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Il rischio microclimatico nei caseifici e nelle sale di mungitura
Sassari, 17 Ott – Spesso quando si affronta il tema della sicurezza sul lavoro si fa riferimento principalmente alla prevenzione degli infortuni per i lavoratori, infortuni che nel mondo agricolo sono legati spesso all’utilizzo di macchine e attrezzature. Ma la tutela della sicurezza e salute ha in realtà a che fare anche con molti altri aspetti, ad esempio il raggiungimento di determinate condizioni di comfort e benessere termico.
Per parlare di benessere termico, di microclima nel mondo agricolo, facciamo riferimento ad un intervento ad una giornata di studio, dal titolo “Salute e sicurezza sul lavoro nel comparto zootecnico e caseario”, organizzata il 26 ottobre 2011 a Sassari dal Comitato consultivo dei Georgofili per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro agricolo, in collaborazione con l’ ASL Sassari e l’ Università di Sassari.
Ricordiamo che l' Accademia dei Georgofili, fondata nel 1753 e con sede in Firenze, si propone di contribuire al progresso delle scienze e delle loro applicazioni all'agricoltura in senso lato, alla tutela dell'ambiente, del territorio agricolo e allo sviluppo del mondo rurale.
Nell’intervento “Il rischio da microclima nei caseifici e nelle sale di mungitura” - a cura di D. Monarca, R. Bedini, M. Cecchini, A. Colantoni, S. Di Giacinto, A. Marucci, G. Menghini (Università degli Studi della Tuscia - Laboratorio Ergolab - Dip. DAFNE – Viterbo) e P.R. Porceddu (Università degli Studi di Perugia – Dip. Scienze Agrarie e Ambientali) – si indica che in molti ambienti di lavoro agricoli ed agroindustriali “il benessere termico è difficilmente realizzabile, perché l’uomo si trova spesso ad operare all’aperto o in presenza di animali, o in condizioni di temperatura elevata (serre) o molto bassa (celle frigorifere) o in situazioni in cui i parametri climatici devono essere tenuti all’interno di determinati intervalli, per garantire produzioni conformi agli standards di preparazione, di maturazione e di conservazione dei prodotti”.
L’intervento riporta diverse indicazioni sulle caratteristiche del benessere termico, sui fattori che influenzano il microclima e sottolinea che se ad oggi il microclima è un rischio fisico per il quale il Decreto legislativo 81/2008 fornisce generiche indicazioni di “adeguatezza” e “benessere”, si può colmare questa “carenza” con il riferimento a normative tecniche. Queste “ultime propongono alcuni indici microclimatici di comfort e/o di stress, indici che permettono di interpretare le condizioni microclimatiche ambientali integrate con il tipo di attività svolta dagli addetti”.
Nel documento relativo all’intervento, che vi invitiamo a leggere integralmente, sono presenti diverse tabelle contenenti, ad esempio, le principali norme tecniche in relazione agli ambienti microclimatici e i principali strumenti di misura utilizzabili ai fini della valutazione del rischio microclimatico.
Molto spazio è poi dedicato alle metodologie di valutazione negli ambienti severi, con particolare riferimento a:
- modello PHS, il “Predict Heat Strain” (ISO 7933);
- indice WBGT: “la metodologia di valutazione delle condizioni di lavoro negli ambienti severi caldi è descritta dalla norma UNI EN 27243, che introduce l’indice WBGT (Wet Bulb Globe Temperature)”;
- indice IREQ.
Le industrie agro-alimentari sono “caratterizzate da particolari lavorazioni che prevedono la presenza di notevoli escursioni termiche tra luoghi diversi all’interno degli stabilimenti, anche in conseguenza della specificità del ciclo produttivo”.
Si fa riferimento ad esempio ai caseifici, alla produzione di formaggi.
In questo caso “le fasi che possono presentare punti critici per la salute dei lavoratori dal punto di vista microclimatico sono: la maturazione tramite stagionatura in grotte o in forni; il mantenimento delle caratteristiche organolettiche tramite l’immagazzinamento nelle celle frigorifere; la lavorazione di formaggi freschi e delle ricotte”. Gli addetti che operano all’interno delle aree di stagionatura (grotte) sono soggetti ad una esposizione, oltre che alle basse temperature, soprattutto ad un elevato tasso di umidità relativa.
Riguardo ai caseifici viene presentato inoltre un caso pratico, con riferimento ad un indagine effettuata presso un caseificio del centro Italia, con rilievi che hanno riguardato 7 ambienti differenti.
Gli autori si soffermano poi sulle aziende agrozootecniche e sulle sale di mungitura.
Infatti le strutture di allevamento “sono caratterizzate dal mantenimento, anche forzato tramite sistemi di ventilazione naturale e/o forzata, di un microclima favorevole agli animali; questo a volte può provocare disagi per gli operatori (elevata temperatura dell’aria ed elevato tasso di umidità causato dal vapore acqueo prodotto dagli animali e dall’evaporazione dalle superfici bagnate)”.
Anche in questo caso è presentato un caso pratico relativo a un’azienda sita nel comune di Viterbo che ha una stalla per bovine da latte con 250 bovine in lattazione.
Veniamo brevemente alle considerazioni conclusive dell’intervento.
Innanzitutto le modalità di valutazione del microclima negli ambienti di lavoro “costituiscono la base di partenza per un intervento tecnico, volto a realizzare condizioni di comfort e di benessere per gli addetti”. E tale intervento si articola in quattro fasi:
- “valutazione delle condizioni ambientali del luogo di lavoro e dei parametri soggettivi dei lavoratori, che conduce all’individuazione del PMV (l’ indice PMV, voto medio previsto, è utilizzato per la valutazione del comfort globale, ndr) e quindi alla possibilità di definire il microclima come moderato, severo caldo o severo freddo;
- calcolo degli indici appropriati in funzione del punto precedente;
- eventuale utilizzo di modelli di previsione delle caratteristiche dell’ambiente di lavoro, in funzione dei risultati ottenuti da brevi periodi di rilievo dei parametri ambientali;
- proposta progettuale”.
Quest’ultima è finalizzata in particolare alla “realizzazione di interventi di bonifica, attuabili nei confronti dell’operatore e/o dell’intero ambiente di lavoro”. Ad esempio “è possibile cambiare il vestiario indossato, modificando la sua resistenza termica, e/o il dispendio metabolico, introducendo delle pause nei turni di lavoro o realizzando una rotazione dei compiti. Si può invece intervenire sull’ambiente di lavoro agendo su singole zone di questo o direttamente sulle sorgenti termiche. L’esposizione al calore prevede l’utilizzo di indumenti leggeri, se per una particolare lavorazione non è possibile soddisfare tale richiesta si dovrà utilizzare un indumento speciale che non impedisca la sudorazione o che abbia potere isolante adeguato”.
Uno degli aspetti sottolineati e che meritano, a parere degli autori, un maggiore approfondimento “riguarda l’acclimatazione dei lavoratori alle temperature estreme e alla protezione dagli sbalzi di temperatura. L’acclimatazione al caldo comporta una serie di adattamenti fisiologici e psicologici durante le prime 2 settimane di esposizione. Cautele aggiuntive dovrebbero essere adottate durante questo periodo e quando lavoratori in cattiva forma fisica debbono essere esposti a condizioni di stress termico”.
In relazione poi alle attività incella frigorifera “quanto più elevata è la velocità dell’aria e quanto minore la temperatura nella zona di lavoro, tanto maggiore deve essere il grado di isolamento degli indumenti protettivi. Infatti la velocità dell’aria è una significativa concausa di problemi di ipotermia, e pertanto va sempre mantenuta ai livelli più bassi possibili. Una possibile soluzione tecnica di facile applicazione è quella di collegare lo spegnimento dei ventilatori delle celle frigorifere all’apertura delle porte per il passaggio dei muletti”.
Si ricorda inoltre che i lavoratori più anziani o quelli con problemi circolatori “necessitano di protezioni cautelative speciali contro il danno da freddo (es: l’uso di indumenti isolanti aggiuntivi e/o la riduzione della durata del periodo di esposizione). Un fatto è certo, ovvero che le azioni cautelative da prendere in esame dipendono dalle condizioni fisiche dei lavoratori”.
La relazione si sofferma poi sul “pumping effect”: “generalmente, l’abbigliamento è composto da più capi e, quindi, da più strati di tessuti diversi tra i quali sono interposti strati di aria; quando le persone si muovono quest’aria, insieme a quella che entra attraverso le aperture dei capi, quali polsini e colletti, entra in movimento determinando un effetto, noto appunto come ‘pumping effect’. Tale effetto può essere causato anche da elevati valori di velocità dell’aria, dovuti ad esempio alla presenza di vento, che possono provocare una compressione degli strati di tessuto, riducendone lo spessore con conseguente variazione sia dell’isolamento termico che della resistenza evaporativa”.
In definitiva le principali indicazioni preventive riguardano:
- “l’introduzione di una organizzazione del lavoro che limiti la durata di permanenza del lavoratore negli ambienti troppo freddi (o troppo caldi);
- l’indossare un abbigliamento idoneo a mantenere la giusta temperatura corporea e, in situazioni estreme, utilizzare dispositivi di protezione individuale adeguati, prestando particolare attenzione alla difesa di mani, piedi e testa più sensibili al freddo;
- la limitazione del fenomeno noto come ‘pumping effect’”.
“ Il rischio da microclima nei caseifici e nelle sale di mungitura”, a cura di D. Monarca, R. Bedini, M. Cecchini, A. Colantoni, S. Di Giacinto, A. Marucci, G. Menghini (Università degli Studi della Tuscia - Laboratorio Ergolab - Dip. DAFNE – Viterbo) e P.R. Porceddu (Università degli Studi di Perugia – Dip. Scienze Agrarie e Ambientali), intervento alla giornata di studio “Salute e sicurezza sul lavoro nel comparto zootecnico e caseario” (formato PDF, 523 kB).
RTM
Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
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Rispondi Autore: Pier Luigi Dellachà - likes: 0 | 17/10/2013 (11:54:18) |
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