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La fuga nelle situazioni di emergenza
Quando si manifesta una situazione di pericolo, il primo desiderio della squadra di emergenza aziendale o degli addetti alla sicurezza di un evento è quello di aiutare gli altri ad allontanarsi dalla stessa. Non certo quello di danneggiare nessuno. Ciò nonostante, le forme di allertamento e le stesse parole utilizzate sono fondamentali per il risultato che ci si prefigge.
Innanzitutto, il primo aspetto utile allo scopo è quello di avere una chiara mappa dei rischi aggiornata e di condividerla con le persone che possono essere interessate all’evento. Questo risultato lo si può raggiungere anche con la predisposizione di una mappa della zona interessata, utilizzando ad esempio scale cromatiche adeguate, che sia in grado di ricordare, senza sforzi particolari, l’entità del rischio possibile in quello specifico luogo. Questa attenzione preventiva permette alle squadre e agli addetti di sentirsi “pronti” e avere la consapevolezza a quali rischi e pericoli si potrebbe andare incontro e quindi anche che tipo di emergenza dover affrontare.
Non solo, l’analisi dei possibili rischi permette anche di far sperimentare la correttezza delle previsioni riconoscendo, in caso di inesattezza, le correzioni approntate. Il nostro cervello impara dagli errori se, e nella misura, in cui vengono riconosciuti. Il poter sperimentare e verificare continuamente l’esattezza delle previsioni consente un monitoraggio aggiornato dei pericoli (che possono variare). Quindi, questa attività di messa alla prova continua dei piani permette, anche ai lavoratori oltre che alle squadre e agli addetti, di avere un chiaro quadro delle possibili emergenze che sono chiamati ad affrontare.
In caso di emergenza, poi, il secondo aspetto utile al fine di riuscire ad allontanare le persone o essere efficaci nella comunicazione è la specificità delle informazioni. Le persone prestano attenzione soprattutto ai rischi che percepiscono come più rilevanti per la loro situazione particolare. Per cui informazioni generiche trovano poco riscontro.
Ne sono un esempio le modalità di allertamento. Occorre ricordare come sistemi di allarmi come le sirene non sembrano fornire informazioni adeguate. Il loro compito è infatti quello di dare un’informazione tipo “sta succedendo qualcosa”, ma quel “qualcosa” resta indefinito.
Da qui, la necessità quasi psicofisiologica dei presenti di sapere “cosa”, con lo scopo di capire come reagire a quella “cosa”. Le sirene non ricordano agli interessati cosa fare proprio in una situazione nella quale l’effetto sorpresa può far dimenticare anche le procedure più semplici da mettere in atto. Per questo motivo, può essere rilevante un sistema di feedback continuo che fornisca informazioni specifiche e aggiornate nel tempo della situazione in atto, di modo che coloro che gestiscono l’emergenza in primis e le persone presenti poi siano informati costantemente dell’evolversi della situazione. Aspetto indispensabile per adeguare i comportamenti di contrasto all’emergenza.
A tale proposito ricordiamo che a seguito dell’effetto sorpresa nella maggior parte dei casi compare la paura. Essa rappresenta un grande attivatore di ricerca di soluzioni in tutti. Ma ciò avviene nella misura in cui le persone possono fare affidamento a dei comportamenti conosciuti da attivare. Di qui la necessità di organizzare delle esercitazioni, anche quelle di cui abbiamo parlato sopra, che facciano sperimentare agli interessati la possibilità di essere parte attiva nel loro progetto di salvaguardia personale.
Quindi, in caso di emergenza il ruolo degli addetti e delle squadre di emergenza diviene fondamentale per comunicare alle persone che cosa sta accadendo per permettere loro di individuare i comportamenti utili da mettere in atto, e, nell’eventualità, ricordare loro cosa è indispensabile fare per farvi fronte.
Essere efficaci nella comunicazione in caso di emergenza non è semplice, anzi tutt’altro, anche a causa degli aspetti psicofisiologici che si manifestano in queste circostanza. Un aspetto che le squadre e gli addetti devono curare molto è l’uso delle parole. Chi invia comunicazioni relative a un’emergenza non si rende conto che il suo linguaggio, spesso tecnico, mal si adatta a quello che le persone usualmente utilizzano o che sono in grado di comprendere, ma soprattutto elaborare, in queste situazioni di crisi.
Anche frasi del tipo “rimanete calmi” oppure “non sta accadendo nulla di grave” possono risultare negative e non permettere una reazione nella misura in cui la percezione della situazione che ne hanno le persone coinvolte è del tutto diversa. Per non parlare della conseguente perdita di fiducia nel sistema al quale le persone affidano la propria sicurezza.
In questi casi è bene attenersi alla regola del KISS (Keep it Short and Simple), ovvero “sii breve e semplice”. Breve, perché certamente le condizioni emergenziali non permettono l’utilizzo di frasi lunghe, ma anche per la compromissione temporanea dovuta all’emotività della capacità di elaborazione razionale di troppe informazioni. Parole semplici, utili per una migliore comprensione (ad esempio, “sii celere” vs “sii veloce”). Semplicità significa però anche saper scegliere le parole più funzionali al momento, le parole non devono essere infatti del tutto neutre.
Tenendo a mente che lo scopo è quello di farsi ascoltare per gestire al meglio la situazione di emergenza, la squadra deve essere capace di suggerire anche delle azioni attraverso le parole. Trasmettere una sorta di “spinta gentile” attraverso una scelta oculata dei termini, con il fine di favorire e far ricordare i comportamenti più idonei da mettere in atto in condizioni critiche.
Questo è un aspetto importante, ma va posta molta attenzione: una parola, un concetto o un’immagine possono essere ben diverse tra chi le comunica e chi le ascolta. Ad esempio, la parola “cane” può comunicare sia l’immagine di un simpatico animale con quattro zampe e una testa, ma anche quella di un animale pericoloso: tutto dipende dall’esperienza pregressa che colui che riceve il messaggio ne ha (Zuliani, 2017).
Antonio Zuliani & Wilma Dalsaso
Fonte: PdE, n. 66
Innanzitutto, il primo aspetto utile allo scopo è quello di avere una chiara mappa dei rischi aggiornata e di condividerla con le persone che possono essere interessate all’evento. Questo risultato lo si può raggiungere anche con la predisposizione di una mappa della zona interessata, utilizzando ad esempio scale cromatiche adeguate, che sia in grado di ricordare, senza sforzi particolari, l’entità del rischio possibile in quello specifico luogo. Questa attenzione preventiva permette alle squadre e agli addetti di sentirsi “pronti” e avere la consapevolezza a quali rischi e pericoli si potrebbe andare incontro e quindi anche che tipo di emergenza dover affrontare.
Non solo, l’analisi dei possibili rischi permette anche di far sperimentare la correttezza delle previsioni riconoscendo, in caso di inesattezza, le correzioni approntate. Il nostro cervello impara dagli errori se, e nella misura, in cui vengono riconosciuti. Il poter sperimentare e verificare continuamente l’esattezza delle previsioni consente un monitoraggio aggiornato dei pericoli (che possono variare). Quindi, questa attività di messa alla prova continua dei piani permette, anche ai lavoratori oltre che alle squadre e agli addetti, di avere un chiaro quadro delle possibili emergenze che sono chiamati ad affrontare.
In caso di emergenza, poi, il secondo aspetto utile al fine di riuscire ad allontanare le persone o essere efficaci nella comunicazione è la specificità delle informazioni. Le persone prestano attenzione soprattutto ai rischi che percepiscono come più rilevanti per la loro situazione particolare. Per cui informazioni generiche trovano poco riscontro.
Ne sono un esempio le modalità di allertamento. Occorre ricordare come sistemi di allarmi come le sirene non sembrano fornire informazioni adeguate. Il loro compito è infatti quello di dare un’informazione tipo “sta succedendo qualcosa”, ma quel “qualcosa” resta indefinito.
Da qui, la necessità quasi psicofisiologica dei presenti di sapere “cosa”, con lo scopo di capire come reagire a quella “cosa”. Le sirene non ricordano agli interessati cosa fare proprio in una situazione nella quale l’effetto sorpresa può far dimenticare anche le procedure più semplici da mettere in atto. Per questo motivo, può essere rilevante un sistema di feedback continuo che fornisca informazioni specifiche e aggiornate nel tempo della situazione in atto, di modo che coloro che gestiscono l’emergenza in primis e le persone presenti poi siano informati costantemente dell’evolversi della situazione. Aspetto indispensabile per adeguare i comportamenti di contrasto all’emergenza.
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A tale proposito ricordiamo che a seguito dell’effetto sorpresa nella maggior parte dei casi compare la paura. Essa rappresenta un grande attivatore di ricerca di soluzioni in tutti. Ma ciò avviene nella misura in cui le persone possono fare affidamento a dei comportamenti conosciuti da attivare. Di qui la necessità di organizzare delle esercitazioni, anche quelle di cui abbiamo parlato sopra, che facciano sperimentare agli interessati la possibilità di essere parte attiva nel loro progetto di salvaguardia personale.
Quindi, in caso di emergenza il ruolo degli addetti e delle squadre di emergenza diviene fondamentale per comunicare alle persone che cosa sta accadendo per permettere loro di individuare i comportamenti utili da mettere in atto, e, nell’eventualità, ricordare loro cosa è indispensabile fare per farvi fronte.
Essere efficaci nella comunicazione in caso di emergenza non è semplice, anzi tutt’altro, anche a causa degli aspetti psicofisiologici che si manifestano in queste circostanza. Un aspetto che le squadre e gli addetti devono curare molto è l’uso delle parole. Chi invia comunicazioni relative a un’emergenza non si rende conto che il suo linguaggio, spesso tecnico, mal si adatta a quello che le persone usualmente utilizzano o che sono in grado di comprendere, ma soprattutto elaborare, in queste situazioni di crisi.
Anche frasi del tipo “rimanete calmi” oppure “non sta accadendo nulla di grave” possono risultare negative e non permettere una reazione nella misura in cui la percezione della situazione che ne hanno le persone coinvolte è del tutto diversa. Per non parlare della conseguente perdita di fiducia nel sistema al quale le persone affidano la propria sicurezza.
In questi casi è bene attenersi alla regola del KISS (Keep it Short and Simple), ovvero “sii breve e semplice”. Breve, perché certamente le condizioni emergenziali non permettono l’utilizzo di frasi lunghe, ma anche per la compromissione temporanea dovuta all’emotività della capacità di elaborazione razionale di troppe informazioni. Parole semplici, utili per una migliore comprensione (ad esempio, “sii celere” vs “sii veloce”). Semplicità significa però anche saper scegliere le parole più funzionali al momento, le parole non devono essere infatti del tutto neutre.
Tenendo a mente che lo scopo è quello di farsi ascoltare per gestire al meglio la situazione di emergenza, la squadra deve essere capace di suggerire anche delle azioni attraverso le parole. Trasmettere una sorta di “spinta gentile” attraverso una scelta oculata dei termini, con il fine di favorire e far ricordare i comportamenti più idonei da mettere in atto in condizioni critiche.
Questo è un aspetto importante, ma va posta molta attenzione: una parola, un concetto o un’immagine possono essere ben diverse tra chi le comunica e chi le ascolta. Ad esempio, la parola “cane” può comunicare sia l’immagine di un simpatico animale con quattro zampe e una testa, ma anche quella di un animale pericoloso: tutto dipende dall’esperienza pregressa che colui che riceve il messaggio ne ha (Zuliani, 2017).
Antonio Zuliani & Wilma Dalsaso
Fonte: PdE, n. 66
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