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Il rischio silicotigeno nella lavorazione dei marmi tecnici
In relazione ai rischi correlati all’esposizione al rischio silicotigeno nella lavorazione dei marmi tecnici, riportiamo un approfondimento pubblicato sulla Newsletter dell’Inca CGIL - Numero 36/2015.
Il rischio silicotigeno nella lavorazione dei marmi tecnici
Una indagine presentata nell’ambito di un convegno realizzato dalla SNOP ci permette di ritornare sul tema del rischio silicotigeno nella lavorazione dei marmi tecnici.
L’intervento dello S.Pre.Sal di Asti è scaturito da una prima segnalazione di sospetta malattia professionale silicosi di un lavoratore dipendente. A cui faceva seguito una seconda segnalazione relativa ad un caso di silicosi-sarcoidosi.
I due casi riguardavano una ditta che svolgeva la lavorazione di agglomerati a base di quarzo per la realizzazione di top (cucine, bagni) e rivestimenti di arredo.
Gli agglomerati utilizzati erano prodotti da diverse aziende, sia italiane che straniere.
Le lavorazioni si effettuavano in un unico capannone i cui reparti (legno, materiali lapidei, confezionamento) non presentavano alcuna separazione fisica.
Le lavorazioni delle lastre con utilizzo di frese a ponte, pantografi e utensili elettrici portatili (flessibili, trapani ecc.) comprende le seguenti fase:
1) Taglio;
2) Fresatura;
3) Bordatura;
4) Lucidatura
Il protocollo sanitario dell’azienda non prevedeva l’esame radiografico del torace e inoltre, la ditta non ha mai pagato il premio assicurativo INAIL per il rischio silicosi.
Gran parte delle lavorazioni avvenivano a seco ed in assenza di idonei sistemi di aspirazione generalizzata e localizzata.
Nel corso del sopralluogo venivano rilevate nell’ambiente di lavoro polveri diffuse oltre alla presenza di sfridi pulverulenti.
Il DVR aziendale risultava carente nella identificazione delle tipologie di polveri inalabili in relazione alle lavorazioni effettuate. Risultavano sottostimati i livelli di esposizione utilizzati per il calcolo delle fasce di rischio. Non veniva preso in considerazione quanto citato nella scheda di sicurezza degli agglomerati in quarzo utilizzati, in merito ai rischio evidenziati, ai sistemi per l’abbattimento delle polveri e alle protezioni individuali per i lavoratori (DPI in classe FFP3) Nella scheda di sicurezza di detti materiali viene infatti riportato che “il produttore raccomanda di svolgere lavorazioni e installazioni del prodotto con metodi a umido. La povere prodotta nei processi di lavorazione contiene silice (SiC2)”ed anche: “una esposizione prolungata alle polveri derivante da operazioni di taglio e lavorazione senza l’utilizzo di adeguati sistemi di protezione può causare gravi problemi di salute, comprese pneumoconiosi come la silicosi, oltre al peggioramento di altre malattie polmonari (bronchite, enfisema, ecc.)”.
Al termine delle prescrizioni sono state adottate nuove modalità operative con tecnologia ad umido e sono quindi stati determinate sia le poveri respirabili che la silice libera cristallina nella frazione respirabile.
I dati hanno dimostrato un netto miglioramento del l’esposizione a silice libera cristallina con valori cha variavano da 0,006 a 0,018 mg/m3, valori compresi fra il 20 ed il 70% del limite (TLV-TWA ACGIH 0,025 mg/m3).
La realizzazione di un campionamento ambientale con prelievo in postazione fissa, ha evidenziato il permanere di una elevata diffusione di silice libera cristallina , pari al 36% del TLV (0.009 mg/m3).
Gli autori dell’indagine concludono che “le tecnologie operative ad umido hanno abbattuto notevolmente il rischio espositivo per gli addetti. Si ribadisce comunque che il tipo di lavorazione è potenzialmente a rischio in quanto la materia prima in lavorazione contiene silice libera cristallina al 70-90%, sostanza caratterizzata da una elevata pericolosità”.
“ Newsletter medico-legale n. 36/2015” a cura di Marco Bottazzi della Consulenza legale Inca-Cgil (formato PDF, 141 kB).
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