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Il lavoro che cambia

 
Il lavoro che cambia ma non è cambiato il bisogno della centralità del lavoro per la vita delle persone e di conseguenza salute, sicurezza e benessere sul lavoro hanno bisogno di nuove tutele.
 
In un saggio del 1986 il sociologo tedesco Beck descriveva la nuova società in arrivo come la società del rischio. Ovvero dove vengono, sempre più, a mancare le certezze ed il rischio è collegato al lavoro sapendo che vi saranno nuovi lavori in un'epoca che sta andando verso la fine del lavoro. Ma è davvero così. Molte analisi avevano previsto la fine del lavoro. Basti per tutti Rifkin con i suoi  saggi che, ad una attenta analisi dei fenomeni, giunge a conclusioni fumose e non sempre realizzabili.
 

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Le cose, infatti, hanno preso una piega diversa. Forse ci avviciniamo più a quella che Zygmunt Bauman ha descritto come "la società liquida". Sempre più vengono a mancare le certezze ed i punti di ancoraggio e siamo dentro una società che da solida diviene liquida e gassosa. La società liquida è come l'acqua del fiume. Se scorre lenta e tranquilla serve a costruire un sistema idilliaco ma se l'acqua si fa torrente, fiumara o tempesta porta via tutto, alluviona, sradica alberi e piante, travolge i ponti e gli argini.
 
Ma in questo contesto di società liquida si può intervenire. Si costruiranno nuovi argini, si fanno nuove piantumazioni, si puliscono gli argini e non si costruiscono nuove case. Si governa la leggerezza della liquefazione con zavorra costituita da contenuti, idee, progetti, azioni. La cosa diventa più complessa allorquando la società liquida diviene "gassosa" ed in questo caso basta una fiammella che manda tutto in fumo ed incenerisce beni e persone. Ma anche in questo caso la prevenzione - per noi che ci occupiamo di sicurezza sul lavoro - è lo strumento che ci aiuta.
 
Cambieranno i lavori. Già si intravvede un crisi nel campo della "delocalizzazione" delle imprese. Il basso costo del lavoro in alcuni paesi hanno attratto la costruzione di nuove industrie e fabbriche ma cosa ne sarà, ad esempio, con l'avvento delle stampanti 3D, che prevedono la stampa diretta dei manufatti senza più bisogno della fabbrica con i macchinari e, persino, dei robot.
Cambia il lavoro ma non finisce il lavoro.  Verrebbe da dire, come ci ricorda il prof. Michele Lepore, che senza lavoro non c'è più sicurezza. Ma il cambiamento del lavoro, quando e dove avviene o sta avvenendo o verrà, deve cambiare i modelli formativi.
 
Al centro del nostro interesse deve essere posto il "cambiamento" con i suoi collegamenti con la formazione d il lavoro. Però mentre il modello tradizionale vedeva l'inizio del percorso nel lavoro che attraverso la formazione porta al cambiamento bisogna invertire i termini e fare del " cambiamento" la centralità del processo che assume questa formula: “Lavoro > cambiamento > formazione”.
 
Il paradigma cambia con l'avvento e l'importanza delle nuove tecnologie, anche formative, che sempre tenendo la centralità del cambiamento ne anticipa l'azione formativa ai nuovi lavori. In questo caso il processo rimodula la formula: “Formazione > cambiamento > lavoro”.
 
Si tratta di una inversione di tendenza che parte dell'esigenza formativa per cambiare i comportamenti nella prospettiva del lavoro. Un lavoro non più e solo declinato dalle mansioni ma, sempre più, poliedrico, settoriale, di competenze, di capacità generali che inducono al cambiamento verso i nuovi lavori. Questi nuovi scenari, molto più vicini, di quanto pensiamo vengono a non collimare con leggi e normative attuali.
 
Se guardiamo ai classici soggetti della formazione troviamo, ripetendoci in continuazione, lavoratori, dirigenti, preposti, datori di lavoro, R.S.P.P. . A.S.P.P., Rappresentanti dei Lavoratori, Coordinatori di cantiere, Primo Soccorso, Prevenzione Antincendio, Formazione macchine e attrezzature nonché formazione specifica. Ormai quasi tutti hanno fatto questa formazione e chiediamoci se "è finita" oppure "non" finisce mai". Cosa devo ancora fare?
 
Una risposta semplice ma non semplicistica sta nel riprendere in mano il DVR e, attraverso uno strumento poco utilizzato che sono le "azioni di miglioramento", ricondurre la gestione del sistema figurando una vera e propria modifica della Valutazione dei Rischi e del conseguente manuale.
 
Con una punta di provocazione vorrei dire che la centralità della formazione deve andare oltre la formazione continua. Il superamento di questo concetto, di elaborazione europea che, di fatto, non ha mai preso piede coerentemente sia a livello normativo sia con azioni coerenti è stato pensato nella sua variabile in modo rigido e confuso. Formazione e Addestramento nella loro confusione dei tempi di erogazione, richiesta massiccia di corsi "pratici", e via dicendo. A tutti vale la pena rispondere come avrebbe detto Lewin "non c'è bisogno di migliore pratica che una buona teoria".
 
Ricominciare dalla progettazione e dalla Valutazione dei rischi per definire le necessità di cambiamento che verranno ad essere la base di una nuova formazione che poi possa essere utile nei lavori.
 
Ciò non toglie che i lavori, successivamente, abbiano bisogno di ulteriore e specifica formazione ma saper prevedere il cambiamento è indispensabile per poter frontale una qualsiasi sfida formativa. Soprattutto in questa epoca che "cambia il lavoro".
 
Del resto, la realtà ormai lo dimostra, la legislazione e la normativa non è, nè lo può essere, al passo dei tempi. Ci chiediamo quale grande importanza abbia, ancor oggi, definire il numero massimo dei partecipanti ad un corso in 35 unità mentre avremo azioni formative con un solo discente.
 
Cosa vuol dire formazione in azienda. Non certo mettere i lavoratori nella sala mensa e proiettare le slide. Molto più significamente vuol dire fare la formazione sul luogo di lavoro tra formatore e lavoratore. La problematica riguarda le ore di formazione: se devo svolgere 4 ore in un'ala di 30 allievi so bene che una parte del tempo viene dedicata alla presentazione, alle domande, alle risposte, ai questionari, all'intervallo per un caffè e, forse, se tutto va bene abbiamo svolto 3 ore di formazione. Ma se mi trovo "faccia a faccia", in un rapporto diretto e dialogante tra allievo e docente, servono 4 ore o ne bastano due?
 
Ma in queste ore farò solo lezione? Pur prevedendo aspetti sia teorici sia pratici non potrò sviluppare una sola idea ma portare avanti un progetto. Questo della progettualità, forse, sarà la nuova frontiera della formazione continua.
 
E come la mettiamo con i famosi “accrediti” regionali, diversi tra regione e regione ma, che di fatto “accreditano” una sede fisica dotata di mezzi e strutture, servizi igienici e parcheggi, naturalmente anche per persone disabili (normalmente non dotate) che - invece - vorranno fare formazione in azienda, luogo “non accreditato”?  La nuova società del lavoro richiede un nuovo approccio ed una gestione non burocratica ma di serietà coerente con i tempi e le difficoltà che stiamo vivendo. Non si tratta di alimentare speranze o, cerca di ricondurre il tutto a normazioni fuori dal tempo ma di dare prospettive utili per il cambiamento
 
In questo contesto il ruolo del docente formatore appare riduttivo e non in grado di sviluppare nuove progettualità. È' giusto che il formatore debba avere titolo è capacità per svolgere il ruolo di docente. Prevedere, quale fattore minimo, il possesso di uno dei criteri previsti dal DI 6 marzo 2013 è una buona base di partenza non di arrivo.
 
La formazione intesa come docenza rappresenta un aspetto limitato in quanto  le prospettive ci fanno pensare ad un formatore-consulente. Un coaching - formatore di squadra, di gruppi di singoli: per l'azienda, per il management e, per i dirigenti, per i lavoratori.
 
La formazione con una visione prospettica del "progetto" aziendale che vada, sicuramente, oltre l'aula con nuove ed innovative metodologie tecniche e didattiche ma allo stesso tempo in stretta correlazione con lo sviluppo aziendale facendo della formazione l'elemento del cambiamento continuo del lavoro che cambia nell'epoca in cui vi è meno lavoro.
 
Rocco Vitale
presidente dell’AiFOS
 




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