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Laboratori di ricerca: la valutazione del rischio chimico

Disponibili alcuni interventi che affrontano le problematiche della valutazione dei rischi nei laboratori chimici di ricerca pura e applicata. Il modello A.R.CHI.ME.D.E., le fasi della valutazione e i punti critici.

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Il 10 giugno 2008 si è tenuto a Roma il convegno “La valutazione del Rischio Chimico nei laboratori chimici di ricerca pura e applicata: esperienze del Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro (S.Pre.S.A.L.) della ASL RMC”, un convegno che parte dal presupposto che il rischio dovuto all’esposizione ad agenti chimici pericolosi nei laboratori di ricerca costituisca un “elemento di forte criticità nell’ambito del processo più generale della valutazione dei rischi lavorativi a cui il datore di lavoro deve adempiere”.
Infatti, nei laboratori di ricerca, spesso si utilizza un numero elevato di sostanze chimiche in quantità molto ridotte: quantità che potrebbe indurre i responsabili della valutazione del rischio chimico a “classificare i laboratori di ricerca ad un livello di rischio irrilevante per la salute e basso per la sicurezza”.
 
 
 
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Del convegno PuntoSicuro ha già presentato in passato alcuni specifici atti che erano stati pubblicati sul sito dell’Inail, ad esempio l’intervento “La valutazione del rischio chimico nei laboratori di ricerca: analisi critica dei modelli di calcolo alla luce del nuovo testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro”.
Ora continuiamo con gli approfondimenti ricordando altri documenti tratti dal convegno.
 
Nell’intervento “La scienza chimica al servizio della propria comunità”, tenuto da Luigi Campanella, si indica che i “liberi professionisti che eseguono attività professionale nei propri laboratori hanno esigenze, condizioni ed anche atteggiamenti diversi rispetto ai dipendenti dei grandi laboratori ed ai ricercatori di Università ed Enti di ricerca, ma questo non può assolutamente giustificare una differente attenzione” nei confronti della sicurezza.
È ad esempio necessario “mettere a punto metodi che siano modulabili sul piano delle dimensioni delle aree sorvegliate”.
E riguardo alla valutazione viene ricordato che “la risposta differenziale dei metodi chimici debba necessariamente essere abbinata a quella integrale dei metodi biologici per tenere conto di tempi di esposizione e di accumulo, parametri fondamentali nella valutazione del rischio”.
 
L’intervento “Applicazione del modello ARCHIMEDE per la valutazione del rischio chimico nel laboratorio di un centro di ricerca e sviluppo”, di F. Paletta, affronta l’argomento dei modelli di calcolo.
In particolare racconta del passaggio della propria azienda dal software applicativo MoVaRisCh, al modello A.r.chi.me.d.e., “al fine di integrare la valutazione del rischio per la salute con quella per la sicurezza e di poter confrontare i risultati ottenuti dai campionamenti ambientali con quelli previsti dal modello”.
L’autore confronta, per alcuni agenti chimici investigati, i “risultati ottenuti con il modello A.r.chi.me.d.e. con quelli delle ultime campagne di monitoraggio, al fine di esaminare il comportamento del modello alla luce di misure”.
 
Nell’intervento di M. Brutti, C. Caltagirone, A. Salvia e P. La Palombara, intitolato “Valutazione del rischio chimico nei laboratori di ricerca biomedica: l'esperienza della Fondazione Santa Lucia”, viene presentata l’applicazione pratica del decreto legislativo 25/2002 che indica agli operatori della prevenzione che la “realizzazione di una valutazione del rischio da agenti chimici accurata, deve necessariamente tenere conto delle particolarità di ogni singolo comparto produttivo”.
Presso la Fondazione Santa Lucia IRCCS, che effettua le attività istituzionali di ricerca biomedica nel campo delle neuroscienze funzionali e sperimentali, per l’analisi del rischio è stato “scelto il modello A.r.chi.me.d.e., che, traendo origine dal, già ampiamente applicato sul territorio nazionale, ne ha apportato modifiche ed integrazioni, in particolare per quanto riguarda la possibilità di valutare anche il rischio chimico per la sicurezza”.
Nella valutazione del rischio si è tenuto conto delle “raccomandazioni generali per l’applicazione dell’algoritmo, di non cadere in un’applicazione meccanica del modello ma di effettuare un’attenta analisi dei cicli e delle attività lavorative, una valutazione dei tempi di esposizione legati alle attività svolte dagli esposti, all’uso ed alla classificazione di pericolo delle sostanze, in modo tale da far corrispondere ad ogni rischio calcolato un preciso ed effettivo processo di valutazione del rischio”.
Sono stati monitorati 17 laboratori di ricerca con un iter di valutazione articolato in 4 fasi:
- indagine conoscitiva preliminare;
- raccolta dei dati;
- sopralluoghi;
- elaborazione dei dati.
Le prime due parti dell’iter valutativo avevano lo scopo principale di individuare i gruppi omogenei di rischio tra i lavoratori, così da poter prevedere:
- “una attività di sorveglianza sanitaria mirata per quegli indicatori di danno che si riferiscono agli organi bersaglio delle sostanze utilizzate;
- la predisposizione di procedure di lavoro, e non solo di sicurezza, che possano integrare completamente le misure di prevenzione nei protocolli sperimentali per le diverse linee di ricerca;
- l’organizzazione delle attività di addestramento, e non solo di formazione sui rischi, specifico dei nuovi ricercatori anche in funzione della prevenzione dell’esposizione al rischio chimico;
- la predisposizione di opportune linee guida nella scelta delle attrezzature ed apparecchiature fondamentali per la prevenzione in laboratorio, quali le cappe e gli armadi ventilati”.
Sono stati dunque “valutati oltre 400 agenti chimici pericolosi; le diversità operative rilevate nei diversi laboratori hanno condotto ad effettuare oltre 1100 diverse valutazioni per le 400 sostanze individuate”.
Tutte le esposizioni ai singoli agenti chimici “sono risultate a rischio moderato”; tuttavia si è osservato come il “concetto di livello di azione (livello al di sopra del quale non si può ipotizzare l’esistenza di rischio moderato) non sia considerato applicabile agli agenti chimici sensibilizzanti”.
In particolare l’esclusione delle sostanze sensibilizzanti è “dovuto al fatto che per queste non vi siano ad oggi elementi conoscitivi sufficienti per definire una esatta relazione dose/risposta” e quindi non si possa applicare il concetto di “livello d’azione”.
Riguardo ai modelli valutativi utilizzati sono stati dunque indicati alcuni punti critici, ad esempio:
- “l’unità di misura Kg. per la quantità risulta decisamente elevata;
- gli intervalli relativi ai tempi di esposizione risultano troppo ampi;
- le frequenze di utilizzo non sono parimenti considerate in maniera adeguata”.
In definitiva si auspica che per il futuro “possa essere prodotto un modello valutativo che meglio si applichi alle attività di ricerca”.
 
Infine nell’intervento “La valutazione del rischio chimico presso lo stabilimento della Banca d'Italia per la produzione delle banconote in euro”, di S. Pichi e D. A. De Pinto, viene affrontata la metodologia generale di valutazione dei rischi adottata dalla Banca d’Italia.
In particolare il percorso metodologico valutativo si è sviluppato in cinque fasi:
- “analisi delle caratteristiche operative aziendali”;
- “identificazione dei pericoli, fase in cui sono stati identificati i pericoli, suddivisi in ‘pericoli di sito’ e ‘pericoli di attività’; tra questi ultimi, per i soli comparti tecnici, sono stati identificati i ‘pericoli di reparto’ (comuni a tutte le lavorazioni svolte nel reparto) e i ‘pericoli di lavorazione’ (riguardanti la singola lavorazione)”;
- “indicazione delle misure di prevenzione e protezione (contromisure), fase in cui per ciascuna tipologia di pericolo sono state elencate le misure di prevenzione e di protezione previste come adeguate o necessarie per la riduzione del rischio;
- valutazione dei rischi”.
La valutazione dei rischi è stata poi suddivisa nelle seguenti sottofasi:
- “individuazione delle classi di rischio, in cui, per ciascun pericolo identificato ed in relazione ad ogni singola attività, si è proceduto alla stima delle variabili di probabilità e di danno e le cui diverse associazioni sono poi state rappresentate in forma lineare con la seguente “scala” di classi di rischio;
 - definizione dell’intervallo di classificazione”;
- “individuazione dei pericoli applicabili, in cui per ciascuna Unità esaminata sono state elencate le tipologie di pericoli presenti;
- verifica dello stato di attuazione delle contromisure, in cui per ciascuna tipologia di pericolo vengono riscontrate e opportunamente ponderate le misure di prevenzione e di protezione;
- valutazione finale, in cui per ogni Servizio /Filiale, con riferimento ai diversi pericoli viene calcolato, con l’ausilio di un’applicazione informatica di supporto, il rischio residuo”.
Infine il percorso valutativo si conclude con la “definizione delle priorità e degli interventi programmati, fase in cui, sulla base di predeterminate categorie di priorità, viene fissato il piano degli interventi, di mantenimento (nel caso di rischio residuo basso o modesto) o di miglioramento (per livelli di rischio residuo più alti)”.
 
 
 
Luigi Campanella - Presidente SCI e LUAM, “La scienza chimica al servizio della propria comunità” (formato PDF, 24 kB).
 
 
M. Brutti, C. Caltagirone, A. Salvia (Fondazione Santa Lucia), P. La Palombara (Sintesi S.p.A.), “Valutazione del rischio chimico nei laboratori di ricerca biomedica: l'esperienza della Fondazione Santa Lucia” (formato PDF, 40 Kb).
 
 
 
 
Tiziano Menduto
 
 

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