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I rischi di una mancata sanificazione degli impianti di climatizzazione

I rischi di una mancata sanificazione degli impianti di climatizzazione

Un documento sulla pulizia e la sanificazione si sofferma sui rischi derivanti dalla mancata sanificazione degli impianti di climatizzazione. Focus sui microrganismi, sulle possibili patologie, sul rischio legionella e sull’importanza della manutenzione.

Roma, 4 Set – Quando parliamo di “rischio” generalmente ci riferiamo alla possibilità che si verifichi “una situazione intuitivamente ritenuta pericolosa alla quale può conseguire un danno”, ma nell'esposizione ad agenti chimici o biologici aerodispersi in un ambiente spesso il pericolo non è evidente.

 

La qualità dell'aria negli ambienti interni dipende da diversi fattori, tra cui l'aria esterna, le attività svolte e la pulizia dei sistemi di ventilazione, ma se molti agenti sono innocui, a “volte negli ambienti chiusi è rilevabile un elevato livello di ‘inquinamento’ responsabile della diffusione di aerosol contaminati da agenti patogeni e sostanze tossiche o allergizzanti”.

 

A ricordarlo, parlando di rischi chimici e biologici, con specifico riferimento alle possibili conseguenze della mancata sanificazione degli impianti di climatizzazione è il documento Inail “ La sanificazione nel post Pandemia. La standardizzazione dei processi. Sensibilizzare le aziende ai processi di pulizia e sanificazione come prassi standard di prevenzione dagli infortuni e dalle malattie sul lavoro”. Un documento che può essere considerato un documento guida sulle attività di sanificazione che si rivolge sia ai datori di lavoro che intendono effettuare queste attività internamente sia alle imprese di pulizia a cui viene esternalizzato il servizio.

 

Ai rischi derivanti dalla mancata sanificazione degli impianti di condizionamento e climatizzazione il documento dedica alcune pagine.

 

Nel presentarle l’articolo si sofferma sui seguenti argomenti:

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Gli impianti di climatizzazione e la contaminazione dei microrganismi

Il documento ricorda che i microrganismi naturalmente presenti nell’aria e nell’acqua, possono “approfittare delle favorevoli condizioni microclimatiche (elevata umidità e temperatura) e delle eventuali fonti di nutrimento (depositi di residui organici e inorganici) presenti nell’ambiente o all’interno dell’impianto di climatizzazione, per moltiplicarsi e diffondere sotto forma di aerosol liquido o solido”.

 

E tra gli agenti biologici “che spesso contaminano gli impianti e che sono in grado di causare patologie nell’uomo, sono compresi diversi generi di batteri (i.e. Stafilococchi, Pseudomonas, Legionella e altri gram negativi), funghi (i.e.  Cladosporium, Penicilium, Alternaria, Fusarium, Aspergillus ecc) e loro residui (endotossine, micotossine), virus (i.e. Rhinovirus, Adenovirus, Coronavirus e virus influenzali ecc), derivati vegetali e animali (peli di animali, acari e pollini)”.

 

Inoltre anche le polveri, le fibre e i residui organici “possono depositarsi sulle componenti dell’unità di trattamento dell’aria (UTA) o nelle condotte ed essere trasportati dal flusso d’aria all’interno degli ambienti climatizzati”. Possono provenire “sia dall’esterno, attraverso la presa dell’aria qualora riescano a superare i corpi filtranti dell’UTA, sia dall’interno degli edifici o dell’impianto stesso ad esempio per usura delle coibentazioni interne ai canali”.

 

Può essere anche significativa la presenza di polveri sottili (PM 10 e PM 15) “tra cui: solfuro di carbonio, il monossido di carbonio, l’acido solforico, il biossido di zolfo, il biossido di azoto, l’ozono, i Composti Organici Volatili (COV, quali il benzene, toluene, etilbenzene, xilene)”.

 

Gli impianti di climatizzazione e le possibili patologie

A questo proposito l’Organizzazione Mondiale della Sanità rileva che “le contaminazioni chimico-biologiche derivanti dagli impianti di climatizzazione non correttamente manutenuti possono essere la causa delle principali patologie correlate alla scarsa qualità dell’aria negli ambienti indoor”.

 

Tali patologie, come ricordato anche in altri articoli del nostro giornale, sono comunemente raggruppate in due distinte tipologie, che sono conosciute come Sindrome dell’Edificio Malato (Sick Bulding Syndrome, SBS) e Malattia Correlata all’Edificio (Bulding Related Illness, BRI).

Se entrambe le tipologie dipendono “dal microclima e dall’esposizione agli agenti chimici, fisici e biologici presenti nell’ambiente e si manifestano in seguito alla permanenza in uno specifico luogo”, nel primo caso “i sintomi regrediscono e spesso scompaiono con l’allontanamento da quell’ambiente, nel secondo permangono”.

 

In particolare:

  • la SBS “presenta sintomi aspecifici ma ripetitivi e non correlati ad uno specifico agente, quali: irritazione degli occhi, delle vie aeree e della cute, tosse, senso di costrizione toracica, nausea, torpore, cefalea e, come ricordato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, nelle Linee Guida per la qualità dell’aria indoor (WHO guidelines for indoor air quality - Dampness and Mould, 2009), non è possibile correlare le singole specie di microrganismi ai diversi effetti sulla salute. La difficoltà nasce dalla simultanea esposizione a molti agenti differenti, dalla complessità di una stima accurata dell’esposizione e dalla varietà dei sintomi e degli effetti”.
  • le BRI “sono patologie ben precise, come per esempio la legionellosi, l’alveolite allergica e altre comuni allergie, per le quali l’agente causale può essere chiaramente identificato.

 

Gli impianti di climatizzazione e il rischio legionella

Si sottolinea poi che particolare rilievo “assumono le epidemie di legionellosi a causa dell’elevato grado di letalità tra le persone anziane e con condizioni morbose concomitanti; l’agente eziologico è un bacillo aerobio gram negativo, ubiquitario negli ecosistemi acquatici naturali, riscontrato nel 40% degli ambienti indagati con metodi colturali e nell’80% di quelli studiati tramite tecniche molecolari (Polymerase Chain Reaction-PCR)”.

 

Si indica che la legionella, nel caso trovi condizioni favorevoli alla propria sopravvivenza, “è in grado di passare dagli ambienti naturali a quelli artificiali raggiungendo elevati picchi di crescita quando le temperature sono comprese tra i 28 e i 50 °C. Si conoscono più di 60 specie (suddivise in 71 sierotipi), metà delle quali potenziali patogene per l’uomo, anche se circa il 90% dei casi di infezione registrati sono riferibili alla specie L. pneumophila (principalmente sierogruppi 1 e 6)”.

Si segnala poi che la legionellosi non è radiograficamente distinguibile da una comune polmonite e per arrivare alla conferma della diagnosi è necessario eseguire alcuni test molto specifici.

 

Si indica poi che in un impianti di climatizzazione “le aree a rischio di contaminazione da legionella sono quelle in cui è presente l’acqua, in particolare le sezioni di umidificazione, i sifoni di drenaggio all’interno delle UTA e le torri di raffreddamento”. E sono, in particolare, queste ultime ad essere considerate “siti ad alto rischio poiché la presenza di biofilm e l’elevata temperatura dell’acqua al loro interno possono favorire lo sviluppo di importanti concentrazioni di legionelle, mentre contemporaneamente il meccanismo stesso di funzionamento facilita la diffusione del microrganismo attraverso l’aerosol”.

 

In definitiva gli impianti aeraulici, “utilizzati diffusamente per controllare le condizioni termo-igrometriche degli ambienti di vita e di lavoro, per garantire un adeguato ricambio d’aria e per ridurre le concentrazioni di polveri e altre particelle aerotrasportate, se non adeguatamente gestiti, possono piuttosto contribuire a diffondere nell’ambiente inquinanti di varia natura”.

 

In questo caso l’impianto diviene una fonte di rischio, sia per gli occupanti degli ambienti indoor, sia per i tecnici impegnati in eventuali operazioni di manutenzione e pulizia.

 

E dunque per assicurare che “l’aria immessa nell’ambiente sia salubre e che gli impianti siano in buono stato di conservazione e di condizioni igieniche” è necessario “controllarli regolarmente, effettuare gli interventi di manutenzione ordinaria ed eventualmente periodicamente sanificarli”.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

Inail, Consulenza Statistico Attuariale, Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale, Consulenza tecnica per la salute e la sicurezza, “ La sanificazione nel post Pandemia. La standardizzazione dei processi. Sensibilizzare le aziende ai processi di pulizia e sanificazione come prassi standard di prevenzione dagli infortuni e dalle malattie sul lavoro”, a cura di di Giuseppe Bucci (Inail, CSA), Diego De Merich e Maria Rosaria Marchetti (Inail, Dimeila), Patrizia Anzidei e Giannunzio Sinardi (Inail, CTSS), Sara Veneziani e G. Ivo Vogna (Confimi Industria - Commissione ambiente e sicurezza), Stefania Verrienti e Lorenzo Di Vita (Afidamp - Aderente Finco - Confimi Industria) – Accordo Inal e Confimi Industria, edizione 2023 (formato PDF, 15.04 MB).

 

Vai all’area riservata agli abbonati dedicata a “ Dopo la pandemia: sanificazione e standardizzazione dei processi”.

 


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