Linee guida e buone prassi: l’uso di PLE negli scavi in galleria
Ancona, 12 Nov – Gli elementi da considerare per l’utilizzo in sicurezza di una piattaforma di lavoro mobile elevabile sono diversi. Alcuni sono correlati alla tipologia e alle specifiche caratteristiche della macchina, altri all’ambiente in cui si opera, altri ancora alla natura delle attività.
Per soffermarci in particolare su un’attività e un ambiente particolari, gli scavi in galleria, e raccogliere alcuni spunti per la prevenzione degli infortuni, focalizziamo l’attenzione su un documento Inail del 2016 che, in questi anni, ha fornito buone prassi e indirizzi operativi per la sicurezza e ha costituito un punto di riferimento per lavoratori e aziende nell’ uso delle PLE.
Infatti nel documento “ PLE nei cantieri. L’uso delle piattaforme di lavoro mobili in elevato nei cantieri temporanei o mobili” - pubblicazione realizzata da Inail Direzione regionale per le Marche, con la collaborazione di IPAF ( International Powered Access Federation) – un capitolo, relativamente agli elementi da considerare per la valutazione dei rischi, è dedicato alla caduta massi negli scavi in galleria.
PLE e sicurezza negli scavi in galleria
Nel documento si indica che le modalità di scavo delle gallerie naturali, così come gli interventi di consolidamento ed il tipo di rivestimento di prima fase da mettere in opera, “sono fortemente influenzate dalle caratteristiche geomeccaniche dei terreni e degli ammassi rocciosi attraversati. All’avanzamento del fronte scavo segue la messa in opera del rivestimento di prima fase, e successivamente impermeabilizzazione e rivestimento definitivo in calcestruzzo armato e/o non armato”.
Si segnala poi che tra tutte le fasi di lavoro necessarie per l’avanzamento, “il rivestimento di prima fase rappresenta una condizione di alto rischio per la possibile presenza di lavoratori a ridosso del fronte appena scavato e per l’esecuzione delle fasi di:
- montaggio e posa in opera delle centine, messa a punto del piede della centina e posa delle prime catene;
- posa delle catene e della rete elettrosaldata in quota”.
In particolare queste “presentano le maggiori criticità nell’ambito delle operazioni di consolidamento, in quanto tutte le operazioni ad esse connesse sono prettamente manuali, svolte a terra o su piattaforma e senza ausilio di macchine od attrezzature. Durante queste operazioni i lavoratori sono esposti al pericolo di caduta gravi o di porzioni di ammasso che, con l’adozione del metodo a sezione piena, possono provenire da altezze rilevanti, generalmente fino a 13 metri”.
Una tipologia di PLE utilizzata a ridosso o sul fronte di scavo per l’esecuzione delle suddette operazioni è “rappresentata dalla piattaforma mobile installata su sollevatore telescopico, utilizzata per la posa catene e rete elettrosaldata”. E l’utilizzo di questa tipologia di macchina “comporta generalmente una riduzione del livello di sicurezza”. Infatti, nonostante “alcune di queste siano dotate di sistemi di protezione dell’operatore in cabina”, “non sono presenti dispositivi di protezione che tengano conto delle specifiche esigenze di sicurezza dei lavoratori presenti sulla piattaforma nel contesto specifico in cui operano”.
E riguardo alla caduta di materiale il documento segnala che “la documentazione emessa durante le varie fasi di realizzazione di un’opera (progetto, PSC, POS) deve considerare la valutazione del rischio di infortunio provocato da caduta materie a ridosso del fronte scavo e contenere indicazioni per la minimizzazione e misure di prevenzione e protezione”. E nello stesso tempo vi sono varie figure, ognuna per quanto di propria competenza e secondo quanto previsto dal D.Lgs. 81/2008, che sono “responsabili della valutazione e minimizzazione del rischio di infortunio per caduta materiali”.
In questo senso l’ analisi dei rischi deve considerare “le caratteristiche dell’ammasso ed il suo comportamento geomeccanico in fase di scavo, il metodo e la tecnica di scavo, il tipo di macchine operatrici utilizzate, l’entità dello sfondo e la velocità di avanzamento, nonché il tipo di intervento di prima fase e le sue modalità di realizzazione”. Inoltre “ogni fase di lavoro che impone la presenza di personale a ridosso del fronte va analizzata, anche nelle singole operazioni che la compongono, per individuare le azioni più efficaci per ridurre il rischio di investimento del personale da gravi e, più in generale, da processi di instabilità locale”. E tale analisi “deve considerare (in ordine di priorità):
- l’ottimizzazione del numero di fasi e/o operazioni;
- la sostituzione di fasi ed operazioni manuali con fasi ed operazioni robotizzate o meccanizzate, svolte, con macchine idonee, da operatori collocati in postazione sicura;
- l’ottimizzazione della durata delle fasi e del numero di operatori al fronte, ottenuta attraverso un’attenta analisi gestionale ed organizzativa del processo lavorativo;
- l’accurata progettazione e definizione in termini di sicurezza delle operazioni da compiere, delle attrezzature e delle procedure di lavoro, del sistema delle responsabilità e delle autorizzazioni e dei controlli in cantiere;
- la puntuale gestione e la costante verifica di quanto pianificato”.
Infine “la riduzione o l’annullamento del rischio residuo che rimane dopo l’effettuazione dell’analisi sopra descritta, deve essere conseguito:
- garantendo le condizioni per un’agile e rapida fuga dalla zona soggetta ad impatto. Pertanto il piano di calpestio deve essere mantenuto sgombero da ogni elemento od ostacolo che impedisca il rapido allontanamento del personale e devono essere evitate tutte quelle lavorazioni che impediscano la fuga dalla zona soggetta a caduta di gravi;
- vietando lo svolgimento contemporaneo di più azioni elementari al fronte;
- riducendo i lavoratori al numero strettamente indispensabile per lo svolgimento della singola azione elementare;
- limitando il tempo di permanenza degli operatori in prossimità del fronte”.
Tali misure permettono, in definitiva, di “limitare il numero degli scenari che devono essere tenuti sotto stretto controllo dall’operatore al fronte” e di prevenire l’infortunio “in quanto l’attenzione dell’operatore resta limitata al lavoro che sta eseguendo ed alle pareti da cui potrebbe avere origine il distacco di gravi” e di ridurre il numero degli esposti.
I DPI da utilizzare con le piattaforme di lavoro
Concludiamo questo articolo con un breve cenno, tratto dal documento Inail, relativo ai DPI da utilizzare con le piattaforme di lavoro mobili elevabili.
Si indica che è responsabilità del datore di lavoro “valutare i rischi presenti durante le lavorazioni, individuare idonei dispositivi di protezione individuale e fornirli ai lavoratori”.
E al di là dei rischi di espulsione e di caduta correlati alle varie tipologie di piattaforma, si segnala che nell’allegato VI del D.Lgs. 81/2008 (Disposizioni concernenti l’uso delle attrezzature di lavoro che servono a sollevare persone - punto 4.1) è scritto: ‘sui ponti sviluppabili e simili gli operai devono fare uso di idonea cintura’.
Questo è richiesto “perché, al di là della stabilità del mezzo, la navicella potrebbe urtare accidentalmente ostacoli e provocare la fuoriuscita dell’operatore dal suo interno o lo stesso operatore potrebbe sporgersi al di fuori della stessa navicella sino alla perdita di equilibrio. È, dunque, obbligatorio indossare su tutte le piattaforme di lavoro mobili elevabili, che la legislazione italiana definisce ‘ponti sviluppabili’, idoneo sistema di protezione dalle cadute”.
Si indica poi che in realtà “il sistema deve essere tale da impedire del tutto la caduta dall’alto, cioè deve utilizzare cordini di posizionamento o di trattenuta”.
Nel documento, che vi invitiamo a leggere integralmente, sono riportate ulteriori indicazioni sugli elementi che possono comporre il sistema (imbracatura, cordino di trattenuta o posizionamento regolabile, connettori, dispositivi di assorbimento di energia, …).
E si indica, in conclusione, che il punto di aggancio previsto dal costruttore all’interno della navicella “non è da intendersi come punto di ancoraggio per dispositivi anticaduta ma come punto di vincolo in quanto è concepito a scopo di sola trattenuta della persona all’interno della piattaforma di lavoro”. In particolare il punto di vincolo, secondo l’attuale edizione della norma EN 280, “è dimensionato dal costruttore per una forza di 3 kN e non di 10 kN come previsto per i punti di ancoraggio di dispositivi anticaduta. Tuttavia, si fa presente che qualora il lavoratore nel cestello utilizzi un sistema di arresto della caduta anziché di trattenuta e/o posizionamento è necessario che l’ancoraggio resista ad una forza di 10 kN”.
RTM
Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:
Direzione regionale Marche, “ PLE nei cantieri. L’uso delle piattaforme di lavoro mobili in elevato nei cantieri temporanei o mobili”, pubblicazione realizzata da Inail Direzione regionale per le Marche, con la collaborazione di IPAF, edizione 2016 (formato PDF, 3,42 MB).
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