giornalmente, per aggiudicarsi qualche soddisfazione e avere più autonomia in ciò che svolge.

 

Gli oceani blu denotano, invece, tutti quei luoghi di lavoro in cui si sono cambiate da cima a fondo le regole del gioco. Negli oceani blu non vengono proposti nuovi modi di lavorare, ma di vivere. Anche se i lavoratori devono alla loro Azienda il meglio delle loro capacità, non necessariamente devono sacrificare il loro tempo o la loro vita. Negli oceani blu, in pratica, i lavoratori si sentono, generalmente, più soddisfatti, gratificati e valorizzati.

 

Per passare da un oceano rosso a un oceano blu, la chiave è quella di disegnare una nuova curva di valore che rappresenta la colonna portante di questa strategia. Attraverso il framework delle quattro azioni vedremo nello specifico come è possibile creare, anche per il mercato del lavoro, un oceano blu nel quale sia più bello e sano lavorare. Prima, però, è bene conoscere più a fondo l’oceano rosso incominciando dal suo linguaggio e dalla sua mentalità.

 

Linguaggio da oceano rosso

Riconosciamo un oceano rosso dal suo linguaggio intriso di parole a valenza suggestiva negativa. In questi casi il lavoro è descritto come fatica, sforzo, sudore, battaglia, guerra, lotta. La maggior parte della vita, però, è una realtà interdipendente, non indipendente. La maggior parte dei risultati dipende dalla cooperazione tra le persone. Il lavoro non deve necessariamente essere un campo di battaglia dove solo pochi vincono e altri perdono. Il lavoro potrebbe essere anche un luogo dove tutti trovano un equilibrio, un contesto favorevole, uno scopo.

 

Convinzioni da oceano rosso

Quelle che seguono sono alcune convinzioni limitanti che riguardano il lavoro, da oceano rosso, che perdurano nella mente di molti imprenditori, manager, dirigenti pubblici e anche tra molti lavoratori e lavoratrici.

  • Gran parte del lavoro si esegue dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 18.
  • Solo chi è in ufficio lavora sul serio.
  • Chi porta avanti le proprie attività da casa non sta davvero lavorando, perché il vero lavoro si fa seduti nel proprio ufficio.
  • Chi porta avanti le proprie attività da casa sfrutta l’azienda perché invece di lavorare può fare altro: cucinare, fare le pulizie, guardarsi la tivù, leggere il giornale, ecc.
  • I risultati sono direttamente proporzionali agli sforzi.
  • Chi più lavora più merita.
  • Le riunioni sono fondamentali.
  • È importante incontrarsi faccia a faccia con i propri colleghi o superiori.
  • Se si consente al dipendente di controllare il proprio orario di lavoro, questi se ne approfitterà.
  • I dirigenti o i quadri non possono lavorare da casa perché non riuscirebbero a controllare i propri collaboratori.

 

Non esistono convinzioni buone o cattive, ma credenze limitanti o potenzianti. Sono depotenzianti tutte quelle che limitano le persone e le organizzazioni. Sono potenzianti quelle che, al contrario, infondono energia, motivazione e creatività per lavorare meglio e con meno patema d’animo.

 

Per passare da un oceano rosso a un oceano blu, la strada è quella di incominciare a dubitare di queste convinzioni limitanti e a porsi delle domande sulla loro validità. Per esempio, possiamo chiederci:

  • Non ci sono eccezioni a queste credenze?
  • In un’economia dell’informazione e dei servizi come è quella attuale, hanno ancora senso questi presupposti?
  • Queste convinzioni non sono forse residui di un’epoca nella quale si lavorava in un certo modo perché non c’erano alternative?

 

Miti da oceano rosso

Esistono dei falsi miti che caratterizzano gli oceani rossi. Uno di questi è il mito del tempo. Secondo questo paradigma i lavoratori sono remunerati per il tempo trascorso sul luogo di lavoro e per i risultati che eventualmente conseguono. In pratica, la stragrande maggioranza dei lavoratori è tenuta a portare a termine i propri compiti, ma allo stesso tempo a trascorrere un determinato tempo all’interno del proprio luogo di lavoro. Oggi, però, questo falso mito è obsoleto, perché per molte professioni, più che il tempo trascorso, contano molto di più i risultati che si ottengono o non ottengono.

 

Un altro mito da oceano rosso è il presenzialismo ovvero il vezzo di essere sempre presenti al lavoro anche quando non ci si sente bene e dovremmo stare a casa a riposarci. Purtroppo il presenzialismo è tanto diffuso e, per alcune realtà lavorative, anche molto apprezzato perché è sinonimo di impegno, professionalità e attaccamento aziendale. Anche in questo caso, presenzialismo non è sinonimo di lavoro efficace.

        

Abbiamo poi il mito del controllo secondo il quale il lavoro è disciplina, rigore, ordine. I lavoratori si devono recare in Azienda non per giocare ma per lavorare. Le Aziende non si possono permettere fannulloni o furbetti. Per questo bisogna che chi di dovere vigili e controlli. D’altra parte anche la Legge ricorda che: «Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale. Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende» (art. 2104 C.C.). Sappiamo che nella realtà i manager non possono controllare sempre tutti i loro subordinati. Tuttavia, il mito del comando è cruciale per la stessa sopravvivenza dell’organizzazione che opera in un oceano rosso.

 

Un altro mito che è ho affrontato ha riguardato quello del comando. A questo proposito, Goffman (1959) descrive il rituale del dare ordini come una rappresentazione teatrale nella quale entrambe le parti conoscono e recitano la loro parte. Infine, abbiamo evidenziato il mito delle riunioni. Esse non sono sempre utili e produttive. Anzi, alcune indagini hanno rilevato che molte riunioni sono un vero e proprio spreco di tempo e di denaro. Perché allora persiste il mito delle riunioni? Il problema non è la riunione in sé, ma i preconcetti che essa nasconde, ovvero che l’atto stesso di riunirsi sia anche una forma di lavoro. Se porta a qualcosa di concreto è lavoro. Se invece non produce nulla, è una perdita di tempo e di denaro.

 

Dagli oceani rossi agli oceani blu

Per creare un oceano blu Kim e Mauborgne (2005) suggeriscono di rispondere a quattro domande fondamentali che sfidano la logica tradizionale consentendo di modificare lo status quo. Sono domande molto potenti perché stimolano la creatività e suggeriscono nuove prospettive per lavorare in un’ottica di maggiore soddisfazione e benessere. Queste domande invitano a: 1) eliminare i fattori che il mercato del lavoro dà per scontati; 2) ridurre quei fattori che non danno valore aggiunto; 3) creare quei fattori che non sono mai stati offerti nel lavoro; 4) aumentare quei fattori che creano valore aggiunto.

 

Tabella 1 - Il framework delle quattro azioni applicato all’Ambiente di lavoro basato sui risultati (ROWE).

 

 

Ho applicato il framework all’Ambiente di lavoro basato sui risultati e sono riuscito a tracciare una curva diversa da tutte le altre. Questa curva è stata la prova che è possibile, anche per il lavoro, uscire dalle acque agitare degli oceani rossi per navigare in acque più quiete come quelle degli oceani blu.

 

Figura 1 – La nuova curva di valore dell’oceano blu.

 

 

 

- fine della prima parte –

 

 

 

Massimo Piovano

 

 

 

 

Scarica la tesi di laurea:

Ambienti di lavoro basati sui risultati come fattore di malessere e benessere”, Università degli Studi di Torino - Dipartimento Culture, Politica e Società - Laurea Magistrale in Sociologia – Tesi di laurea: “Ambienti di lavoro basati sui risultati come fattore di malessere e benessere” – Relatore Prof. Luca Storti – Laureando Massimo Piovano - Anno accademico 2019 – 2020 (formato PDF, 4.99 MB)

 


 

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