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Un nuovo approccio per la gestione e pianificazione delle emergenze

Un nuovo approccio per la gestione e pianificazione delle emergenze
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Prevenzione incendi

22/12/2023

Perché è necessario un nuovo approccio nella gestione delle emergenze? Come realizzare una sicurezza inclusiva? Quali sono le novità normative rilevanti per la gestione delle emergenze? Ne parliamo con Stefano Zanut, vice dirigente VVF Pordenone.

Bologna, 22 Dic – Non c’è dubbio che in un mondo in cui le emergenze, anche in conseguenza dei mutamenti connessi al riscaldamento globale, sono sempre più diffuse, diventi importante saper creare degli efficaci piani di emergenza. Efficaci non solo dal punto di vista tecnico, ma anche psico-sociale, attraverso una visione e conoscenza del comportamento umano nelle condizioni di emergenza.

 

Proprio per parlarne, con riferimento ad una dimensione inclusiva dei piani e alle novità normative in materia di prevenzione incendi, abbiamo intervistato, ad Ambiente Lavoro 2023 a Bologna, Stefano Zanut, architetto e direttore vice dirigente dei Vigili del Fuoco presso il Comando di Pordenone. Stefano Zanut ha partecipato al convegno “Comportamento umano ed emergenza incendi: le variabili tecniche e psico-sociali da considerare nella progettazione di un piano di emergenza” (Bologna, 12 ottobre 2023) con una relazione dal titolo “Persone in emergenza: perché è necessario un nuovo approccio?”.

 

E riguardo a questo nuovo approccio Zanut nella nostra intervista ricorda che “il concetto dell'emergenza deve diventare cultura quotidiana. E nelle nostre abitazioni, così come negli ambienti di lavoro a scuola e cinema, per strada, nelle piazze, deve essere un elemento che ci guida nella quotidianità”. In particolare, pianificare l'emergenza, avere una cultura dell'emergenza non vuol dire solo avere un piano di emergenza, ma vuol dire avere una consapevolezza e una competenza che permetta di rispondere a eventi emergenziali”. E questo vale “nell'ambiente di lavoro perché il mio datore di lavoro ha fatto il piano, ma anche quando mi trovo per strada, nella piazza, a casa, perché ho acquisito una consapevolezza. Queste sono competenze che ogni cittadino deve acquisire e che dobbiamo imparare a gestire”. Competenze che, continua il relatore, sono necessarie anche in relazione alle emergenze e agli eventi connessi ai cambiamenti climatici. Eventi di cui parleremo anche nella prossima intervista, che pubblicheremo a gennaio, con Alessandra Marino (Dit, Inail) sulla prevenzione e gestione del rischio idrogeologico.

 

Queste le domande poste a Stefano Zanut sul tema della gestione e pianificazione delle emergenze:

 

È necessario un nuovo approccio nella pianificazione e gestione delle emergenze?

Il nuovo approccio riguarda anche la progettazione della sicurezza antincendio nel mondo del lavoro?

Lei accenna alla diffusione di luoghi comuni in materia di emergenze. Ci può fare qualche esempio?

Quali indicazioni e suggerimenti si possono dare relativamente al processo di evacuazione in caso d’incendio?

Come affrontare gli aspetti connessi alla presenza, anche nei luoghi di lavoro, di persone più vulnerabili?

Qual è la sua opinione delle novità normative relative alla gestione delle emergenze in ambito antincendi con riferimento al Decreto del Ministero dell'Interno del 2 settembre 2021?

Qual è, a suo parere, la qualità dei piani di emergenza elaborati in Italia? E cosa si dovrebbe fare per diffondere un nuovo approccio che tenga conto anche dei comportamenti umani e degli aspetti psicologici?

 

L’intervista si sofferma su vari argomenti:



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Come sempre diamo ai nostri lettori la possibilità di visualizzare integralmente l’intervista, realizzata l’11 ottobre 2023, e di leggerne una trascrizione parziale.

 

L’intervista di PuntoSicuro a Stefano Zanut

 

 

Un nuovo approccio per le emergenze: la sicurezza inclusiva

Nella sua relazione lei indica che uno degli aspetti sottostimati nella gestione dell’emergenza riguarda proprio il comportamento delle persone coinvolte. Aspetto che va considerato attentamente nella predisposizione dei piani e delle relative modalità di attuazione. Necessita un nuovo approccio?

 

Stefano Zanut: Sì, direi che è necessario un nuovo approccio.

Perché un nuovo approccio? Fondamentalmente, quando noi parliamo di emergenza, gli diamo un vestito molto tecnico. L'emergenza, specialmente l'emergenza incendio, è sempre stata trattata dai tecnici, gli ingegneri, gli architetti, i periti, i geometri, persone che in qualche modo sono formate per valutare questi temi. Hanno un loro linguaggio e hanno una loro lettura dei problemi.

In realtà, quando noi costruiamo la sicurezza di un sistema di un edificio, è come se lavorassimo come matrioske. L'elemento esterno è l'edificio, l'opera, con tutti gli impianti e le strutture, l'organizzazione ambientale. Poi c'è l'elemento interno che è come noi utilizziamo l'edificio, l'opera e quindi l'organizzazione dell'opera stessa, le strutture operative. Anche la formazione fa parte dell'utilizzo dell'opera. Anche la pianificazione fa parte dell'utilizzo dell'opera.

Però una volta che noi abbiamo realizzato queste due condizioni, rimane la terza. Rimangono le persone, che sono quelle che io definisco le “illustri sconosciute”. Perché molto spesso progettiamo pensando che le persone vadano a comportarsi, a fronte di un evento emergenziale, come lo pensiamo noi. Noi dovremmo innanzitutto capire e rappresentare cos'è un'emergenza. L'emergenza è una condizione che si verifica velocemente e in cui l'interazione tra le persone e l'ambiente si modifica; si modifica proprio in funzione della circostanza.

Quindi stiamo già ragionando in un contesto che non è quello per il quale abbiamo pianificato. Noi abbiamo pianificato una condizione in tempo di pace, immaginando che questa condizione si manifesti in un certo modo. Le persone quando sono al centro, hanno un comportamento che molto spesso noi non conosciamo. Non lo conosciamo perché la nostra formazione è prevalentemente una formazione tecnica; quindi, pensiamo che le persone rispondano quasi come macchine.

 

Da questo punto di vista, però, il mondo della prevenzione incendi, che è il mondo in cui lavoro, già si sta evolvendo, sta considerando questo tema.

Fino al 2015, quando progettavamo, ad esempio, un sistema d’esodo, lo progettavamo pensando che c'erano delle persone che erano rappresentate come un ellisse da 60 cm, quello che si chiamava il modulo di evacuazione, per 45 o 40 cm e queste persone si muovevano, erano degli elementi tecnici che non avevano emozioni, non avevano reazioni, erano cose informe che rappresentavamo in un certo modo.

Con lo sviluppo delle conoscenze su questi aspetti- che ha avuto un primo passo introducendo quella che noi chiamiamo Fire Safety Engineering, cioè la rappresentazione ingegneristica degli scenari di incendi - abbiamo scoperto che queste ellissi non erano capaci di rappresentare le persone. Ma non solo le persone fisiche, perché una persona obesa, ad esempio, non rientra in quelle condizioni o un bambino non rientra in quelle condizioni. Ma anche tutte le reazioni connesse alle persone. Quindi le emozioni, lo sguardo verso l'ambiente, l'interazione con l'ambiente. E l'interazione sviluppa capacità cognitive e capacità reattive, capacità sensoriali e così via. E allora considerare le persone, quando si verifica un’emergenza e pianificare per queste persone, che sono realtà complesse, diventava una condizione difficile.

 

Con il codice di prevenzione incendi abbiamo introdotto due concetti, tra le tante innovazioni che contiene il Codice.

Il primo è che il progetto deve essere inclusivo. Cosa vuol dire? Vuol dire che devo considerare la sicurezza di tutti. È questo il primo contributo tecnico. Quando io guardo il mondo per il progetto, devo pensare a chi c'è dentro. Tutte le persone che frequentano il mio ambiente devono essere considerate.

Il secondo elemento, a cui noi abbiamo associato il concetto di rischio vita, considera le persone in funzione della condizione in cui si trovano. Per esempio, persone sveglie che conoscono l'ambiente, persone che non sono sveglie che conoscono l'ambiente, oppure persone sveglie che non conoscono l'ambiente. Con questa categorizzazione abbiamo cercato, in qualche modo, di far capire che le persone si comportano in modi diversi in funzione delle condizioni in cui si trovano.

(…)

Allora la centralità della persona diventa strategica. Mi sono un po’ dilungato, mi rendo conto, ma fondamentalmente è questo il nuovo passo.

La prevenzione incendi sta andando in una direzione e per affrontare questo tema, però, bisogna pensare che il tecnico si deve mettere a dialogare con altre competenze. Con lo psicologo, col sociologo, con l'antropologo, … Così riusciamo a portare a casa una sicurezza che valga per tutti.

 

Un nuovo approccio per le emergenze: il mondo del lavoro e i luoghi comuni

Questo nuovo approccio immagino debba riguardare anche la progettazione della sicurezza antincendio nel mondo del lavoro?

S.Z.: Assolutamente sì. Riguarda tutti i mondi. Quando io pianifico un'emergenza in un ambiente di lavoro o in un cinema o in un ambiente domestico, vado a considerare gli stessi aspetti contestualizzandoli, ovviamente, in maniera diversa.

Nel mondo del lavoro, ad esempio, come in un ambiente domestico, c'è una condizione importante che è quella della conoscenza ambientale, per cui le persone si muovono in un contesto che conoscono bene, che frequentano quotidianamente.

Quando invece cominciano a muoversi in un contesto diverso, a loro non conosciuto, ovviamente la loro capacità di interagire con l'ambiente si modifica.

Ma anche in un ambiente di lavoro, però, in condizioni di emergenza, quando quella condizione si trasforma, bisogna vedere come la si vive.

E allora la letteratura ci restituisce tanti casi in cui le persone si trasformano, in certe condizioni. Dipende come stanno vivendo la situazione. Come sta vivendo la persona che a loro sta vicino. Come vivono la minaccia determinata dall'emergenza. (…

Come dicevo prima, quando noi progettiamo il piano, siamo in condizioni ordinarie, di tranquillità, di pace. Però dobbiamo pensare, considerando le persone che rispondono in emergenza. E l'emergenza, essendo una realtà complessa, con molte più variabili della condizione ordinaria, va pensata considerando come, a queste condizioni, le persone reagiscono.

 

Le parla nel suo intervento di un’ampia diffusione di vari luoghi comuni in materia di emergenze? Ci può fare qualche esempio?

 

S.Z.: Un luogo comune classico, una parola classica che usiamo è “panico”.

Quando noi vediamo che una situazione ci sfugge di mano, la classifichiamo come panico. Ed è un luogo comune, è quasi una difesa. Quando non abbiamo abbastanza strumenti per rappresentare una condizione, diciamo che è una cosa che sfugge dal controllo e gli diamo un nome. È un po’ come salvarci - uso un termine improprio, ma è abbastanza chiaro - la “coscienza”.

Negli studi della psicologia dell'emergenza si è visto che il panico, in realtà, è una condizione molto rara. Mentre nelle situazioni di emergenza si è visto che le persone, quando la loro sicurezza, la loro vita e delle persone vicine, viene messa a repentaglio, le persone reagiscono in modo proattivo, aiutando. Quindi non è vero che le persone vanno in panico.

Il panico molto spesso si introduce quando le persone non hanno sufficienti strumenti per affrontare la situazione complessa che è un'emergenza. E allora vogliamo incanalare questa condizione?

Beh, in emergenza, per esempio, dobbiamo dare molte istruzioni alle persone attraverso i sistemi d'allarme, attraverso la comunicazione, eccetera, … E queste condizioni possono intercettare il panico. Quindi direi che il primo luogo comune che mi sento di scalfire è proprio questo. Le persone non vengono coinvolte dal panico e quando succede la situazione è molto rara e molto complessa.

 

(…)

 

Un nuovo approccio per le emergenze: le indicazioni normative

Qual è la sua opinione delle novità normative relative alla gestione delle emergenze in ambito antincendi con riferimento al Decreto del Ministero dell'Interno del 2 settembre 2021?

S.Z.: Il decreto vive di rendita sull'esperienza acquisita col decreto 10 marzo 1998,. Siamo cresciuti tutti sull'onda del 10 Marzo 98, che già di per sé era una norma importante che dava tanti strumenti.

I decreti di settembre, quello sulle attrezzature, quello sulla gestione dell'emergenza e anche il cosiddetto mini codice, introducono nuovi aspetti, nuovi indirizzi.

 

In particolare il decreto del 2 settembre 2021 dice due cose importantissime.

Primo - che poi lo dice anche il codice e lo dice anche il decreto 81/08 - bisogna considerare le persone che sono presenti. E, conseguentemente, bisogna pensare che il piano di emergenza sia redatto in funzione delle specifiche necessità delle persone presenti.

Poi si dice un'altra cosa. In un punto si parla proprio di persone con disabilità, si parla di disabilità motorie, si parla di disabilità sensoriali, si parla di disabilità cognitive. Non è difficile incontrare, ad esempio, una persona con sindrome di Down in un ambiente di lavoro. (…) Oppure una persona con difficoltà alla vista, una persona cieca, una persona che non sente, persone con varie tipologie di disabilità. Devono essere considerate nel piano di emergenza. E da questo punto di vista il datore di lavoro - o il suo consulente, ovviamente - deve redigere il piano tenendo conto di questi aspetti.

 

Poi c'è una terza variabile che è molto interessante, secondo me, anche se sottostimata: i programmi formativi.

Il decreto 10 Marzo 98 stabilisce per gli addetti antincendio dei programmi formativi in funzione del profilo di rischio (primo, secondo e terzo livello) più o meno lunghi, legati al ruolo dell’addetto antincendio. Però il decreto del 2 settembre dice un'altra cosa, che quelli sono contenuti minimi. Cosa vuol dire? Vuol dire che se io vado a considerare le specifiche necessità di una persona, nel mio ambiente di lavoro, dovrò certo formare gli addetti alla gestione dell'emergenza sulla base di queste indicazioni, ma poi dovrò implementare il mio piano di emergenza e conseguentemente anche la formazione connessa con le specifiche esigenze che hanno le persone. E questa, secondo me, è una vera sfida che ci giocheremo nei prossimi anni. Perché il normatore lascia spazio al datore di lavoro, ai suoi consulenti, di ragionare su questo, ma definisce una premessa iniziale che va considerata: la sicurezza di tutti.

Lo dice l’81/08, lo dice il codice di prevenzione incendi e lo dice anche il decreto del 2 settembre e anche il 3 settembre 2021, il mini-codice, richiama questi concetti.

 

(…)

 

 

Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto

 

 

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