Formazione sulla sicurezza: rottamare l’art. 37 del Decreto 81?
Le critiche alla formazione in materia di salute e sicurezza giungono da parti diverse e possono essere ispirate da logiche ancora più diverse. Non mi interessa qui entrare nell’analisi delle argomentazioni con cui si sostengono le critiche. Quello che però mi sembra significativo è che esse hanno una cifra comune: la denuncia dell’inefficacia della formazione. È da questo punto che vorrei partire.
La formazione, così come viene prescritta dall’art. 37 del d.lgvo 81/08 e dall’Accordo Stato Regioni, non è di per sè in grado di garantire i risultati attesi. E non può garantirli perchè è da sempre inadeguata, per logica ispiratrice, strutturazione dei programmi, durata, contenuti, modalità di attuazione.
Basti pensare alla formulazione stessa dei programmi (vedere Accordo Stato Regioni) che autorizza a privilegiare la sfera delle conoscenze a scapito della costruzione di atteggiamenti. Peraltro concentrarsi sulla trasmissione di contenuti risulta molto più facile che cercare di incidere sulla cultura delle persone. Nel primo caso, basta padroneggiare gli argomenti o anche, semplicemente, preparare delle slides da snocciolare in aula.
La formazione non solo è da sempre inadeguata, ma lo diviene sempre di più di fronte alle profonde modificazioni che attraversano il mondo del lavoro, cambiando le tipologie contrattuali (lo smart working è la manifestazione più evidente), ma soprattutto le modalità produttive.
La continua evoluzione delle tecnologie e delle modalità di produzione richiede una capacità di risposta che dipende quasi integralmente dal possesso di strumenti aspecifici quali la competenza nel cogliere i segnali deboli e nell’effettuare collegamenti e deduzioni consapevoli. Ma è legata soprattutto alla capacità dei lavoratori di pensare autonomamente e flessibilmente. Occorre dunque una formazione che promuova nelle persone la mindfullness cioè che induca a risvegliarsi da una vita vissuta in automatico, solleciti la sensibilità alle novità nelle esperienze quotidiane e faciliti l’acquisizione della resilienza cioè di quell’abilità intrinseca di un’organizzazione, di un sistema, ma anche di una persona a mantenere o riguadagnare uno stato dinamicamente stabile che consenta di continuare le proprie attività dopo un grave evento o in presenza di uno stress continuativo. Richiede soprattutto di essere antifragili.
Lavorare in ambiente 4.0 fa dunque emergere una necessità di competenze aspecifiche e di capacità di processare pensiero astratto che dovrebbero venire dalla formazione scolastica (ed eventualmente universitaria), ma che essa dà in modo molto limitato. D’altra parte ci muoviamo in un contesto che ha mitizzato le competenze tecniche trascurando quelle più complessivamente umanistiche. Quelle cioè veramente abilitanti, che attrezzano a orientarsi nei contesti che cambiano e nelle realtà complesse. Su questo terreno il compito di supplenza da parte dell’azienda è problematico, quasi utopico, anche se alcuni imprenditori (a partire dallo storico Olivetti fino all’ormai fin troppo citato Cucinelli) hanno raccolto la sfida.
Al di là di obiettivi più ambiziosi – che peraltro si sono dimostrati molto remunerativi per chi li ha sperimentati in relazione sia alla qualità del lavoro che alla sicurezza - compete comunque all’azienda di dare almeno strumenti generali di orientamento e presidiare l’expertise.
Per fare questo sarebbe opportuno ampliare il numero di ore della formazione generale, attualmente povera nei contenuti ed eccessivamente breve, e affidare a essa, oltre ai più specifici rudimenti relativi alla sicurezza, già presenti nell’attuale programma, il presidio delle competenze logiche generali e di quelle cognitivo relazionali.
L’efficacia della formazione specifica sarebbe aumentata da uno svolgimento effettuato nel posto di lavoro, con attività non solo nominalmente chiamate “training on the job, coaching, action learning, mentoring”.
Sottolineo il “non solo nominalmente chiamate” perchè l’esperienza mi ha portato troppe volte a vedere nascoste sotto il nome di queste metodologie complesse (e difficili da usare correttamente) le più tradizionali modalità trasmissive.
Parte della formazione potrebbe in questo modo essere affidata ai preposti, meglio se aged. In questo caso si otterrebbero risultati pregevoli sia per le persone che per l’azienda. L’assegnazione dei compiti ai lavoratori invecchiati, soprattutto se essi hanno delle limitazioni, può risultare infatti critica e questa difficoltà può comportare per i lavoratori stessi sensazioni negative, suscettibili di sfociare nella presenza di stress. Riconoscerne l’esperienza dando loro il ruolo di formatori è invece gratificante e spesso garantisce all’azienda non solo la trasmissione delle competenze esplicite, ma anche di quelle implicite che frequentemente vanno perdute quando chi le possiede va in pensione. Insegnare inoltre spesso induce gli aged, che rischiano di usare mappe vecchie in un contesto di cambiamento, ad aggiornarle rileggendo con occhio critico il proprio modus operandi. D’altra parte, insegnare è uno strumento potente di apprendimento.
Però, perchè la formazione gestita in azienda dai dipendenti funzioni occorrono delle precondizioni. Occorre che chi la svolge
- veda formalizzato questo compito in termini di tempo dedicato e riconoscimento economico
- acquisisca le competenze necessarie, non solo in termini formali, con l’attuale, volenteroso, ma non sufficientemente incisivo corso di formazione formatori.
I formatori aziendali dovrebbero poi essere, almeno in parte del percorso, affiancati da formatori professionisti in grado di aiutarli a rielaborare cognitivamente e a estendere a paradigma di riferimento gli insegnamenti contingenti.
Mi rendo conto che proporre di svolgere direttamente nel posto di lavoro una parte qualificante della formazione, affidandola a personale interno, può offrire alle aziende meno consapevoli un potente strumento per eludere gli obblighi formativi. Ma sono anche consapevole che chi non riconosce l’importanza della formazione trova già ora modalità per svuotarla di senso ed efficacia pur adempiendo formalmente alle prescrizioni in materia. Al contrario, percorsi più contestualizzati e rispondenti alla concreta situazione aziendale, supportati da un solido quadro interpretativo, permettono alle aziende di migliorare effettivamente la sicurezza e di costruire come momento qualificante della formazione i parametri di verifica di tale efficacia.
Renata Borgato
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Rispondi Autore: enzo raneri - likes: 1 | 29/01/2020 (09:01:31) |
Anch'io ho sempre criticato l'impostazione italiana, in quabto sottopone gi RSPP (che si lasciano sottoporre) a "prestazioni che hanno dell'incredibile. E da sempre ho sostenuto che, invece di avere in Italia quattro Enti che fanno tutti le stesse cose (dottrina, vigilanza, forrmazione, ecc), basterebbe individuare una di questi enti (ASP, INAIL, Ispettorato,) per definire percorsi formativi strutturati per titpologia di mansione e per rischio, mettendo l'obbligo di acquisizione prima dell'inizio a svolgere la mansione Un po' come avviene gia nella non lontana Svizzera (laddove l'assicurazione infortuni di tre milioni di lavoratori, viene assicurata da 45 dipendenti dislocati in due sedi - con grande risparmio per la casse pubbliche e delle imprese private) |
Rispondi Autore: Robetto - likes: 0 | 29/01/2020 (09:20:56) |
Concordo su tutto. Il problema della formazione è assai complesso... Con il rischio che i datori di lavoro adempiano alla sola norma senza che i discenti ottengano alcun valore aggiunto. Caso classico sono i corsi per tutti i lavoratori ai sensi dell'accordo Stato_Regioni, per i quali risulta assai complicato espletare la parte specifica senza scadere nelle banalità e in trattazioni generiche non idonee ai singoli casi di specie. |
Rispondi Autore: Arturo Micelotta - likes: 0 | 29/01/2020 (09:28:17) |
Concordo, si potrebbe fare un elenco formatori proposte dalle ditte che eseguono incontri formativi con operai di altre ditte. |
Rispondi Autore: raffaele scalese - likes: 0 | 29/01/2020 (09:36:40) |
Come si può non concordare con la chiarissima Renata Borgato (di cui sono stato, peraltro, soddisfatto allievo) ? In particolare "L’efficacia della formazione specifica sarebbe aumentata da uno svolgimento effettuato nel posto di lavoro, con attività non solo nominalmente chiamate “training on the job, coaching, action learning, mentoring”. Sottolineo il “non solo nominalmente chiamate” perchè l’esperienza mi ha portato troppe volte a vedere nascoste sotto il nome di queste metodologie complesse (e difficili da usare correttamente) le più tradizionali modalità trasmissive." Il grande problema è proprio questo spesso, (purtroppo si fa per dire) la formazione è vista solo come un adempimento e non come un cammino di miglioramento. Se poi a questo oggettivo riscontro ci aggiungiamo le attività di qualche Azienda deputata alla formazione tese a più a utilizzare le risorse dei Fondi interprofessionali che a raggiungere risultati di "modifica " reale del modo di "fare" e "pensare" ... la frittata è fatta. Che fare ? Francamente non lo so, non credo ci possano essere "ricette" dal risultato immediato. E' una crescita di "tutti" "più veloce" da auspicare e, purtroppo in un contesto di crisi economica (sia per le imprese e sia per i professionisti del settore) molto difficile. Speriamo, positivamente, nel futuro. |
Rispondi Autore: Matteo - likes: 0 | 29/01/2020 (10:40:41) |
"aged" non me l'aveva ancora detto nessuno... |
Rispondi Autore: Kendo - likes: 1 | 29/01/2020 (11:15:33) |
Aged..ma impariamo a riscrivere in italiano prima di parlare di formazione. Che pietà |
Rispondi Autore: presidente@aifos.it - likes: 0 | 29/01/2020 (11:46:11) |
Concordo con quasi tutto detto da Renata e assicuro che come Aifos stiamo elaborando un progetto similare e che faremo con una sperimentazione nei prossimi mesi. |
Rispondi Autore: DONATO ERAMO - likes: 0 | 29/01/2020 (14:55:54) |
Una delle cose più importanti nel campo della prevenzione è proprio la formazione, soprattutto quella in aula e sul lavoro: pensare addirittura di rottamarla mi sembra una esagerazione, fermo restando tutti gli aspetti negativi noti. W la formazione. |
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0 | 29/01/2020 (16:56:51) |
Direi che il titolo è del tutto fuorviante. Punto primo l'articolo 37 del DLgs n. 81/2008 non è rottamabile perchè recepisce l'articolo 12 della direttiva CE 89/391 che così dispone: Articolo 12 Formazione dei lavoratori 1. Il datore di lavoro deve garantire che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata in materia di sicurezza e di salute, sotto forma di informazioni e di istruzioni, in occasione: - della sua assunzione, - di un trasferimento o cambiamento di funzione, - dell'introduzione o del cambiamento di un'attrezzatura di lavoro, - dell'introduzione di una nuova tecnologia, specificatamente incentrata sul suo posto di lavoro o sulla sua funzione. Detta formazione deve: - essere adattata all'evoluzione dei rischi ed all'insorgenza di nuovi rischi e - essere periodicamente ripetuta, se necessario. 2. Il datore di lavoro deve assicurarsi che i lavoratori delle imprese e/o degli stabilimenti esterni, i quali intervengono nella sua impresa e/o nel suo stabilimento, abbiano ricevuto istruzioni adeguate circa i rischi per la sicurezza e la salute durante la loro attività nella sua impresa o nel suo stabilimento. 3. I rappresentanti dei lavoratori i quali hanno una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori hanno diritto ad una formazione adeguata. 4. La formazione di cui ai paragrafi 1 e 3 non può essere posta a carico dei lavoratori né dei loro rappresentanti. La formazione di cui al paragrafo 1 deve aver luogo durante il tempo di lavoro. La formazione di cui al paragrafo 3 deve aver luogo durante il tempo di lavoro conformemente alle prassi nazionali all'interno o all'esterno dell'impresa e/o dello stabilimento. Punto due il problema sono gli accordi Stato Regione, molteplici, contraddittori, macchinosi, riformabile. Serve l'accordo unico sulla formazione obbligatoria di cui al dlgs 81/2008. Punto terzo: non è vero che tutta la formazione è inefficace. Molta formazione è decisamente efficace perchè trasmette in modo coinvolgente e partecipato nozioni, metodi, etica e spirito partecipativo in materia di sicurezza. A patto che sia fatta da chi conosce la vita reale delle aziende dove va a fare formazione. |
Rispondi Autore: Carlo Timillero - likes: 0 | 29/01/2020 (17:05:28) |
Alcune considerazioni su quanto affermato. Il povero art.37 ha significato per il principio che esprime: "la formazione deve essere sufficiente e adeguata". E può essere tale, in maniera particolare quella mansionale/specifica, solo se è costruita sui rischi specifici effettivi legati alla mansione, se è erogata in maniera efficace da docenti capaci, se è seguita da momenti di verifica dell'apprendimento in grado di valutare effettivamente quanto il singolo soggetto abbia acquisito in termini di competenza. Non dimentichiamo che l'81 prevede anche attività specifiche, e autonome, dedicate all'informazione ( conoscenza) e all'addestramento ( saper fare) che si integrano con la formazione nel percorso pedagogico/andragocico. I percorsi previsti nei vari testi normativi, in particolare in ASR 21/12/2011, sono percorsi minimi che la singola azienda deve integrare e personalizzare. In sostanza, e per concludere, il problema non è l'art 37 ma la modalità con cui la formazione è stata per lo più gestita in questi anni, spesso con l'unico obiettivo dell'attestato, con programmi lontani dalla realtà operativa dei partecipanti, con docenti incapaci, schiavi di diapositive e articoli di legge da declinare. E in assenza di attività concrete e credibili rivolte a informare e addestrare. Non è il povero articolo 37 a essere sbagliato. E' sbagliato il modo in cui aziende e professionisti della formazione hanno creduto di attuarlo. |
Rispondi Autore: Anna Guardavilla - likes: 0 | 29/01/2020 (17:21:14) |
Concordo con Rolando: anche a mio parere il titolo è fuorviante (e un po' disorientante sotto il profilo normativo). Non entro nel merito delle considerazioni proposte nell'articolo né sottolineo questo aspetto al fine di un acritico mantenimento dello status quo: ogni norma può e deve essere essere oggetto di messa in discussione nel dibattito tecnico-scientifico al fine di un miglioramento del sistema in termini di efficacia ed effettività. Mi limito ad osservare che le analisi condotte nell'articolo riguardano - come sottolineato già da Rolando - gli Accordi Stato-Regioni quali norme secondarie e di dettaglio rispetto ad una norma primaria (l'art.37 del D.Lgs.81/08) che recepisce il diritto comunitario e ha la funzione (quale appunto norma di livello primario) non di fornire una regolamentazione di dettaglio ma bensì di porre l'obbligo - penalmente sanzionato - del datore di lavoro/dirigente di far sì che il lavoratore riceva una formazione adeguata e sufficiente, quale obbligazione di risultato, sancendo così il corrispondente diritto del lavoratore a riceverla. È un problema di gerarchia delle fonti che, se guardato nella prospettiva della "rottamazione" (che poi giuridicamente altro non è che abrogazione da parte di una nuova norma che sostituisca la precedente o modifica della norma precedente), assume una sua specifica rilevanza. |
Rispondi Autore: Franco Rossi - likes: 1 | 29/01/2020 (18:00:55) |
Mi sembra che il discorso della formazione dei lavoratori sia analogo al discorso dei programmi scolastici. Tanti paroloni, se possibile in inglese, e intanto la nostra scuola precipita nelle classifiche! |
Rispondi Autore: GRAZIANO FRIGERI - likes: 0 | 30/01/2020 (19:54:28) |
L'espressione renziana "rottamazione" è decisamente forte, sicuramente volutamente provocatoria, soprattutto avendo come "target" l'art. 37 che peraltro, almeno relativamente all'addestramento (comma 5) prevede che "viene effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro". Semmai si tratta di colmare lo iato tra formazione e addestramento (non a caso, forse, in inglese il termine è unico: training). E, a proposito di resilienza, cito un episodio di cui sono stato testimone, in quanto medico competente di una importante compagnia assicurativa: la compagnia (anni 2011-2012) aveva programmato la sostituzione di un nutrito gruppo di dirigenti prossimi alla pensione, designando già i successori, e tutti attendevano il naturale avvicendamento, quando è intervenuta la legge Fornero. Improvvisamente molti dei dirigenti non poterono più andare in pensione nei tempi stabiliti, e i sostituti designati vedevano sfumare repentinamente l'atteso e annunciato scatto di carriera: un quadro da valutazione del rischio dal stress lavoro correlato in zona rovente. Bene, dopo un comprensibile (breve) periodo di sconcerto totale, fu presa questa decisione: i sostituti designati avrebbero fatto lo scatto di carriera assumendo le posizioni loro destinate, con pieni poteri; i vecchi dirigenti rimasero in servizio per il tempo rimanente con il ruolo di "counseillors" e tutor per i nuovi dirigenti, in pratica di "formatori". E' un po' quello che propone Renata per gli aged, o no? |
Rispondi Autore: Stefano Pinchetti - likes: 1 | 31/01/2020 (17:06:36) |
Personalmente ritengo che un diploma di maturità dovrebbe comprovare competenze almeno pari, e auspico superiori, a quelle si ottengono in un corso completo per RSPP. Semplicemente, non c'è ragione che le scuole medie superiori in 5 anni non garantiscano un simile risultato per chi si affaccia sul mondo del lavoro. Poi alle aziende competerà sicuramente l'addestramento specifico, ma la cultura spetta alla scuola. |
Rispondi Autore: carmelo catanoso - likes: 0 | 02/02/2020 (10:25:06) |
Saranno almeno trent'anni che vedo questa discussione ripresentarsi come un fastidioso foruncolo sul sedere d'estate. Non si tratta di "rottamare" l'art. 37 (definizione palesemente provocatoria), come giustamente detto in alcuni post precedenti ma di rottamare come abbiamo fatto "formazione" fino ad oggi. Solo che queste modalità, negli ultimi dieci anni, hanno dato da mangiare anche ad un'infinità di enti, associazioni, pseudo enti bilaterali, ecc., nati come i funghi dopo la pioggia a settembre e che faranno di tutto per evitare che venga fatta pulizia. Quante volte abbiamo detto che la Formazione è un processo tendente a far crescere l'individuo all'interno dell'organizzazione d'appartenenza, attraverso un cambiamento che opera a tre livelli: - a livello delle conoscenze, per modificare la struttura conoscitiva delle nozioni che l'individuo possiede; - a livello delle capacità, per cercare di attivare e migliorare le capacità di agire e/o svilupparne delle altre; - a livello dei comportamenti, con lo scopo di creare nell'individuo degli atteggiamenti favorevoli agli obiettivi del processo formativo. L'immagine della Formazione alla sicurezza sul lavoro deve essere quella di un processo che consente alle persone interessate di diventare più preparate nello svolgere un'attività non solo limitatamente a una maggiore conoscenza ed abilità, ma, soprattutto, grazie all'acquisizione di una maggiore consapevolezza del proprio ruolo e del proprio comportamento, connessi all'espletamento della propria attività lavorativa. In definitiva, la Formazione alla sicurezza per essere considerata tale e differenziarsi dalla semplice informazione, deve tradursi in un cambiamento stabile dei comportamenti e degli atteggiamenti, altrimenti non si può neanche lontanamente parlare di Formazione. La valutazione di un intervento formativo, pertanto, non può certo limitarsi a verificare il numero di risposte corrette su un questionario somministrato a fine corso ma deve andare a verificare, soprattutto, se quanto appreso al corso è stato realmente trasferito al lavoro e se ci sono state delle ricadute sull’organizzazione. Siccome queste due tipologie di verifiche sono onerose da effettuare (tempo e risorse dedicate, ecc.), le stesse aziende preferiscono glissare ed accontentarsi di avere il “pezzo di carta” magari stampato in cartoncino Modigliani bianco formato A4 (grammatura 140/145 grammi) come previsto in Lombardia dal D. G. Sanità - Circolare Regionale 17 settembre 2012 – n° 7, pag. 9. |
Rispondi Autore: Luigi Giandinoto - likes: 0 | 06/02/2020 (20:00:55) |
Penso che a monte ci sia un problema di fondo in quanto a mio avviso gli obiettivi dell'art.37, Dlgs81/08, sono stati fraintesi. Penso che l'obiettivo finale sia nato dall'esigenza di far ridurre gli incidenti nei luoghi di lavoro grazie ad una formazione quanto più mirata per ruoli e per mansioni (letteralmente una formazione specifica per i lavoratori). Di fatto nell'applicare "la durata, i contenuti minimi e le modalità di formazione" si sia dato un eccessivo peso nell'irrigidire il sistema della formazione puntando non tanto sulla qualità ma sugli adempimenti negli aspetti formali-burocratici. Grazie a questo irrigidimento alcune piccole realtà che facevano una buona formazione sono state cancellate da "associazioni, pseudo enti bilaterali, ecc." (Carmelo Catanoso) che nei ripieghi della norma, nelle rigide procedure e nella burocrazia si sono cuciti l'attività. Con che risultati? Non mi sembra che ad oggi ci sia stato, a circa 10 anni dall'applicazione dell'art.37, significativi miglioramenti, anzi, si sono spese tante risorse per quasi nulli benefici. Non ho una ricetta valida per migliorare il sistema, anche se ho più di un'idea, ma con le attuali rigide prescrizioni e con gli interessi in gioco non vedo all'orizzonte nessun cambiamento in positivo. |