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Formazione ed educazione: come migliorare le capacità decisionali


Un contributo di Alessandro Mazzeranghi, intitolato “Informazione, formazione ed “educazione”: obiettivi da condividere”, introduce un concetto molto importante per l’efficacia delle strategie di prevenzione, anche come riflessione successiva al nuovo Accordo Stato-Regioni in materia di formazione.  Introduce il concetto di "educazione" connesso alla importante capacità di decidere in autonomia, “un elemento essenziale di ogni mansione lavorativa, ovviamente con dei limiti precisi”. È possibile insegnare a decidere?

 

Abbiamo suddiviso il contributo di Mazzeranghi in due parti. La prima parte – pubblicata nell’articolo “ Informazione, formazione ed “educazione”: obiettivi da condividere” – ha introdotto il tema raccontando come all’informazione e formazione si debbano affiancare altri “insegnamenti” per portare alla capacità di assumere responsabilità decisionali.

 

La seconda parte, che pubblichiamo oggi, entra nel vivo di questo ragionamento proponendo le fasi necessarie per prendere decisioni autonome in materia di sicurezza sul lavoro.



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Informazione, formazione ed “educazione”: obiettivi da condividere – seconda parte

 

Le fasi necessarie per prendere decisioni autonome in materia di sicurezza sul lavoro

Fase 4: identificazione di pericoli e rischi

Fase 5: stima e valutazione dei rischi, compresa la definizione di una sorta di “scala di importanza” fra gli stessi

Fase 6: definizione delle misure di sicurezza da adottare per i rischi ritenuti “significativi”

Fasi 7 e 8: selezione della squadra di lavoro e illustrazione alla stessa della attività e delle misure di sicurezza previste / necessarie

Fase 9: esecuzione della attività

Fase 10: validazione e condivisione con il SPP

Modalità di esecuzione della “educazione”

Caratteristiche del docente e commitment aziendale

Il ruolo indispensabile del RSPP

Conclusioni

 

Le fasi necessarie per prendere decisioni[1] autonome in materia di sicurezza sul lavoro

Provo a indicare in sequenza le fasi logiche del processo decisionale:

  1. Identificazione della necessità operativa.
  2. Verifica che tale situazione non sia oggetto di una regola aziendale esaustiva (se SI si applica tale regola e il processo si ferma qui).
  3. Definizione della attività da svolgere, tenendo conto prima di tutto degli obiettivi concreti della medesima; in pratica parliamo di una sequenza di “attività singole” (da ora in poi fasi) [2], determinate anche tramite una precisa sequenza e per le quali chi mette in atto questo processo ha le competenze tecniche adeguate.

 

Questi primi tre passaggi esulano, in senso generale, dal tema della sicurezza e non li approfondiremo nel seguito: quelli che seguono invece la riguardano direttamente e saranno analizzati uno per uno.

  1. Identificazione di eventuali situazioni pericolose e di rischio (in caso di assenza di pericoli e rischi il processo si ferma qui).
  2. Valutazione del rischio: gravità del possibile danno e probabilità di accadimento; qui sicuramente solo se la probabilità è nulla ci possiamo fermare, altrimenti io personalmente ritengo più rilevante il parametro di gravità considerando prioritarie le situazioni di danno gravemente invalidante e permanente e, ovviamente, quelle di danno mortale; il danno deve essere considerato non solo in relazione alle persone che sono coinvolte nella attività, ma anche per tutti gli altri potenziali esposti [3].
  3. Definizione delle misure di sicurezza da adottare per i rischi ritenuti “significativi”; le misure possono andare da una ri-definizione delle attività e/o della loro sequenza, a misure tecniche di tutela a, come più probabile, a misure comportamentali di controllo dei rischi (inclusa la scelta di eventuali DPI adeguati); suggeriamo che questa fase, come la (3), sia messa per scritto almeno sommariamente, e in particolare se l’intervento coinvolge più persone.
  4. Selezione della squadra di lavoro.
  5. Attuazione della attività.
  6. Illustrazione delle attività da svolgere, dei pericoli e dei rischi connessi e delle misure di sicurezza da adottare a tutti coloro che parteciperanno alla loro messa alla attività o anche a una singola fase della stessa [4].
  7. Validazione, a posteriori, della efficacia delle misure di sicurezza adottate e messa a comune col SPP delle fasi che possiamo presumere si verificheranno nuovamente in altre attività non identiche ma per certi versi simili [5].

 

Fase 4: identificazione di pericoli e rischi

La ritengo la fase più “delicata” perché se non identifichiamo un pericolo/ rischio, inevitabilmente allo stesso non verrà prestata alcuna attenzione nelle fasi successive; è, inoltre, la fase più difficile perché richiede a chi progetta le attività una capacità “previsionale” forte che non sempre si trova; purtroppo esistono soggetti estremamente capaci e competenti per tutti gli altri aspetti, che però sono superficiali nel considerare pericoli e rischi.

 

Prima di tutto mi aspetto una presa di conoscenza dei pericoli presenti, anche quelli che già intrinsecamente sono a rischio zero perché già adeguatamente protetti mediante misure tecniche aggirabili solo tramite una azione cosciente e volontaria, in ultima analisi abnorme.

 

Fase 5: stima e valutazione dei rischi, compresa la definizione di una sorta di “scala di importanza” fra gli stessi

Già esclusi i percoli protetti adeguatamente senza la necessità di misure aggiuntive, si tratta di ragionare sulla gravità più alta possibile in relazione al pericolo individuato. I pericoli che divengono rischi effettivi solo in caso di attività abnormi da parte del personale devono, a mio avviso, essere citati esplicitamente perché situazioni di fretta, o di risultati insufficienti, potrebbero condurre a quei comportamenti abnormi che dovrebbero essere assolutamente esclusi [6].

 

Fase 6: definizione delle misure di sicurezza da adottare per i rischi ritenuti “significativi”

Le misure possono essere:

  • Predisposizioni tecniche di contenimento del pericolo che potrebbero, nella migliore, portare la probabilità di accadimento di eventi gravemente dannosi, sostanzialmente a zero annullando ogni forma di esposizione salvo quella che potrebbe derivare da un comportamento abnorme del personale incaricato della esecuzione della attività.
  • Misure comportamentali di controllo dei rischi residui.
  • Misure residuali quale la adozione di DPI adeguati.

 

Fasi 7 e 8: selezione della squadra di lavoro[7] e illustrazione alla stessa della attività e delle misure di sicurezza previste / necessarie[8]

Qui, con i limiti della concreta disponibilità di personale, inclusi gli eventuali reperibili, si tratta in primis di scegliere persone che siano adeguatamente competenti e che non abbiano la propensione a violare le regole aziendali.

 

Fase 9: esecuzione della attività

Qui bisogna che le persone incaricate della esecuzione o del coordinamento abbiano la capacità di riconoscere pericoli e rischi non previsti in fase di progettazione, e di modificare il progetto di conseguenza [9]. Evidentemente questa è una fase che presenta molte analogie con la fase (4), e le medesime criticità; parto dal presupposto che, per gli aspetti di sicurezza, sia la medesima persona che si è fatta carico delle fasi 4 e 5. Ma il vero punto critico è che, durante l’esecuzione, potrebbero intervenire fattori che impediscono al coordinatore di essere coinvolto in tempi utili nella gestione degli imprevisti; si confida quindi sulle capacità di chi esegue i lavori e questo fatto, dal punto di vista della “educazione” del personale, rappresenta una bella sfida!

Fase 10: validazione e condivisione con il SPP

La validazione è “necessaria” non solo per dare un giudizio sul mero svolgimento della attività ma anche per eseguire una verifica di efficacia delle “educazione” del personale.

 

La condivisione con il SPP serve per dare maggiore sostanza alla validazione, ma anche per regolamentare al meglio singole fasi o sotto–fasi che presumibilmente si potrebbero ripresentare in un futuro.

Modalità di esecuzione della “educazione”

Premetto che chi si occupa della attività educativa dei lavoratori tutti deve prima di tutto acquisire una buona conoscenza dei processi operativi aziendali, delle dinamiche organizzative in atto e/o della organizzazione aziendale, inclusi in generale gli aspetti gerarchici e le mansioni concretamente affidate dall’alta direzione a varie categorie di figure aziendali.

 

Quindi tento di rispondere a quanto promesso nel titolo con un elenco di fasi “educative” da seguire:

    1. Definire le tipologie di situazioni da regolamentare ad hoc quando si presentano (manutenzioni, sperimentazione di nuovi processi produttivi limitati ad alcuni prodotti o proprio ad una produzione destinata a durare per un tempo limitato e che presenta differenze rilevanti rispetto al consueto utilizzo di macchine e impianti), ma più che altro condividere una unica strategia di gestione della sicurezza aziendale [10].
    2. Definire un format standard di rappresentazione di una attività imprevista. Il format deve essere unico all’interno di un contesto aziendale in modo che tutti lo possano compilare e leggere senza difficoltà o fraintendimenti.

 

Le fasi (1) e (2) riguardano chiaramente aspetti teorici e metodologici che definirei di base. Sono diverse negli obiettivi ma vengono eseguite, come la formazione, tramite lezioni frontali e discussioni in aula. Insomma, nulla di particolare, dal punto di vista di approccio formativo.

 

    1. Insegnare a riconoscere pericoli e rischi.
    2. Insegnare a valutare i rischi e a evidenziare i pericoli “significativi” che devono essere noti anche se si presentano solo in caso di comportamenti esplicitamente vietati o abnormi.

 

Le fasi (3) e (4), dal punto di vista dello stimolo delle capacità individuali, richiedono un approccio estremamente concreto da svolgere prevalentemente sul campo. [11]

 

La difficoltà è che, per quanto si agisca sul campo, è improbabile che proprio in quel momento si verifichi una soluzione da analizzare col metodo indicato; certo, si può fare una ipotesi e lavorare su quella; questo però richiede un approfondimento specifico da parte del docente, visto che l’idea è fare progettare l’intervento ai lavoratori, e poi lavorare su quello per cercare di “aggiustare il tiro”. Questo non è impossibile ma richiede che il docente sappia abbastanza da effettuare una sorta di validazione della progettazione senza vedere l’operatività, ma capendola bene: significa che il docente deve avere una ottima conoscenza del contesto operativo per formulare il problema e discuterne la soluzione. Voi vi chiederete allora: perché effettuare queste due fasi sul campo? Perché i lavoratori abbiano sott’occhio la realtà “impiantistica” e operino su quella.

 

    1. Insegnare a comunicare pericoli, rischi e misure di sicurezza.
    2. Validazione

 

Qui invece esiste un doppio problema comunicativo che non può essere risolto se non per tentativi, prima di tutto compilando quel format di cui abbiamo parlato al punto (2), e che deve essere “metabolizzato” da tutti coloro a cui si darà la mansione di operare  alla definizione autonoma delle misure di sicurezza; successivamente  presentando ai colleghi (e al docente) il format compilato, per poi discuterlo congiuntamente effettuando anche una sorta di validazione, anche questa nella stessa sessione d’aula.

 

A questo punto si potranno selezionare le persone che avranno sviluppato le capacità minime per perseguire l’obiettivo. Ovviamente da qui in poi si innesca un processo iterativo di crescita che potrebbe prevedere anche una sessione di rafforzamento dopo un anno.

 

Caratteristiche del docente e commitment aziendale

In definitiva chi ha familiarità con il processo di valutazione dei rischi e con la definizione delle corrispondenti misure di sicurezza, se svolge con diligenza queste attività in sede consulenziale, non deve fare altro che esplicitare efficacemente un percorso logico a lui ben noto.

 

La questione della efficacia dell’intervento “educativo” è legata non solo alle capacità e competenze del docente ma anche alla sua autorevolezza & autorità: su questi due temi, fondamentali per dare credibilità all’intervento, è fondamentale un minimo di conoscenza reciproca preliminare con i discenti, e l’espresso commitment della alta direzione aziendale che deve trasmettere il messaggio: tutto questo si pone fuori dagli obblighi di legge ed è fortemente voluto dalla azienda quale investimento volontario volto a conseguire un miglioramento oggettivo della gestione della SSL.

Il ruolo indispensabile del RSPP

Ovviamente il RSPP, che auspichiamo essere una persona avente le caratteristiche giuste per coprire adeguatamente il ruolo attribuitogli, deve essere pienamente coinvolto nel processo “educativo”, a partire dalla progettazione sino alla supervisione della esecuzione, anche per diventare il punto di riferimento per il personale aziendale dopo il completamento del progetto.

 

Ovviamente il RSPP deve essere “parte integrante del corpo docente” e quindi non supportare i discenti nello sviluppo delle attività che l’azienda ha deciso di “commissionare” a loro.

 

Conclusioni

Mi rendo conto che quello che ho espresso può rappresentare un cambiamento dei paradigmi ad oggi applicati al tema della crescita dei lavoratori; vorrei però ricordare a tutti che tali paradigmi sono stati delineati, nei loro tratti concettuali, già nella direttiva sociale europea 291 del 1989, ovvero 35 anni orsono. Migliorare la applicazione di tali principi è l’oggetto fondamentale dell’ASR, ma si tratta di una guida originale e valida, volta al conseguimento di obiettivi decisamente poco innovativi.

 

In un mondo in cui le aziende diligenti hanno messo in atto buona parte delle misure tecniche di miglioramento della sicurezza ragionevolmente possibili la persona umana diventa fondamentale per la sua capacità di interpretazione originale della realtà operativa, raggiunta anche attraverso analogie ed estrapolazioni; altrimenti, estremizzando, basterebbe fare eseguire i percorsi formativi a una AI ben addestrata.

 

 

 

- fine della seconda e ultima parte -

 

 

Alessandro Mazzeranghi

 

 

Link alla prima parte del contributo

 



[1] Ci riferiamo, in particolare, a quei casi che si presentano inaspettatamente, caso mai su un turno scarsamente presidiato come il terzo (comunemente dalle 22 alle 6) dove il soggetto con maggiore autorità e autorevolezza è presumibilmente un capo turno.

[2] Nella definizione della attività, delle fasi che la compongono e nella sequenza delle stesse, necessariamente prendiamo in esame implicitamente i pericoli e i rischi che caratterizzano le varie fasi, modificando la progettazione dell’intervento per minimizzare i rischi residui.

[3] Evidentemente la soluzione più semplice ed efficace consiste nel delimitare la zona pericolosa in modo che l’accesso alla stessa da parte di terzi possa avvenire solo tramite una azione indiscutibilmente cosciente e volontaria (in linguaggio giuridico si parla di comportamento abnorme).

[4] Qui cercherei di coinvolgere chi si espone. E direi che su un aspetto così delicato tutti gli addetti, anche se svolgeranno una o poche fasi della attività, debbano essere coinvolti nella illustrazione “completa”.

[5] A titolo di esempio: criteri di scelta dei giusti DPI per i lavori elettrici, ovviamente nel rispetto dell’obbligo di doppio isolamento. Presumibilmente questa fase è già normata da una istruzione aziendale; però per la sua particolarità la richiamo come esempio: sappiamo che il doppio isolamento deve essere scelto nel rispetto del lavoro da svolgere, altrimenti potrebbe risultare inefficace.

[6] Vorrei qui rimarcare la fondamentale differenza fra azioni vietate esplicitamente e azioni abnormi: le seconde sono tali se il personale addetto ha piena coscienza dei pericoli a cui si espone. Direi che un concetto del tipo: “se aggiri le misure di sicurezza previste” in contrasto con la definizione della attività e delle sue fasi, ti trovi esposto ad un pericolo che potrebbe avere anche queste conseguenze dannose. Se il pericolo è “significativo” la prevenzione massima delle azioni che potrebbero condurre ad una esposizione imprevista diventa fondamentale, trasformando una azione pericolosa vietata in una condizione pericolosa abnorme.

[7] Ovviamente fra le risorse disponibili per l’attività; non si esclude il coinvolgimento di personale in stato di reperibilità.

[8] Con necessarie intendo quelle misure che intendiamo applicare per i rischi “significativi”; per gli altri rischi basta l’indicazione della loro presenza, confidando sulle competenze del personale addetto.

[9] Anche per le modifiche in corso d’opera suggerirei di tenere traccia scritta.

[10] La definizione della strategia aziendale in materia di SSL spetta all’alta direzione, ma può essere migliorata sulla base dei suggerimenti di tutti.

[11] Per la verità è qualcosa che ho già sperimentato scoprendo criticità superiori a quelle che immaginavo. Il caso più interessante è stata la analisi delle capacità di un gruppo di lavoratori di uno stabilimento che erano incaricati di redigere istruzioni di sicurezza per le attività ripetitive. In pratica hanno fatto davanti a me alcune operazioni e, senza alcun aiuto o suggerimento da parte mia, le hanno procedurate: considerando che questa era una tipologia di attività che svolgevano, per la gran parte, da anni, l’esito è stato disarmante: venivano indicati rischi e precauzioni per le situazioni caratterizzate da una alta probabilità mentre situazioni meno probabili ma comunque possibili, sebbene caratterizzate da una pericolosità “significativa” venivano omesse. Evidentemente perché la scarsa attitudine al ragionamento analitico che è la base di questo tipo di capacità non consentiva loro di identificare questa ultima famiglia di rischi, a mio avviso la più critica.

La attività svolta con queste persone (lavoratori e preposti) è stata utile per loro ed estremamente istruttiva per me, in quanto ho imparato ad esprimere in via preventiva alcune forme di ragionamento esposte in queste pagine.



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Rispondi Autore: Stefano B. - likes: 0
04/06/2025 (08:09:42)
Graziano, Graziella e grazie al ...all'articolo illuminante.

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