Bioaerosol nei luoghi di lavoro: come determinare la componente batterica?
Roma, 5 Mar – È evidente che in questa fase di attenzione massima verso i rischi biologici correlati alla diffusione del nuovo coronavirus, è utile approfondire, più in generale, le problematiche correlate, nei luoghi di lavoro, all’esposizione a bioaerosol, cioè a quel complesso di particelle solide sospese nell'aria provenienti da organismi biologici.
La caratterizzazione delle componenti del bioaerosol è “oggetto di crescente interesse nella comunità scientifica, soprattutto per gli effetti che tali componenti hanno sulla salute umana: infezioni, asma, allergie e altre malattie delle vie respiratorie”. E i rischi sono influenzati “non solo dalla capacità di penetrazione dell’aerosol nel sistema respiratorio, ma anche dalla sua composizione e dalla sua attività biologica”. Inoltre “per poter valutare correttamente l’esposizione di tali lavoratori, è necessario campionare e caratterizzare il bioaerosol tramite idonee tecniche di misura”.
A ricordarlo è la presentazione di un recente documento realizzato dal Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici (DIT) dell’Inail, dal titolo “Procedura sperimentale per la determinazione della componente batterica del materiale particolato”; un documento che propone un metodo analitico per la determinazione di batteri e spore aerodisperse tramite due indicatori chimici.
Questi gli argomenti affrontati nell’articolo:
- Normativa e indicazioni sui metodi di monitoraggio
- La presenza e i rischi dei bioaerosol negli ambienti di lavoro
- L’indice del documento
Normativa e indicazioni sui metodi di monitoraggio
Nel documento Inail, a cura di Donatella Pomata, Patrizia Di Filippo e Carmela Riccardi (Inail, DIT), Francesca Buiarelli, Giulia Simonetti e Federica Castellani (Università degli Studi di Roma "La Sapienza" - Dipartimento di Chimica), si segnala che sono diverse le norme tecniche UNI [UNI EN ISO 14698-1:2004, UNI EN ISO 14698-2:2004, UNI 11108:2004, UNI EN 13098:2019, UNI CEN/TS 16115-1:2011, UNI EN 14031:2005] che “riportano i principi generali e i metodi per il controllo della biocontaminazione e la valutazione e interpretazione dei dati nell’ambiente e nei luoghi di lavoro”.
E in genere “tali metodi prevedono la coltivazione su piastra e la successiva conta al microscopio del numero delle colonie cellulari cresciute sulla superficie del terreno utilizzato, le cosiddette Unità Formanti Colonia (Colony Forming Unit, CFU). Il livello di biocontaminazione è espresso in termini di CFU per m3 di aria oppure per cm2 di superficie. Tale metodo, tuttavia, presenta errori dovuti all’accuratezza del conteggio stesso, all’incertezza dell’identificazione delle colonie e alla presenza di anomalie di crescita [Di Filippo et al. 2017]”.
Si indica poi che il campionamento dell’aerosol batterico “può essere eseguito sia collezionando le particelle aerodisperse in mezzi o supporti destinati alla coltivazione, sia raccogliendo il particolato su membrane filtranti. Mentre nel primo caso vengono rivelati solo i microrganismi vitali, quando il bioaerosol viene raccolto su filtri è possibile determinare sia batteri vitali che non vitali, a seconda del metodo di analisi utilizzato. Poiché l’aerosol biologico può causare effetti avversi sulla salute umana indipendentemente dalla vitalità [Wady et al., 2004], al fine di determinare il contenuto totale di bioaerosol in atmosfera, l’analisi può essere eseguita sia mediante tecniche di biologia molecolare che mediante l’uso di biomarker chimici [Di Filippo et al., 2003; Buiarelli et al., 2013; Buiarelli et al., 2013; Di Filippo et al., 2014; Blais- Lecours 2015; Perrino et al., 2016]. In quest’ultimo caso, le concentrazioni di opportuni indicatori chimici, ottenute dopo estrazione da campioni di particelle e successiva determinazione analitica, possono essere trasformate, mediante fattori di conversione, in bioaerosol specifico [Pietrogrande et al., 2013]”.
In mancanza di metodi di monitoraggio standardizzati “e allo scopo di dare un’informazione quantitativa della componente batterica totale (viable e non viable, coltivabile e non coltivabile) dispersa nell’aria, il presente lavoro propone una procedura analitica per la determinazione quantitativa della componente batterica aerodispersa, applicabile sia agli ambienti outdoor che indoor”. E a tale scopo è stato ottimizzato “un metodo di estrazione ed analisi, da campioni di materiale particolato, di due biomarker chimici: acido muramico e acido dipicolinico come indicatori, rispettivamente, di batteri e spore batteriche aerodispersi”.
La presenza e i rischi dei bioaerosol negli ambienti di lavoro
La pubblicazione ricorda che il bioaerosol è composto da “microrganismi come virus, batteri, funghi, spore e da frammenti di materiali biologici come pollini, peli di animali, detriti di pelle, escrementi e residui vegetali [Di Filippo et al. 2016]”. E una componente importante del bioaerosol è rappresentata dalle “specie batteriche che per le loro caratteristiche di permanenza in atmosfera ed interazione con l’uomo e gli animali costituiscono un rischio per la salute”: “problemi respiratori, danni polmonari, allergie e cefalea sono soltanto alcuni dei potenziali danni che l’esposizione ad ambienti contaminati da batteri potrebbe provocare sull’uomo”.
Quali sono le attività più a rischio?
Si segnala che sono numerose le realtà lavorative in cui si può avere esposizione ad agenti biologici, “ad esempio negli impianti di riciclaggio dei rifiuti, nelle attività di compostaggio dei rifiuti organici, nelle aziende zootecniche, agricole e biotecnologiche produttrici di enzimi altamente purificati, nelle industrie alimentari e di detergenti che fanno uso di enzimi, nelle aziende per la lavorazione delle pelli ecc.”.
In questi ambienti gli agenti microbiologici presenti nell’aria “sono aerotrasportati sotto forma di bioaerosol, legati a polvere, particelle liquide o altri vettori naturalmente presenti (emulsioni oleose, polvere di legno ecc.), con conseguente rischio, per i lavoratori, di esposizione per via inalatoria, per contatto con superfici e oggetti contaminati o per ingestione”.
A livello normativo si ricorda poi che la prevenzione e la protezione dagli agenti biologici sono trattate nel titolo X del d.lgs. 81/2008 e successive modifiche (d.lgs. 106/09), che “però non fornisce valori di carica batterica o fungina a cui far riferimento per una idonea valutazione della qualità dell’aria negli ambienti di lavoro. Infatti, mancando metodi efficaci per misurare quantitativamente gli agenti biologici e non essendo disponibili sufficienti informazioni sulle relazioni dose-risposta, non sono ancora stati stabiliti limiti di esposizione [Douwes et al., 2003]”.
Riguardo alla componente batterica del bioaerosol e alle conseguenze sulla salute si indica che “irritazioni e infiammazioni delle vie aeree superiori, problemi respiratori e danni polmonari sono i maggiori effetti avversi causati dal bioaerosol e, nello specifico, dai batteri. Altri potenziali effetti sulla salute possono essere febbre, tosse, cefalea, malattie infettive, allergie, problemi cutanei, neurologici e cancro [Douwes et al. 2003]. In generale, l’azione infettiva e patogena è esercitata dai batteri viable, mentre i batteri non viable possono causare solo reazioni di tipo allergico e/o infiammatorio” (i batteri si possono differenziare in viable e non-viable a seconda se siano o non siano vitali).
Rimandiamo alla lettura del documento che si sofferma su tanti altri aspetti e in particolare sui biomarker chimici (“composti chimici non tossici che si è oggettivamente in grado di misurare e valutare” e che “possono essere utilizzati come indicatori di strutture più grandi e/o bioattive più complesse”) e sul metodo per l’analisi qualitativa e quantitativa dei due biomarker citati, in campioni di materiale particolato collezionati in ambienti outdoor e lavorativi. Un metodo sviluppato dal Laboratorio Sicurezza delle Attività di Produzione e degli Insediamenti Antropici del DIT che può essere “considerato uno strumento efficace per monitorare l’andamento e le variazioni delle concentrazioni di batteri e spore batteriche aerodisperse in diverse realtà lavorative, sia outdoor che indoor. I risultati così ottenuti possono fornire informazioni utili a ridurre l’esposizione dei lavoratori migliorando la salubrità dei luoghi di lavoro esaminati”.
L’indice del documento
Concludiamo riportando l’indice del documento del Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici:
PREMESSA
1. Introduzione
1.1 Bioaerosol negli ambienti di lavoro
1.2 Componente batterica del bioaerosol: cellule e spore batteriche
1.3 Biomarker chimici in studio
1.3.1 Acido Muramico
1.3.2 Acido Dipicolinico
2. Determinazione della componente batterica del bioaerosol
2.1 Metodo analitico per la determinazione della componente batterica aerodispersa
2.1.1 Estrazione e purificazione
2.1.2 Analisi in HPLC-ESI-MS/MS
2.2 Analisi Quantitativa
2.2.1 Curve di calibrazione in solvente e con il metodo delle aggiunte standard
2.2.2 Qualità del dato
2.3 Fattori di Conversione della quantità di biomarker in massa batterica
2.3.1 Cellule Batteriche
2.3.2 Spore Batteriche
2.4 Quantità di batteri e spore batteriche in campioni di materiale particolato
2.4.1 Campionamento
2.4.2 Risultati
3. CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA
Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:
Inail, Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici, “ Procedura sperimentale per la determinazione della componente batterica del materiale particolato”, a cura di Donatella Pomata, Patrizia Di Filippo e Carmela Riccardi (Inail, DIT), Francesca Buiarelli, Giulia Simonetti e Federica Castellani (Università degli Studi di Roma "La Sapienza" - Dipartimento di Chimica) - edizione 2020 (formato PDF, 10.75 MB).
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