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Caldaie a metano: lo stato dell’arte e la sicurezza

Caldaie a metano: lo stato dell’arte e la sicurezza

Autore: Mario Abate

Categoria: Rischio esplosione, Atex

23/07/2019

La trasformazione a gas metano degli impianti termici centralizzati ha permesso di sanare molte situazioni relative alla sicurezza impiantistica e antincendio delle centrali termiche a gasolio. Ma la strada è ancora lunga.

 

Come noto la diffusione su larga scala della metanizzazione degli impianti termici centralizzati nelle zone di Milano e provincia ha avuto inizio nei primi anni ’80. In quegli anni il combustibile normalmente utilizzato era il gasolio, mentre negli edifici caratterizzati da grandi potenze termiche installate sopravvivevano ancora impianti alimentati a olio combustibile nelle sue varie versioni; dapprima tal quale, poi desolforizzato, poi emulsionato sino a vedere la fine del suo utilizzo a seguito delle disposizioni emanate da Regione Lombardia e finalizzate a contenere l’inquinamento atmosferico.

 

Oggi il metano rappresenta il combustibile di gran lunga prevalente nell’impiego per impianti termici centralizzati mentre avanzano, d’altra parte, i sistemi di teleriscaldamento.

Nonostante le volontà politiche di bandire il gasolio e nonostante la consistente differenza di prezzo tra i due combustibili, il gasolio viene ancora utilizzato in un numero apprezzabile di impianti centralizzati cittadini.

 

Le cause prevalenti della mancata conversione a gas metano degli impianti sono sostanzialmente tre.

 

La prima è dovuta alla presenza di edifici, soprattutto nel centro città, dove non è tecnicamente possibile installare caldaie a gas nel rispetto delle norme di prevenzione incendi; in genere si tratta di edifici che hanno progetti antincendio approvati per impianti a gasolio con riferimento alle norme transitorie risalenti a decine di anni addietro e che non sarebbe facile, per oggettiva mancanza di condizioni di sicurezza, trasformare a gas.

 

La seconda motivazione è che negli stabili caratterizzati da unicità della proprietà e dove gli appartamenti vengono dati in affitto non esiste un immediato interesse verso la trasformazione a gas, caratterizzata da sostanziali costi di manutenzione straordinaria a carico, evidentemente, della proprietà.

In tale circostanza infatti i benefici economici derivanti dal minor costo del combustibile andrebbero a beneficio degli affittuari inquilini mentre gli ingenti costi delle trasformazioni a gas metano rimarrebbero in carico ai proprietari. Tale dicotomia fa sì che nessuno si preoccupi neanche di ipotizzare, nelle suddette circostanze, un cambio del combustibile.

 

La terza motivazione è dovuta al fatto che nei variopinti ambiti assembleari condominiali aleggia e permane, in misura ben maggiore rispetto a quanto si potrebbe ragionevolmente ipotizzare, una notevole paura dell’eventuale “scoppio” che potrebbe originare da una caldaia alimentata a gas.



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Pur tuttavia, nonostante le circostanze rappresentate, gli impianti termici centralizzati alimentati a gas metano rappresentano la stragrande maggioranza; la maggior parte di questi è stata realizzata mediante una conversione di un precedente impianto alimentato da combustibile liquido a gassoso. Tali interventi di trasformazione hanno visto il loro apice, orientativamente, dal 1985 al 2005, per poi lentamente calare in relazione all’ovvia saturazione degli edifici già convertiti al nuovo combustibile.

Le trasformazioni sono state quindi realizzate in parte con riferimento al disposto della previgente circolare n. 68 del 1969 e in parte con riferimento alle prescrizioni del più recente DM 12.04.1996.

 

Amministratori di condominio, progettisti antincendio, progettisti termotecnici, installatori e manutentori si sono ritrovati a gravitare, quali attori principali, attorno a questa tipologia di interventi.

Personaggi che avevano interessi non completamente coincidenti, non sempre adeguatamente preparati (soprattutto nella fase delle prime trasformazioni a gas metano), hanno talvolta originato difformità ripetute nei confronti delle norme di prevenzione incendi.

 

Le osservazioni di seguito riportate rappresentano una fotografia dello stato dell’arte con riferimento situazioni anomale rilevabili.

 

Un primo aspetto riguarda i contatori del gas che oggi sono in genere installati sui limiti di proprietà, sempre tassativamente all’aperto o in nicchie aerate; nei primi anni delle trasformazioni a gas i contatori venivano installati spesso in posizioni espressamente richieste dal condominio e se ne possono rinvenire entro locali disimpegno, intercapedini o spazi chiusi. La conformità di tali alloggiamenti è assai dubbia così come l’accessibilità e, soprattutto, la presenza di adeguate ventilazioni atte a scongiurare accumuli di gas in caso di perdita accidentale. Sebbene tali installazioni siano numericamente limitate possono costituire un pericolo di notevole entità.

 

Per quanto attiene alle linee di collegamento tra contatore gas e centrale termica esiste un vero e proprio “campionario” degli orrori.

Una difformità frequente consiste nell’attraversamento di ambiti di autorimesse da parte delle condotte del gas; tale passaggio è spesso realizzato in modo non protetto e in alcuni casi soggetto alla rischio di urti meccanici da parte dei veicoli in manovra.

 

Altre frequenti irregolarità sono riferite alle tubazioni interrate. Tali tubazioni si presentano a volte prive di rivestimenti protettivi, prive di giunti dielettrici, nonché posate a quote di interramento irrilevanti dal punto di vista della necessaria protezione. A volte si possono riscontrare tubazioni in materiale plastico con tratti a vista e le cui condizioni di stabilità sono del tutto precarie.

Da non sottovalutare poi gli innumerevoli punti di “sfiato” delle tubazioni, generalmente posizionati in centrale termica e dotati di saracinesca a sfera priva di tappo filettato; in tali circostanze è sufficiente un urto da parte di un operatore per creare una vera e propria perdita di gas.

 

Infine, sempre con riferimento alle linee di alimentazione del combustibile, è da notare che mentre la norma richiede una saracinesca di intercettazione esterna al locale di installazione, ubicata in posizione perfettamente visibile, raggiungibile e segnalata, la valvola di intercettazione viene effettivamente prevista ma la stessa è spesso racchiusa in contenitori non accessibili se non con chiave.

Tale sistema di protezione, generalmente previsto per evitare atti vandalici o dispetti da parte di qualche condomino che possa chiudere il gas della centrale termica, rendono di fatto inservibili nell’emergenza tali dispositivi.

 

Passando ad altro aspetto è noto che la centrale termica e l’eventuale disimpegno devono costituire una scatola caratterizzata da idonea resistenza al fuoco. Orbene, l’inosservanza di questa prescrizione normativa chiaramente esemplificata dal DM 12.04.1996 è in assoluto la più frequente.

 

In particolare cavi elettrici e tubazioni fognarie sono tra i più comuni transiti impiantistici che inficiano le caratteristiche di compartimentazione e di resistenza al fuoco delle strutture perimetrali dei locali di installazione degli apparecchi termici.

A quanto sopra si somma la frequente presenza di fori e brecce eseguiti nel corso degli anni e mai ripristinati da nessuno.

Passando poi all’analisi delle strutture dei locali che ospitano gli impianti termici, si rileva sovente come queste presentino ferri di armatura persino affioranti e non protetti.

 

Un capitolo a parte compete agli infissi e porte tagliafuoco, per le quali si rilevano installazioni a dir poco “ingegnose”. Infatti in alcuni casi su brecce di porte precedenti vengono proposti i telai di nuove porte; a tale scopo si provvede a riempire gli spazi attorno alla nuova porta con tavelle o con qualche “cazzuolata” di cemento atta a creare una cortina la cui resistenza al fuoco esiste solo nella presunzione di chi la ha posata e che certamente, se interessata da un incendio, farebbe immediatamente crollare dai cardini la stessa porta.

Occorre poi rilevare che in alcuni interrati, anche a causa degli ambienti generalmente umidi, le porte tagliafuoco sono soggette a corrosione perdendo la loro caratteristica di resistenza.

 

Non si può non ricordare poi, per opportuno dovere di cronaca, quel tecnico antincendio che alla segnalazione certificata d’inizio attività ai fini antincendio di un edificio civile ha allegato, qualche mese addietro, le dichiarazioni di corretta posa in opera dell’installatore che sottoscriveva di avere reso “tagliafuoco” alcune porte in legno del condominio (nota bene: porte in legno) mediante la posa in opera di idonea (a suo dire) vernice. Il tutto ripreso, confermato e garantito da modello DICH PROD correttamente compilato e sottoscritto dal tecnico suddetto.

 

In merito ai dispositivi di auto-chiusura delle porte resistenti al fuoco, si rileva che questi non sempre vengono quasi correttamente registrati; più spesso le porte tagliafuoco sono tenute aperte mediante secchi, scope, estintori o anche cunei idoneamente predisposti, garantendo in tal modo la completa vanificazione di ogni possibilità di reale protezione dei locali.

 

Passando poi alla cartellonistica di sicurezza si rileva che i cartelli segnaletici, per lo più installati in sede di realizzazione degli impianti, non sono nel tempo successivo oggetto di attenzione. Col passare degli anni in parte cadono perché fissati con silicone su intonaci non coerenti, mentre altre volte si scolorano rendendo del tutto inefficace la loro posa in opera.

 

Ulteriori difformità sono poi attribuibili alla progettazione. Le criticità maggiormente frequenti sono relative alla definizione degli “spazi a cielo libero” e alla scarsa considerazione rivolta agli aggetti esistenti.

Si rileva spesso che cortili segnalati in ambito progettuale quali “spazi a cielo libero” sono nella realtà sostanzialmente dei cavedi angusti per nulla rispettosi delle dimensioni minime richieste dalle norme.

 

Per quanto attiene gli aggetti invece, può accadere che gli stessi non siano segnalati negli elaborati progettuali; tale circostanza può determinare criticità sostanziali in sede di verifica, responsabilità dirette per il progettista e/o l’asseveratore “distratto” e nei casi più critici sostanziali difficoltà di messa a norma successiva dell’impianto.

 

Un capitolo a parte compete certamente gli impianti termici centralizzati con potenza superiore ai 35 kW ma inferiore a 116 kW i quali, almeno sino all’avvento dei controlli cartacei post-contatore, sono stati in mano al libero arbitrio degli installatori. In tale ambito si riscontrano varie anomalie in quanto tali installazioni non sono oggetto di autorizzazione da parte dei vigili del fuoco e in molti casi non sono mai stati oggetto di controlli.

Si riscontrano pertanto accessi improponibili, ventilazioni sottodimensionate, assenza di compartimentazione, linee gas dai percorsi quanto meno arditi. Di fatto, ma con molta lentezza, anche la situazione relativa a questa fascia di potenzialità degli impianti a gas si sta normalizzando, grazie ai controlli effettuati dagli enti preposti che iniziano a verificare le non conformità e a emanare ordinanze di adeguamento.

 

Si può concludere pertanto che la trasformazione a gas metano degli impianti termici centralizzati ha concretizzato l’occasione per sanare tante precedenti situazioni in cui vecchie centrali termiche a gasolio versavano in situazioni limite dal punto di vista della sicurezza impiantistica e antincendio.

Ciononostante su alcuni aspetti la strada è ancora lunga, in particolare con riferimento alla corretta manutenzione, al “mantenimento in essere” delle condizioni di sicurezza e alla progressiva correzione di errori più o meno gravi d’installazione commessi nel passato.

 

È auspicabile che l’intensificarsi delle azioni di controllo non solo dei VVF ma anche da parte degli enti locali (Comuni oltre i 40.000 abitanti e Province per la parte restante del territorio) possano dare luogo ad un progressivo e costante miglioramento delle situazioni rilevate.

La buona notizia, per concludere, consiste nel fatto che le trasformazioni realizzate negli ultimi anni presentano raramente criticità o difformità, grazie evidentemente a un generalizzato aumento delle competenze professionali degli addetti ai lavori.

 

 

Mario Abate

Dirigente vicario - Comando VVF Milano



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Rispondi Autore: Pesce Pietro - likes: 0
22/01/2022 (10:23:49)
stiamo installando una caldaia condominiale a gas metano in un condominio. Il condominio ha 10 alloggi tra cui, alcune seconde case abitate pochi mesi all'anno. Ho chiesto all'amministratore ed al tecnico incaricato del controllo dell'installazione, chiarimenti tecnici sui dispositivi che saranno installati per la sicurezza dell'impianto. Mi hanno solo risposto che "sarà a norma". Premetto che il locale caldaia è ubicato proprio sotto il fabbricato: semiinterrato. Il locale ospitava in precedenza una caldaia a gasolio. Come la vedo io . Spero che nell'interno del locale venga installato un rilevatore di fughe di gas. Questo dispositivo dovrebbe attivare un allarme sonoro in caso di fughe. Cosa dovrebbe succedere allora ? Dovrebbe correre qualcuno, di buona volontà, a chiudere manualmente una valvola intercettazione gas ed un interruttore della corrente ubicati esternamente al locale. Se non ci fosse nessuno in casa ? Se chi fosse in casa arrivasse dopo cinque o dieci minuti ? Nel frattempo potrebbe scoppiare tutto. Le norme vigenti, prevedono che , al rilevamento della fuga di gas, ci sia un blocco automatico di corrente elettrica e gas e che l'allarme cessi solo quando si sia intervenuti anche manualmente ? Questo, a mio parere sarebbe l'unico modo per avere il massimo di sicurezza.
A parte pertanto il mio pensiero, cosa effettivamente devo aspettarmi per giudicare l'impianto in accordo colle norme vigenti, e per stare tranquillo ? Grazie per un cortese riscontro.

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