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L’importanza della comunicazione nella prevenzione del rischio lavorativo

L’importanza della comunicazione nella prevenzione del rischio lavorativo
Massimo Servadio

Autore: Massimo Servadio

Categoria: Informazione, formazione, addestramento

21/05/2015

Quando si parla di comunicazione del rischio, bisogna tener conto delle ripercussioni emotive e psicologiche degli individui coinvolti. A cura di Massimo Servadio.

L’importanza della comunicazione nella prevenzione del rischio lavorativo

Quando si parla di comunicazione del rischio, bisogna tener conto delle ripercussioni emotive e psicologiche degli individui coinvolti. A cura di Massimo Servadio.

 
La comunicazione del rischio, possiamo definirla come uno "scambio interattivo" di informazioni, pareri, scoperte della valutazione del rischio stesso, decisioni in materia di gestione che riguardano gli elementi di pericolo e dei fattori connessi sia al rischio che alla percezione di quest’ultimo. La comunicazione relativa ai rischi presenti sul luogo di lavoro, quindi, dovrebbe essere concepita non tanto come processo unidirezionale attraverso il quale un’informazione di matrice obiettiva passa da chi è depositario della "verità" scientifica ad uno che non lo è, bensì come uno scambio interattivo, un processo essenziale di trasmissione di significati tra individui (o gruppi di individui), che dovrebbe comprendere momenti di dibattito, dialogo e informazioni di ritorno, nonché tutte le procedure integrate che coinvolgono le parti lungo lo svolgersi del processo di analisi del rischio.
 
Se in antichità comunicare il rischio non pareva essere un grande problema (bastava semplicemente ometterlo o minimizzarlo), nel mondo moderno, come noto, il rischio è parte integrante di qualsiasi atto lavorativo. Informare nella maniera corretta e senza creare allarme è una parte alquanto difficile e delicata della gestione della prevenzione dei rischi sul lavoro. In effetti, comunicare il rischio significa trasmettere in un certo senso l’incertezza, l’eventualità di subire un danno e non sempre è facile dare al lavoratore un’idea precisa dell’entità del rischio stesso. Inoltre, la maggior parte delle persone e di conseguenza dei lavoratori ha poca confidenza con i numeri e con i termini matematici e statistici che abitualmente vengono utilizzati per esprimere i rischi.
 

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Chi deve dare informazioni non certe ha, quindi, un compito particolarmente difficile: trasmettere conoscenza non assumendo atteggiamenti troppo persuasivi e paternalistici ma, d’altra parte, nemmeno limitarsi a stilare un freddo elenco di dati. Frasi come “...solleva il carico come ti hanno insegnato al corso!”, “...evita comportamenti scorretti e pericolosi!”, “...in cantiere mettersi l’elmetto è obbligatorio!” ad una prima lettura ci sembrano familiari e innocue, ma basta immedesimarsi per davvero nella persona che le riceve per sentire che, probabilmente, ci trasmettano più disagio e antipatia che indicazioni concrete di comportamento. E’ comunque fuori dubbio che chi utilizza tali frasi non ha intenzioni malevole e le pronuncia in perfetta buona fede e con la convinzione di dare le giuste disposizioni ai propri collaboratori.
 
Affinché la comunicazione raggiunga il suo obiettivo e il messaggio sia compreso dal target verso il quale è rivolto, è fondamentale che la valutazione e la stima del rischio, ottenuta attraverso l’analisi scientifica ed epidemiologica dei dati, si colleghino strettamente con la percezione del rischio, individuale e collettiva, dei soggetti ai quali il messaggio è rivolto. Così, quando si parla di comunicazione del rischio, bisogna tener conto delle ripercussioni emotive e psicologiche degli individui coinvolti.
 
La fiducia che viene rivolta al “comunicatore del rischio” dipende in gran parte dalla chiarezza e dalla correttezza con cui vengono comunicati i rischi stessi, dalla possibilità di esprimere le proprie preoccupazioni di fronte a chi deve gestire la situazione e dal grado di partecipazione degli stessi lavoratori nei diversi livelli decisionali. Il primo step dovrebbe quindi essere quello di operare un coinvolgimento attivo delle persone nei confronti della tematica: per la maggior parte delle situazioni lavorative la competenza tecnica non cammina mai da sola, ma sulle gambe e sulle emozioni delle persone che amano chiarezza comunicativa e soprattutto essere rispettate, ascoltate  e valorizzate.
 
Mentre in passato la comunicazione del rischio era vista soprattutto come un processo a senso unico, in cui “chi sa” informa, a sua discrezione “chi non sa”, oggi si tende piuttosto a considerarla come un colloquio bidirezionale. Molto spesso, però, accade che i cosiddetti “esperti” ed il “pubblico” raramente intendono allo stesso modo il rischio. E’ assodato infatti che le persone sono influenzate nei loro atteggiamenti nei confronti dei rischi da un certo numero di pregiudizi o considerazioni per “partito preso” che inducono ad avere delle percezioni personali raramente confermate da modelli obiettivi di tipo statistico-probabilistico. Le attitudini di fronte ai rischi evolvono poi secondo cicli precisi che sono in funzione dell’impressione di familiarità con il rischio, della sensibilizzazione e della percezione circa la gravità. La percezione dipende quindi dalle credenze, dal giudizio e dall’attitudine dell’individuo ad accettare il rischio nonché da valori sociali e culturali.
 
La comunicazione efficace in materia di sicurezza sul lavoro dovrebbe quindi nascere dallo scambio reciproco di informazioni non solo nozionistiche ma personali, nel senso della persona con la sua identità, volontà e preferenze. Risulta comprensibile, in questa direzione, come le competenze comunicative siano fondamentali nel campo della sicurezza, specialmente  in quattro ambiti:
- nella gestione del proprio ruolo;
- nell’ascolto, nella gestione della relazione con gli altri, capi, colleghi, collaboratori;
- nel gestire i disaccordi e i conflitti e quindi nel negoziare;
- nel condurre riunioni e gruppi di lavoro e nel parteciparvi attivamente.
Un percorso formativo, rivolto in primis a chi nell’organizzazione è deputato alla gestione del sistema sicurezza, dovrebbe verosimilmente fornire nozioni e strumenti utili ad una comprensione dell’intero processo comunicativo, riguardo le mappe/schemi mentali, in relazione a come il contesto aziendale può influenzare la comunicazione fra i vari attori e rispetto alle principali differenze comunicative tra Dirigenti, Preposti, Lavoratori. E’ necessario inoltre porre l’accento sulla necessità di una comunicazione assertiva, sulle modalità di coinvolgimento dei lavoratori e sul creare la motivazione ad essere ascoltati.
 
Investire energia nella comunicazione del rischio all’inizio della relazione con il lavoratore, dovrebbe quindi favorire in maniera concreta lo sviluppo di una relazione lavoratore-comunicatore del rischio e aumentare al probabilità che il lavoratore segua accuratamente le indicazioni che gli vengono fornite. In sintesi puntare fortemente su una comunicazione efficace, magari ad opera di figure esperte, può aiutare a motivare alla sicurezza in modo duraturo e a diffondere la visione della Sicurezza come scelta aziendale e a trasformare la Sicurezza stessa da un adempimento legislativo obbligatorio ad un sistema per la creazione di un processo lavorativo di qualità fondato su migliori relazioni interpersonali, che possa condurre alla prevenzione di infortuni e situazioni rischiose. In definitiva può aiutare a rendere effettivi gli investimenti fatti sulla sicurezza, aumentandone la comprensione e la diffusione all’interno dell’azienda e portando la tematica nel vissuto quotidiano.
 
Massimo Servadio
Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni



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