Riflessioni sulla salute e sicurezza nel mondo del lavoro che cambia
Urbino, 8 Gen – È evidente che le recenti trasformazioni del lavoro, specialmente in relazione alla transizione digitale in atto, richiedano continue riflessioni e approfondimenti sui nuovi rischi e sull’impatto sul sistema di prevenzione.
A questo proposito abbiamo pubblicato nelle scorse settimane un contributo di Michele Tiraboschi (professore ordinario di Diritto del lavoro presso l’Università di Modena e Reggio Emilia) pubblicato sul numero 1/2022 di “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista online dell'Osservatorio Olympus dell' Università degli Studi di Urbino. Un contributo che riproduce il testo di una sua relazione presentata al Festival Internazionale della Salute e Sicurezza sul Lavoro – La sfida della prevenzione partecipata (Urbino, 4-5-6 maggio 2022).
Sempre sullo stesso numero della rivista, nella parte destinata alle note e dibattiti, è stata pubblicato anche “Brevi considerazioni a proposito di salute e sicurezza nel mondo del lavoro che cambia”, un testo a cura di Chiara Lazzari (professoressa associata di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino Carlo Bo) che riproduce, con l’aggiunta di essenziali note bibliografiche, l’intervento ad una Tavola rotonda, svoltasi sempre nell’ambito del Festival Internazionale della Salute e Sicurezza sul Lavoro, con particolare riferimento alla relazione del Prof. Tiraboschi a cui abbiamo già fatto riferimento.
Ci soffermiamo oggi brevemente sul contributo di Chiara Lazzari e su alcune considerazioni dell’autrice con riferimento ai seguenti argomenti:
- La nuova centralità del lavoratore per un ambiente di lavoro sicuro
- L’importanza del modello di sviluppo socio-economico
- La centralità dell’organizzazione e il ruolo dei modelli organizzativi
La nuova centralità del lavoratore per un ambiente di lavoro sicuro
In particolare il testo di Chiara Lazzari si sofferma su quanto indicato da Michele Tiraboschi in relazione alla “fluidità di tempi e luoghi di lavoro, indotta dalla rivoluzione tecnologica e dalla transizione digitale”. In particolare Tiraboschi indicava che “la prestazione può ora – grazie alla diffusione di dispositivi con connessione internet – esser resa ovunque, in luoghi e tempi distanti da quelli tradizionali, consentendo di superare le logiche verticistiche e responsabilizzando il lavoratore, al quale viene ora chiesto di operare con maggiore autonomia all’interno della organizzazione produttiva”. E segnalava come “i concetti di organizzazione e di luogo di lavoro si siano progressivamente modificati sino a diventare fluidi. Sullo stesso piano sono allora da interpretare i rischi che travalicano sempre di più dall’azienda al territorio circostante”.
In relazione a quanto affermato Chiara Lazzari fa alcune riflessioni.
Si indica che il fatto che sempre più mansioni possano essere svolte al di fuori delle tradizionali coordinate spazio-temporali della prestazione, e che ciò possa “determinare un ampliamento delle dimensioni di autonomia e responsabilità individuali”, non può “non riflettersi anche sulla materia della salute e sicurezza”. Insomma nel quadro tracciato da Michele Tiraboschi il tema del ruolo del lavoratore è destinato ad acquisire nuova centralità, un lavoratore che è “attore consapevole e fattivo nella costruzione di un ambiente di lavoro sicuro”.
E la giurisprudenza più recente “sottolinea il passaggio normativo, pienamente compiutosi con il d.lgs. n. 81/2008, ‘da un modello “iperprotettivo’, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro…, ad un modello ‘collaborativo’ in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori” (nel documento sono indicate varie sentenze della Cassazione che affrontano questo punto).
Tuttavia con questo l’autrice non intende alleggerire le responsabilità datoriali in materia, “quanto a valorizzare il principio di autoresponsabilità del lavoratore di cui parla la giurisprudenza”, da cui consegue che “il datore di lavoro, una volta che ha adempiuto tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, a partire da quelle d’informazione e formazione, non sarebbe più gravato di un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, obbligo del resto difficilmente attuabile – se concepito nei termini di una sorveglianza ininterrotta, pressante e senza soluzione di continuità – in contesti lavorativi per l’appunto fluidi”.
L’importanza del modello di sviluppo socio-economico
Si indica poi che la fluidità indicata da Michele Tiraboschi “determina anche una sorta di permeabilità fra organizzazione produttiva e ambiente esterno”, che si collega alla “nozione di salute accolta dal d.lgs. n. 81/2008, quale ‘stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità’ (art. 2, comma 1, lett. o)”. Una definizione che evoca “una condizione di equilibrio armonico del soggetto rispetto all’ambiente – inteso in senso lato, ossia non solo come ambiente di lavoro, ma altresì di vita – nel quale egli si trova inserito”. Nella definizione “sembra inverarsi un’idea di circolarità della salute che implica un approccio integrato e olistico al tema”.
E in questo senso, come affermato anche dal Prof. Tiraboschi, “la soluzione ai problemi della salute e sicurezza sul lavoro” non può essere individuata “soltanto nell’organizzazione”.
A questo proposito si fa l’esempio dei rischi psicosociali e si ricorda che l’Agenzia Europea EU-OSHA nella tassonomia di detti rischi colloca al primo posto la precarietà dei contratti. Ed è evidente che “il sistema organizzato della prevenzione, dopo il d.lgs. n. 81/2008 inscindibilmente connesso all’organizzazione del lavoro in senso stretto e a quella aziendale nel suo complesso, non può farsi carico da solo di risolvere la problematica, perché qui sono evocate, a monte, le opzioni di valore compiute dal decisore politico in materia di lavoro”.
Insomma – continua l’autrice - la tutela della salute e sicurezza sul lavoro “non è solo questione di corretta applicazione del d.lgs. n. 81/2008, ma, ferma restando la centralità di questa disciplina, ad essere chiamato in causa è, più in generale, il modello di sviluppo socio-economico che vogliamo promuovere. Un modello che, se mira a garantire una crescita socialmente sostenibile e inclusiva, non può non mettere al centro la dignità della persona che lavora e i suoi diritti fondamentali”.
La centralità dell’organizzazione e il ruolo dei modelli organizzativi
Passando al diverso piano delle responsabilità datoriali legate all’adempimento dell’obbligo di sicurezza il contributo ribadisce poi la “centralità dell’organizzazione quale fonte dei rischi e, al contempo, quale ambito sul quale intervenire prioritariamente per prevenirli”. E in tale prospettiva è allora “necessario investire seriamente sulla promozione dei modelli di organizzazione e di gestione, tra l’altro potenzialmente capaci di dare concretezza anche a quell’idea di tutela integrata tra ambiente interno e ambiente esterno che la fluidità dei luoghi di lavoro” fa emergere “sempre più nitidamente” e che pare evocata “dalla nozione di salute accolta dal d.lgs. n. 81/2008 (ma anche da quella di ‘prevenzione’, adottata dallo stesso decreto, che richiama la ‘salute della popolazione’ e ‘l’integrità dell’ambiente esterno’: art. 2, comma, lett. n)”.
Si indica poi che il potenziale impatto del modello organizzativo (MOG) “è ben più ampio rispetto alla questione del possibile esonero dalla responsabilità amministrativa dell’ente, perché la sua adozione risulta in grado d’innescare procedure virtuose di programmazione, attuazione, monitoraggio, riesame ed eventuale modifica dell’organizzazione del lavoro, quale primigenia fonte dei rischi riconducibili alla responsabilità datoriale; organizzazione da intendersi non come ‘cosa’, ossia in termini reificati, materiali, fisici, ma come processo organizzativo, ossia come forma di azione”.
In questo senso si sottolinea la bontà dell’impianto concettuale su cui poggia il d.lgs. n. 81/2008, “che si dimostra attuale anche di fronte alla sempre più marcata dematerializzazione dei contesti produttivi icasticamente rappresentata dal lavoro tramite e su piattaforma, proprio perché esso accoglie una nozione non reificata di organizzazione (come emerge specie dalle definizioni di lavoratore, datore di lavoro e valutazione dei rischi: art. 2, comma 1, lett. a, b, q), sebbene poi a volte non tragga da ciò tutte le conseguenze del caso, visto che in alcuni passaggi ancora lega la tutela della salute e sicurezza al luogo di lavoro inteso in termini fisici”.
In definitiva se l’organizzazione è l’insieme delle regole del processo di lavoro, allora il modello organizzativo, “in quanto capace di attivare una procedura di auto-riflessione dell’impresa che esamina se stessa, diventa uno strumento indispensabile della prevenzione primaria, nella misura in cui esso consente all’ente di auto-verificarsi ed eventualmente auto-emendarsi, cioè di analizzare le scelte di processo modificando quelle valutabili come condizioni di rischio e sostituendole con soluzioni organizzative alternative, capaci di eliminare il rischio o ridurlo al minimo”.
Dunque, conclude il contributo di Chiara Lazzari che vi invitiamo a leggere integralmente, sui modelli di organizzazione e di gestione “occorre investire, sia culturalmente, sia, in un’ottica più concretamente operativa, tramite incentivi alla loro adozione”.
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