Il lavoro flessibile e il ruolo del rappresentante dei lavoratori
Pesaro, 24 Gen – Qual è quel “quid pluris”, quel qualcosa in più, di rischio dei lavoratori flessibili?
Per questi lavoratori questo “qualcosa in più” si può tradurre, in estrema sintesi: “in una frequente inadeguatezza dell’informazione e della formazione in materia di sicurezza sul lavoro; in un controllo sanitario reso più complesso dalla problematica tracciabilità del rischio e degli aspetti clinici, ed eventualmente patologici, correlati al lavoro; in una maggiore esposizione ai rischi psico-sociali, specie allo stress, a causa dell’instabilità occupazionale, della vulnerabilità economica, della debolezza contrattuale; in una scarsa conoscenza dell’ambiente di lavoro, la quale rende il soggetto meno edotto circa le potenzialità nocive di questo”. E spesso a tutto ciò si aggiunge la tendenza ad assegnarli ai “compiti meno qualificati, più pesanti o ripetitivi” e bisogna considerare che una consistente parte di questa popolazione è “composta da giovani, donne ed immigrati, ossia categorie già afflitte da problematiche specifiche in materia di sicurezza”.
E quali sono le tutele per i lavoratori flessibili e cosa si può fare per farle rispettare?
Ad affrontare questo tema è un intervento al convegno “Modelli di rappresentanza e forme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori” - organizzato da OPRAM (Organismo Paritetico Regionale Artigianato Marche) e coordinato del prof. Paolo Pascucci ( Università di Urbino Carlo Bo) - che si è tenuto a Pesaro il 30 settembre 2016. Un intervento che PuntoSicuro ha già presentato nelle scorse settimane in relazione alle tutele nel lavoro a termine e nel lavoro in somministrazione.
Infatti in “Tutela della salute e sicurezza nelle tipologie contrattuali flessibili dopo il Jobs Act e ruolo del rappresentante dei lavoratori”, a cura di Chiara Lazzari (Prof. a contratto di Diritto del lavoro, Università di Urbino Carlo Bo), partendo dalla Direttiva europea 91/383/CEE, dal Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 e dal successivo D.Lgs. 151/2015, sono approfondite le novità in materia di sicurezza per il lavoro a termine e in somministrazione, per le collaborazioni autonome e il lavoro accessorio. E viene analizzato il ruolo che il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza può svolgere nella tutela di tali lavoratori.
Diamo qualche indicazione sulle collaborazioni autonome.
La relatrice indica che riguardo ai collaboratori autonomi, “si assiste, da un lato, ad un innalzamento del pregresso livello di tutela con riguardo alle collaborazioni che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro (cd. collaborazioni eterorganizzate), alle quali, a partire dal 1° gennaio 2016, si applica, ai sensi dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, la disciplina propria del lavoro subordinato, evidentemente anche in materia di salute e sicurezza (senza, quindi, che operi il limite di cui all’art. 3, comma 7, d.lgs. n. 81/2008, in ordine all’applicabilità del d.lgs. n. 81/2008 al lavoro a progetto e ai rapporti di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. esclusivamente nelle ipotesi in cui la prestazione si svolga nei luoghi di lavoro del committente)”.
La relazione, che vi invitiamo a leggere integralmente, si sofferma poi su alcune precisazioni, sulla necessità di “superare il vaglio del nuovo criterio dell’eterorganizzazione, non privo d’ambiguità” e su vari altri aspetti normativi.
Veniamo invece al lavoro accessorio, con particolare riferimento all’art. 20, comma 1, lett. a, n. 1, d.lgs. n. 151/2015, recante disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini ed imprese ed altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità.
Il provvedimento, che riscrive l’art. 3, comma 8, d.lgs. n. 81/2008, “in un’ottica restrittiva limita ora l’applicazione del citato decreto, e delle altre norme speciali vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute, ai casi in cui la prestazione sia resa a favore di un committente imprenditore o professionista; casi nei quali, evidentemente, si ritiene significativo il grado d’inserimento del lavoratore nell’organizzazione altrui, così da giustificare l’operatività del d.lgs. n. 81/2008 nella sua interezza. Nelle altre ipotesi, invece, interverrà soltanto l’art. 21 dello stesso decreto, recante disposizioni relative ai componenti dell’impresa familiare di cui all’art. 230 bis c.c. ed ai lavoratori autonomi. Si ribadisce, invece, l’esclusione dalla tutela, già affermata dal d.lgs. n. 81/2008, dei piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresi l’insegnamento privato supplementare e l’assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati ed ai disabili, secondo una formulazione retaggio dell’originario art. 70 d.lgs. n. 276/2003”. E si indica che anche “l’esigenza di coordinare l’art. 3, comma 8, d.lgs. n. 81/2008 proprio con gli interventi succedutisi nel tempo sull’art. 70 d.lgs. n. 276/2003”, “può avere indotto il legislatore a ripensare l’integrale applicazione del d.lgs. n. 81/2008” riguardo al lavoro accessorio.
Veniamo infine al ruolo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza a tutela dei lavoratori flessibili, anche con riferimento a quanto ricordato in relazione al lavoro a termine, al lavoro in somministrazione, al lavoro intermittente e al divieto di stipulazione del contratto con riferimento a quei datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.
Benché nessuna norma di disciplina delle fattispecie contrattuali considerate richiama specificamente tale figura, secondo la relatrice il ruolo degli RLS è un ruolo di primo piano.
E punto di partenza della riflessione “non può che essere l’art. 28, comma 1, d.lgs. n. 81/2008 in tema di valutazione dei rischi; norma di cui va sottolineata la centralità nel vigente quadro legislativo, così come va evidenziata quella dell’adempimento di cui essa si occupa, in quanto principale strumento di prevenzione in azienda”.
E occorre, dunque, porre “particolare attenzione alla specifica valutazione dei rischi connessi alla flessibilità tipologica”. E – “in considerazione del raccordo, instaurato dal legislatore (v. specialmente l’art. 47, comma 4, d.lgs. n. 81/2008), fra sistema della rappresentanza collettiva per la sicurezza e sistema della rappresentanza collettiva in generale – in ciò possono essere d’ausilio anche le norme che impongono al datore obblighi d’informazione circa l’utilizzo di tali tipologie contrattuali, utilizzo di cui il RLS potrebbe non essere a conoscenza”.
Il ruolo del RLS può esplicarsi ad esempio sul piano della garanzia dell’effettività dei divieti “che inibiscono il ricorso al lavoro flessibile in mancanza della valutazione dei rischi. E ciò, innanzitutto, nel senso di ‘vigilare’ sull’effettuazione di tale adempimento, tenendo altresì conto che, fra le prerogative del RLS, rientra pure quella di ‘fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti’ – evidentemente anche quelle decise in conseguenza di una valutazione che abbia, o meno, considerato specificamente i rischi collegati alla tipologia contrattuale – così come i mezzi per attuarle, ‘non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro’”.
La relazione si conclude indicando che la valorizzazione del ruolo del RLS – “in quanto soggetto consultato, preventivamente e tempestivamente, dal datore di lavoro in ordine all’attività di valutazione dei rischi, e chiamato ad offrire il proprio contributo per una migliore protezione dei lavoratori, ivi compresi quelli flessibili” - induce “ad una riflessione sulla necessità di una piena inclusione di questi ultimi nel sistema partecipato prefigurato dal legislatore, che passi altresì dal superamento di previsioni contrattuali, come quelle del vecchio accordo interconfederale del 1995 concluso da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, le quali, nelle elezioni del RLS, limitavano l’elettorato passivo ai lavoratori non in prova con contratto a tempo indeterminato”.
Insomma le rilevanti innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 81/2015 relativamente al campo di applicazione soggettivo della disciplina prevenzionale “non possono non riflettersi sulle scelte delle parti sociali in materia, inducendo a inserire anche detti lavoratori nel sistema di rappresentanza collettiva per la sicurezza, in sintonia con la filosofia inclusiva abbracciata dal d.lgs. n. 81/2008, la quale trova la massima espressione proprio nella definizione di lavoratore fornita dall’art. 2, comma 1, lett. a”.
“ Tutela della salute e sicurezza nelle tipologie contrattuali flessibili dopo il Jobs Act e ruolo del rappresentante dei lavoratori”, a cura di Chiara Lazzari (Prof. a contratto di Diritto del lavoro, Università di Urbino Carlo Bo, condirettrice Osservatorio Olympus), intervento al convegno “Modelli di rappresentanza e forme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori” (formato PDF, 185 kB).
Tiziano Menduto
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