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La prassi amministrativa: non è fonte del diritto

La prassi amministrativa: non è fonte del diritto, se illegittima va disapplicata e se dannosa obbliga al risarcimento del danno procurato. Riflessioni a partire dalle confuse Linee Guida interpretative sulla formazione dei RSPP. Di Rolando Dubini.

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Articolo tratto dalla sezione “Guide” del sito SuperEva.

La prassi amministrativa: non è fonte del diritto, se illegittima va disapplicata e se dannosa obbliga al risarcimento del danno procurato. Riflessioni a partire dalle confuse Linee Guida interpretative sulla formazione dei responsabili e addetti al servizio prevenzione e protezione
Di Rolando Dubini.

La vicenda delle confuse Linee Guida interpretative regionale (vedere PuntoSicuro n. 1574) è una buona occasione per chiarire che la prassi amministrativa non è diritto vivente, e qualora sia contraria ai principi costituzionali di trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa non ha rilevanza esterna, ma può, come nel caso delle Linee guida interpretative sulla formazione di responsabili e addetti al servizio prevenzione e protezione, averlo in quanto .induca gli organi di vigilanza a comportamenti e atti illegittimi, contrari alla legge, rappresentata esclusivamente dall'articolo 8 bis del D. Lgs. n. 626/94 e dall'Accordo Stato-Regioni del 26 gennaio 2006

La prassi amministrativa è la condotta uniforme di alcuni uffici, prodotta in seguito ad un processo di standardizzazione di certi procedimenti amministrativi ed osservata in quanto ritenuta la più adatta ed opportuna, senza tuttavia ritenerla doverosa ed obbligatoria.

Non è dunque fonte di diritto amministrativo, ragion per cui la sua inosservanza non dà luogo a violazione di legge (tutt’al più può essere sintomo di eccesso di potere).

Non solo la prassi non è vincolante, ma la Pubblica amministrazione che vi fa ricorso è costantemente tenuta a verificare che essa sia attuabile e adeguata in relazione al caso concreto.

La prassi amministrativa costituisce un punto di riferimento per la P.A. e di norma non ha rilevanza esterna.

Tuttavia, può assumerla quando la sua illegittimità si riflette sul provvedimento finale. In questi termini, la prassi amministrativa è soggetta al vaglio del giudice adito per l’annullamento del provvedimento finale e, dunque, la sua legittimità o illegittimità può essere fatta valere, sia pure indirettamente.

La prassi amministrativa non può essere contraria ai principi di trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa.

I menzionati principi rientrano nel novero dei principi fondamentali, direttamente o indirettamente sanciti dalla Carta Costituzionale, cui deve essere informata l’attività della Pubblica amministrazione.

Il principio di imparzialità è espressamente posto dall’art. 97 Cost., oggi unanimemente interpretato in chiave estensiva, sicché l’operatività di questa norma concerne, non più solo l’organizzazione dei pubblici uffici, bensì l’intera attività amministrativa.

Nella più recente elaborazione dottrinale e giurisprudenziale del principio in parola, la P.A. è imparziale, a livello organizzativo, nella misura in cui garantisce l'accesso ai pubblici uffici secondo criteri di giustizia sostanziale (dunque senza favoritismi, clientelismi e simili), ed è imparziale, a livello di attività posta in essere, nella misura in cui essa rispetti i criteri e le modalità di scelta che si è data (cd. autolimite).

Direttamente collegato all’imparzialità è il principio di trasparenza: un’attività trasparente può agevolare l’imparzialità, quanto meno consentendo di porre in luce i casi di violazione di tale principio, in tal modo incentivandone il rispetto.

Che l’amministrazione nella sua attività debba ispirarsi a criteri di trasparenza è oggi espressamente sancito dall’art. 1 della l. 241/90 nella versione modificata dalla l. 15/2005, a conferma del trend legislativo degli ultimi anni, volto a dare concreta attuazione al principio di trasparenza mediante l’introduzione di istituti quali l’accesso agli atti della P.A., l’obbligo di motivazione dei provvedimenti, gli uffici per le relazioni col pubblico, oltre tutta una serie di misure per la comunicazione dell’operato dell’amministrazione.

Come afferma l'ex presidente della corte costituzionale Granata: "Diritto vivente non è tuttavia la prassi amministrativa né nella forma di regolamenti esecutivi o di circolari né, tanto meno, nella forma di singoli provvedimenti (sentenze n.83/1989, red. Mengoni e n. 234/1996, red. Mirabelli).

In tal senso la Corte Costituzionale è fin troppo chiara: "la prassi amministrativa non è" "diritto vivent il quale preclude al giudice la possibilità di una diversa interpretazione "adeguatrice"", non è " tale, né nella forma di regolamenti esecutivi o di circolari (cfr. sentenza n. 86 del 1982), né, tanto meno, nella forma di singoli provvedimenti, da precludere al giudice una interpretazione diversa.

Essa può valere soltanto come dato fattuale concorrente con i dati linguistici del testo normativo ad orientare l'interpretazione, sempreché si mantenga nei limiti consentiti dal dettato della legge (cfr. sentenza n. 177 del 1973) e non trovi controindicazioni nella giurisprudenza" . [n.83/1989, red. Mengoni].

Nel sistema attuale di Giustizia Amministrativa- contemplato dall’art. 113, I°comma , Cost.- il Giudice Amministrativo è il giudice prevalente delle controversie nei confronti della P.A.: è il Giudice della Funzione Pubblica, con poteri cognitori estesi, sia ai diritti che agli interessi legittimi, e con poteri di condanna al risarcimento dei danni ingiusti per attività illegittima della P.A.

Il Giudice Amministrativo sa che la tutela del cittadino – garantita dall’art. 24 Cost.- esige- per essere piena ed effettiva- un sindacato penetrante sulle scelte compiute dall’Amministrazione.

Il potere del Giudice Amministrativo , sancito dalla legge n. 205, di giudicare, (nell’intero ambito della sua giurisdizione) anche l’eventuale risarcimento del danno da attività illegittima rappresenta la chiara volontà del Legislatore di assicurare pienezza di tutela. La condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno (ingiusto) presuppone, sempre, il previo annullamento dell’atto ritenuto lesivo. Il privato leso deve prima proporre una tempestiva azione di annullamento davanti al Giudice Amministrativo , ottenere l’annullamento dell’atto e poi, per le eventuali lesioni residue, provando che esistono, può ottenere un risarcimento. Se non si impugna l’atto lesivo nei termini decadenziali ( sessanta giorni) e se non ricevo successo dal mio ricorso, nessun accertamento farà mai il Giudice Amministrativo in punto di risarcimento del danno. Le istanze risarcitorie, genericamente formulate e non debitamente comprovate, sono inammissibili. Non basta lamentarsi di aver subito danni, ma occorre provare quali danni, e quanti danni ha provocato la condotta illegittima dell’Amministrazione. Chi deduce di aver subito un danno deve fornire la prova. Altro punto fermo. L’annullamento dell’atto comporta solo una presunzione relativa di colpa dell’Amministrazione, la quale può escluderla per diversi fattori giustificativi: l’incertezza normativa, giurisprudenziale, la stessa condotta del privato ed altro.

 

 

 

 

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