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Un contributo alla gestione della sicurezza e dell’emergenza

Un contributo alla gestione della sicurezza e dell’emergenza
Antonio Zuliani

Autore: Antonio Zuliani

Categoria: Gestione emergenza ed evacuazione

30/06/2017

La formazione del personale nei settori della sicurezza e dell’emergenza deve tenere conto dei modelli di apprendimento che il nostro cervello utilizza: il contributo dei neuroni specchio.

Un contributo alla gestione della sicurezza e dell’emergenza

La formazione del personale nei settori della sicurezza e dell’emergenza deve tenere conto dei modelli di apprendimento che il nostro cervello utilizza: il contributo dei neuroni specchio.



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Ospitiamo un articolo tratto da  PdE, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente, che propone un intervento realizzato da Antonio Zuliani.

 

Neuroni specchio: un contributo per la gestione della sicurezza e dell’emergenza

di Antonio Zuliani

 

La scoperta dei neuroni specchio e del sistema specchio è frutto del lavoro dell’équipe di Giacomo Rizzolatti dell’Università di Parma che negli anni ‘80-‘90 li individuarono nei macachi. Nel 1995 la stessa équipe dimostrò l’esistenza di un sistema simile nell’uomo.

I neuroni sono la parte costituente del nostro cervello e comunicano tra di loro attraverso dei potenziali di azione il cui codice è la modulazione di frequenza.

I neuroni specchio sono dei neuroni motori particolari che rispondono sia quando una persona compie un’azione sia quando si vede la stessa azione compiuta da un'altra persona, ma anche quando si sente il rumore caratteristico prodotto da questa azione, o quando l'azione è solamente immaginata. Questo meccanismo si ricollega al concetto di “motor imagery” (Jeannerod, 2001; Decety & Grezes, 2006; Mulder, 2007), ampiamente utilizzato nell’allenamento sportivo, che mostra come quando si immagina un’azione si attivano gli stessi neuroni di quando vede questa azione prodotta da altri.

 

Questo meccanismo permette di dire che l'azione viene “compresa internamente”.

Esso non è presente solamente nelle aree motorie, ma anche in varie aree emozionali: in quelli che sono chiamati vitality forms, cioè i piccoli gesti sociali che uno fa. Da questo punto di vista, questi neuroni diventano un meccanismo globale di comprensione dell’altro, in quanto fornisce a una persona la comprensione dell’altro come se stesso; si può capire l’emozione perché la si vive, la si sente.

Certo non è solo grazie a questi meccanismi che noi comprendiamo gli altri in quanto l'uomo ha sviluppato il linguaggio come strumento relazionale dal quale non si può prescindere. Anzi, possiamo pensare che il linguaggio retroagisce modulando il funzionamento di questi meccanismi. In qualche maniera essi riescono a mettere assieme la parte esecutiva con la visione e quindi ci permettono di introiettare quanto fatto dagli altri.

Perché ciò avvenga è necessario che l'azione o l'emozione che vedo appartengano alla mia esperienza, al mio patrimonio motorio, altrimenti non avranno alcun significato. Ad esempio un bambino molto piccolo vedendo una persona camminare non vivrà questo rispecchiamento, perché l'azione del camminare non è nella sua esperienza. D'altra parte, tutti possiamo guardare un balletto, ma l'attivazione neuronale di uno spettatore qualsiasi sarà diversa da quella di un ballerino che assiste allo stesso spettacolo. Se l'azione non fa parte di questo bagaglio possiamo fare solamente un ragionamento logico per comprenderla.

 

Dagli studi attuali si può dire che parte di questi neuroni sono presenti alla nascita, altri si sviluppano nel corso della vita, ma certamente il loro affinamento avviene gradualmente a contatto con la realtà, sono modulati dalla cultura.

In sostanza come dicono Jeannerod e Pacherie (2004) una percezione in essenza del sistema specchio ci permette di fornire una descrizione visiva di quello che vediamo fare dagli altri, ma non ci spiega le componenti intrinseche di queste azioni, cosa di fondamentale importanza per poterle capire, per ripeterle e attribuire loro uno scopo.

Scopo di questo articolo è di analizzare come il sistema specchio possa contribuire al miglioramento della sicurezza ed emergenza all’interno delle aziende. In modo particolare focalizzeremo l’attenzione sui temi dell’affordance degli oggetti, della formazione dei lavoratori e delle azioni che gli addetti all’emergenza possono mettere in atto per guidare le evacuazioni.

 

Affordance degli oggetti

Gli oggetti hanno le forme più svariate e proprio in tali forme sono presenti svariate opzioni di interazione. Quando vediamo un oggetto, esso viene scomposto, all’interno della corteccia cerebrale, nelle sue opzioni e tra esse ne viene selezionata una sulla base di due fattori principali: l’intenzione di colui che sta agendo e il riconoscimento “concettuale” dell’oggetto. Su questi fattori agiscono la corteccia prefrontale per quanto riguarda le nostre intenzioni e il lobo temporale inferiore per il riconoscimento dell’oggetto (Rizzato e Donelli, 2011).

 

Ciò comporta che comprendiamo gli oggetti non sulla base del loro significato, bensì sulla base del loro valore pratico, ossia sulla base di cosa possiamo fare interagendo con loro. Quando osserviamo un oggetto, si attiva una parte dei neuroni motori che ci mette in relazione con ciò che possiamo fare con l’oggetto stesso.

 

In pratica questi neuroni si attivano sia quando c’è l’esecuzione di un’azione (ad esempio prendere una penna dal tavolo) sia in corrispondenza della vista della penna sul tavolo come anticipazione di un’azione. In altre parole, gli oggetti che attivano questi neuroni sono quelli che offrono alla persona la possibilità di interagire con essi attraverso l’azione codificata dei neuroni. In altri termini, esistono dei neuroni che mettono in diretta relazione gli oggetti con le azioni compatibili per utilizzarli.

 

Nel contesto della sicurezza sul lavoro questi concetti confermano l’importanza degli studi di Gibson circa l’affordance degli oggetti, cioè la loro capacità di fornire indizi circa il proprio utilizzo.

Pensiamo ad esempio a un pomello da girare per aprire una porta, a una fessura di un distributore di bibite che indica dove inserire la moneta. Buona l’affordance del distributore circa l’inserimento delle monete, meno buona nel suo complesso in quanto manca un altro segnale, come una luce accesa, per indicare in modo inequivocabile se la bibita è presente o esaurita.

Vi sono oggetti che possiedono un’affordance molto forte come ad esempio i mattoncini della LEGO, con i cilindri e i fori che impediscono di incastrarli in modo diverso da quello previsto. Lo è anche il Velcro che indica con tutta evidenza che i due pezzi servono per essere attaccati l’uno con l’altro (Zuliani, 2017).

 

Gli oggetti sono fatti e quindi devono essere progettati per essere “agiti”. Non ci sono infiniti modi per afferrare un oggetto tridimensionale e i neuroni codificano l’affordance di un oggetto e la trasformano in un atto motorio. Nel cervello si forma così una sorta di vocabolario motorio, ad esempio quando si avvia l’azione “prendere” il vocabolario motorio si attiva per la presa più efficace.

Secondo Sakata e colleghi (1995), i neuroni che codificano le affordance degli oggetti sono nel lobo parietale, nell’area AIP che funzionalmente è a cavallo tra le aree visive e quelle motorie. Ciò che è interessante è che questi neuroni si attivano non solamente quando si decide di prendere un oggetto, ma anche quando si vede un’altra persona farlo.

Questo ha una grande rilevanza sia in fase di apprendimento sia per l’imitazione dei comportamenti.

 

Formazione del personale

La formazione del personale nei settori della sicurezza e dell’ emergenza deve tenere conto dei modelli di apprendimento che il nostro cervello utilizza. Per quanto riguarda in particolare l’apprendimento delle azioni da mettere in campo occorre ricordare come affermano Ericsson, Roring e Kiruthiga (2007) che limitarsi a ripetere continuamente una stessa attività non garantisce alcun miglioramento della sua esecuzione.

 

L’apprendimento, per essere efficace, deve migliorare la memoria della prestazione e diventare un modello mentale. In altri termini, l’azione appresa deve generare un insieme di conoscenze specialistiche (una biblioteca) nella mente della persona che si esercita.

 

L’acquisizione di questi modelli mentali deve essere promossa attraverso la costruzione di legami di senso tra la parte teorica e quella pratica. Ecco perché la formazione dovrebbe avvenire in modo da alternare prontamente le parti teoriche con quelle pratiche. Uno studio di Buccino e collaboratori (2004), sempre relativo al funzionamento dei neuroni specchio, ha evidenziato come soggetti che osservano un’altra persona per imparare i gesti da compiere nel lavoro manifestano un’attivazione nel circuito parieto temporale, la quale attraverso il meccanismo dei neuroni specchio, trasforma le azioni viste in azioni possibili anche per l’allievo. L’aspetto che più ci interessa rilevare di questa ricerca è che se l’allievo non deve immediatamente ripetere l’azione vista, queste attivazioni neuronali spariscono come se il cervello facesse un reset.

Ecco allora che tenere queste parti separate, anche solo di poche ore, induce il cervello delle persone a non costruire le connessioni di senso tra teoria e pratica.

Non si tratta, infatti, di “migliorare la memoria” dei soggetti interessati, ma di fornire loro dei modelli mentali utilizzabili.

 

Guidare le evacuazioni

Quando ci si trova in presenza di altri, lo spazio diviene spazio condiviso all’interno del quale le azioni del singolo vengono immediatamente riconosciute e comprese dagli altri. Questo pone l’accento sull’importanza di introdurre nella formazione degli addetti all’emergenza la consapevolezza su quanto le loro azioni siano decisive per l’esito dell’evento.

 

Quando vi è l’interesse che i presenti apprendano determinate azioni, possiamo contare sui neuroni specchio i quali hanno la capacità di trasformare l’informazione sensoriale (nel nostro caso il comportamento degli addetti all’emergenza) in atti motori. In altri termini, la persona nel momento in cui vede un’azione eccita in se stessa un programma motorio analogo, perché dentro di lei c’è un’azione simile. Certamente i processi di mentalizzazione che portano poi ai comportamenti reali sono più complessi, ma l’input imitatorio è di notevole importanza: ecco perché abbiamo spesso insistito sul fatto che gli addetti devono “mostrare” con il loro comportamento le azioni più idonee.

 

Passando da quelle che lo stesso Rizzolatti chiama “azioni fredde” alle “azioni calde” che implicano l’instaurarsi di una relazione, sembra evidente che gli addetti all’emergenza, se vengono formati a interiorizzare i messaggi impliciti dei presenti attraverso il sistema specchio, diventano in grado di comprendere le emozioni vissute e di attivare una risposta comunicativa efficace, perché congruente con i segnali ricevuti. Analogamente, è importante che l’addetto sia in grado di verificare il messaggio che sta inviando agli altri.

 

Gli studi ci suggeriscono che i neuroni specchio entrano in risonanza con le emozioni del nostro interlocutore predisponendoci a comprendere queste emozioni. Ciò attraverso dei micro messaggi, soprattutto non verbali, che l’interlocutore stesso ci ha suggerito. È evidente che se c’è congruenza tra questi segnali e quello che viene detto, la comunicazione sarà efficace; se non vi è coerenza, i risultati possono essere negativi. Ad esempio, se un addetto all’ emergenza dice alle persone che ha di fronte “state calmi” in modo ansioso, con tutta probabilità non otterrà la calma, ma le persone saranno contagiate dallo stato d’animo dell’addetto e la loro ansia aumenterà a causa del fatto che il sistema specchio è stato attivato dall’ansia dell’addetto e non della parola.

 

Fin dagli studi di Mehrabian e Wiener (1967) è stata evidente l’importanza della congruenza tra le forme di comunicazione verbale, paraverbale e non verbale; con i lavori sui neuroni specchio abbiamo la conferma che è importante una coerenza tra le nostre azioni, le nostre emozioni e le nostre intenzioni: solo se questi tre aspetti sono correttamente orientati verso un obiettivo si produce un’azione congruente e le persone alle quali è rivolta saranno spinte a un rispecchiamento positivo.

 

Conclusioni

Le tre conclusioni che affidiamo alla riflessione del lettore sono:

- la necessità di lavorare sull’affordance degli oggetti di lavoro, chiamando in causa la collaborazione tra designer, psicologi e utilizzatori degli stessi;

- ripensare la formazione del personale connettendo strettamente la parte teorica con quella pratica;

- all’interno dei processi formativi degli addetti all’emergenza, valorizzare gli aspetti relazionali e di capacità di guida coerente delle azioni più opportune per gestire una situazione critica.



Creative Commons License Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

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Rispondi Autore: Alessandro Montalesi immagine like - likes: 0
30/06/2017 (15:59:37)
A questo punto, leggendo l'articolo che ritengo sicuramente un ottimo spunto per rivedere la formazione, abolirei totalmente la parte di E learning che di quei fattori non ne tiene in considerazione neanche uno.
Rispondi Autore: ALEX immagine like - likes: 0
06/05/2024 (19:39:42)
ALEX MARSEU

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